Trapani -Disvelato il contesto mafioso del superboss Matteo Messina Denaro, arresti per associazione mafiosa e favoreggiamento della latitanza

 

 Trapani,
Ieri- informa il Comando Carabinieri -il Ros, con il supporto in fase esecutiva dei Comandi Provinciali Carabinieri di Trapani, Milano e Monza Brianza, ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal tribunale di Palermo, su richiesta della locale direzione distrettuale antimafia e antiterrorismo, a carico degli indagati Gentile Massimo, Leone Cosimo e Gulotta Leonardo Salvatore.
L’attività, condotta nell’alveo delle investigazioni finalizzate a disvelare il contesto mafioso che ha permesso a Messina Denaro Matteo di sottrarsi alla cattura e ad esercitare il ruolo di capo mafia per circa 30 anni, hanno consentito di raccogliere elementi investigativi che conducono ad ipotizzare che:
a. Gentile Massimo faccia parte dell’associazione mafiosa cosa nostra e che abbia ceduto al fu capo della provincia mafiosa trapanese la propria identità al fine di fargli acquistare un’autovettura e un motociclo, sottoscrivere le relative polizze assicurative, compiere operazioni bancarie ed eludere i controlli delle forze dell’ordine, assicurandogli in tal modo la possibilità di muoversi in stato di latitanza sul territorio e di continuare a dirigere detto sodalizio;
b. Leone Cosimo, al pari di Gentile, faccia parte della medesima associazione mafiosa e che in particolare:
– abbia assicurato al sodalizio le proprie competenze tecnico mediche, relazioni personali e possibilità di movimento all’interno di strutture sanitarie, nella qualità di tecnico sanitario di radiologia medica presso l’ospedale di Mazara del Vallo, ove tra l’altro Messina Denaro Matteo è stato ricoverato, da latitante, dopo l’insorgenza della malattia oncologica;
– abbia consegnato a Messina Denaro Matteo, durante la degenza post-operatoria e dopo averlo ricevuto da Bonafede Andrea cl. 69, un telefono cellulare con una scheda telefonica riservata;
– sia stato, anche per il tramite di Bonafede Andrea cl. 69, un punto di riferimento per il latitante in ordine al percorso terapeutico, iniziato presso l’ospedale di Mazara del Vallo e proseguito poi con la visita oncologica presso l’ospedale di trapani;
c. Gulotta Leonardo salvatore abbia concorso, senza prendervi parte, nell’associazione mafiosa cosa nostra, assicurando a Messina Denaro Matteo dal 2007 al 2017 la disponibilità di un’utenza telefonica necessaria per la gestione dei mezzi di trasporto in uso al fu latitante. L’operazione costituisce la prosecuzione dell’indagine che il 16 gennaio 2023 ha permesso al Ros di catturare a Palermo l’allora latitante Messina Denaro Matteo e di trarre in arresto:
– nella flagranza di reato, il suo accompagnatore Luppino Giovanni Salvatore per procurata inosservanza di pena e favoreggiamento aggravati dalle modalità mafiose;
– il 23 gennaio 2023 Andrea Bonafede cl. 63 per partecipazione ad associazione mafiosa;
– il 7 febbraio 2023 il medico Tumbarello Alfonso e Bonafede Andrea cl. 69, ritenuti responsabili il primo di concorso esterno in associazione mafiosa e falso ideologico commesso da P.U. aggravato e il secondo di procurata inosservanza di pena e favoreggiamento aggravati dalle modalità mafiose;
– il 3 marzo 2023 Messina Denaro Rosalia, sorella di Messina Denaro Matteo, per partecipazione ad associazione mafiosa;
– il 16 marzo 2023 i coniugi Bonafede Emanuele e Lanceri Lorena Ninfa per procurata inosservanza di pena e favoreggiamento aggravati dalle modalità mafiose;
– il 13 aprile 2023 Bonafede Laura per procurata inosservanza di pena e favoreggiamento aggravati dalle modalità mafiose;
– il 05 dicembre 2023 Gentile Martina, figlia di Bonafede laura, per favoreggiamento e procurata inosservanza di pena aggravati dalle modalità mafiose;
– il 13 febbraio 2024 dei fratelli Luppino Antonino e Vincenzo, figli di Giovanni Salvatore, per favoreggiamento e procurata inosservanza di pena aggravati dalle modalità mafiose. sono attualmente in corso delle perquisizioni nella provincia di trapani e in Lombardia.

Mafia, truffe all’Ue: i Carabinieri mettono in ginocchio il Clan dei Nebrodi dedito al percepimento fraudolento dei contributi europei

Auto dei carabinieri - Fotogramma

Archivi -Sud Libertà

 

Il clan dei Nebrodi è in ginocchio. Oggi, 6 febbraio, nell’ambito di una vasta operazione contro l’associazione mafiosa di Tortorici (Messina), operativa nell’area dei Nebrodi, 37 persone sono state arrestate con l’accusa, a vario titolo, di associazione di tipo mafioso, associazione dedita alla coltivazione, acquisto, detenzione, cessione e al commercio al minuto di sostanza stupefacente di vario tipo, estorsione, trasferimento fraudolento di valori, truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche in concorso, riciclaggio e autoriciclaggio, impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, malversazioni di erogazioni pubbliche, falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale e tentata violenza privata.

Le indagini e gli elementi raccolti dagli investigatori hanno posto in luce ancora una volta l’operatività della famiglia mafiosa tortoriciana nelle sue articolazioni dei Bontempo Scavo e dei Batanesi e il forte interesse dell’organizzazione al percepimento fraudolento di ingenti contributi erogati dalla Comunità Europea attraverso la commissione di un elevatissimo numero di truffe.

 

Mafia, Palermo: altra mazzata dei Carabinieri, arrestati 12 soggetti affiliati al Clan di Porta Nuova

Detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti | Cosa fare

 

PALERMO,

Altra mazzata dei Carabinieri  al mandamento di Porta Nuova a Palermo, storico clan di Cosa nostra. Dopo appena dieci 
giorni i  militari  hanno dato seguito all’operazione Vento che aveva portato al fermo di 18 presunti esponenti della famiglia mafiosa.

Un’ordinanza firmata dal gip di Palermo è stata già notificata nei confronti di altri 12 presunti affiliati. Le indagini sono state coordinate dalla Dda  da quando le tensioni erano salite con l’omicidio di Emanuele Burgio, avvenuto a Palermo il 31 maggio del 2021.

I 12 arrestati, quattro in carcere e otto ai domiciliari, sono accusati a vario titolo di reati quali associazione di tipo mafioso, associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, coltivazione e spaccio di stupefacenti, violenza privata e lesioni personali aggravate dal metodo e dalle finalità mafiose.

L’operazione Vento 2 è la prosecuzione di quella messa a segno lo scorso 6 luglio con l’esecuzione di 18 fermi da parte dalla Dda. Un’operazione scattata a pochi giorni dall’omicidio di Giuseppe Incontrera, avvenuto il 30 giugno scorso a Palermo, ritenuto uno dei capi del mandamento che teneva la cassa delle famiglie. Per quel delitto è indagato e reo confesso Salvatore Fernandez, che si è costituito consapevole che i  carabinieri erano sulle sue tracce. L’indagine aveva rivelato che vi erano chiari segnali di una possibile escalation; per questo motivo era stato deciso di anticipare il blitz. 

Il Nucleo Investigativo di Palermo ha raccolto ulteriori elementi di indagine ed intuizioni  che hanno fatto scattare i provvedimenti del Gip richiesti dalla Procura e bloccato, tra l’altro, la scarcerazione di Filippo Burgio, detenuto per altra causa, che doveva tornare in libertà proprio oggi. Secondo gli inquirenti avrebbe manifestato la volontà di punire i responsabili dell’uccisione del figlio Emanuele, avvenuto il 31 maggio 2021 a Palermo nel popolare quartiere della Vucciria. Anche per questo omicidio ci sono già tre indagati.

Nell’operazione Vento 2, che oggi a Palermo ha fatto scattare 12 arresti nei confronti di presunti esponenti del mandamento di Porta Nuova, i reati contestati agli indagati  sono l’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti gestita «in tutta la sua filiera». Dalle fasi di approvvigionamento all’ingrosso allo spaccio al minuto sul territorio gestito dai vertici della struttura criminale per alimentare le casse mafiose.

L’associazione avrebbe assunto la gestione diretta di sei piazze di spaccio, localizzate nei centralissimi quartieri del Capo, della Vucciria, di Ballarò e della Zisa (via Cipressi, piazza Ingastone e via Regina Bianca), con a capo uomini ritenuti affiliati a cosa nostra; coltivazione e spaccio di stupefacenti; violenza privata e lesioni personali aggravate dal metodo e dalle finalità mafiose.

‘Ndrangheta, maxi blitz in diverse città italiane : oltre 100 arresti per associazione mafiosa….

Nella Giornata per le vittime di mafia, il messaggio del cardinale Bassetti  a Libera - Vatican News

Archivio -Sud Libertà

La ‘Ndrangheta in ginocchio  in diverse città italiane. Oltre cento misure cautelari emesse dalle Procure distrettuali antimafia di Reggio Calabria, Milano e Firenze, sono state notificate dalla Polizia di  Reggio Calabria con il coordinamento del Servizio Centrale Operativo della Direzione Centrale Anticrimine  a conclusione di articolate indagini nei confronti di boss di spicco  della   Ndrangheta operanti in stretto accordo tra loro…..

Le investigazioni,, nell’ambito delle quali è stata sequestrata oltre una tonnellata di cocaina importata dal Sudamerica, hanno posto in luce l’attività criminosa di  persone di origine calabrese provenienti dalla Piana di Gioia Tauro, presunti appartenenti alla cosca Molè, attivi anche in Lombardia e in Toscana, e con ramificazioni internazionali.

I reati contestati sono associazione mafiosa, concorso esterno in associazione mafiosa, estorsione, detenzione e porto illegale di armi, autoriciclaggio, associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, produzione, traffico e cessione di sostanze stupefacenti, usura, bancarotta fraudolenta, frode fiscale e corruzione.

Il filone milanese delle indagini è stato condotto dalla Polizia e dal Nucleo di Polizia Economico Finanziaria della Guardia di Finanza di Como.

Corruzione in Sicilia: a processo Montante e l’ex governatore Crocetta

 

Montante, indagato Rosario Crocetta. “Associazione, corruzione e  finanziamento illecito” - la Repubblica

 

L’inchiesta della Procura di Caltanissetta coinvolge 13 persone. Nel mirino le nomine di Vancheri e Lo Bello e i i soldi versati a Il Megafono. I pm: «Presidente asservito a capo di Confiindustria Sicilia»

Adempimenti legali dopo il decesso - Polidori Servizi Funebri

Nel nuovo filone di inchiesta che coinvolge esponenti politici, imprenditori e rappresentanti delle forze dell’ordine ci sono 13 indagati accusati a vario titolo di associazione a delinquere finalizzata a commettere reati contro la pubblica amministrazione e reato di accesso abusivo a sistema informatico.

Oltre all’ex leader di Confindustria Sicilia Antonello Montante guai giudiziari per  Rosario Amarù, l’ex commissario dell’Irsap Maria Grazia Brandara, l’imprenditore ed ex presidente di Sicindustria Giuseppe Catanzaro, l’ex governatore siciliano Rosario Crocetta, l’ex capo centro della Dia di Palermo Giuseppe D’Agata, l’ex capo della Dia Arturo De Felice, il capo della sicurezza di Montante Diego Di Simone Perricone, gli ex assessori regionali alle Attività produttive Maria Lo Bello e Linda Vancheri, il vice questore in servizio allo scalo di Fiumicino, Vincenzo Savastano, ex capo centro della Dia di Caltanissetta Gaetano Scillia, l’imprenditore Carmelo Turco.
Reati contestati e motivazioni.A Catanzaro, Crocetta, Vancheri, Lo Bello, Brandara, Savastano, De Felice e Scillia viene contestata l’associazione a delinquere con Antonello Montante e gli altri indagati già coinvolti nel primo processo allo scopo di commettere più delitti contro la pubblica amministrazione e accedere al sistema informatico delle forze dell’ordine per costruire dossier contro quelli che venivano considerati i «nemici» dell’ex leader di Confindustria.

Crocetta avrebbe scelto per la sua giunta gli assessori Lo Bello e Vancheri indicati da Montante che li avrebbe poi manovrati a suo piacimento. In cambio l’ex presidente della Regione avrebbe ottenuto da Catanzaro e Montante 200 mila euro per finanziare nel 2012 la campagna elettorale del Megafono (il movimento fondato da Crocetta) e l’intervento di Montante per «evitare la diffusione di un video a contenuto sessuale che ritraeva Crocetta».
Catanzaro avrebbe ottenuto favori e consigli per la sua società che si occupa di rifiuti.

A Savastano viene contestato, nella sua qualità di vice questore aggiunto in servizio allo scalo aereo di Fiumicino, di avere consentito «a Montante, e soggetti da lui indicati, anche per il tramite di Diego Di Simone Pirricone, di eludere sistematicamente le disposizioni relative ai controlli di sicurezza cui sottoporre i passeggeri di voli aerei al momento dell’imbarco e dello sbarco». Ad Arturo De Felice, nella sua qualità di direttore della Dia di «avere esercitato le proprie prerogative istituzionali, sia investigative che direttive, in maniera tale da soddisfare gli interessi del Montante e di soggetti allo stesso strettamente collegati anche adottando, su esplicita sollecitazione, iniziative pregiudizievoli nei confronti di soggetti invisi a quest’ultimo». Stessa cosa viene contestata all’ex capocentro della Dia di Caltanissetta Gaetano Scillia».  Insomma cose che l’Antimafia sapeva ed aveva già annotato.

Operazione “Xydi”. Decreto di fermo di indiziato di delitto per 23 indagati

Grande rilievo assume il controllo e lo sfruttamento del lucrosissimo settore commerciale delle transazioni per la vendita di uva e altri prodotti di Agrigento

FIDANZAMENTI COMBINATI IN NOME DEL POTERE – ANCHE QUESTA E' LA 'NDRANGHETA!  – Blog degli Amici di Pino Masciari
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AGRIGENTO
Operazione “Xydi”.    Stamane  i Carabinieri del ROS, con il supporto operativo dei Carabinieri del Comando Provinciale di Agrigento e l’ausilio dei Comandi Provinciali di Trapani, Caltanissetta e Palermo, del XII Reggimento “Sicilia”, dello Squadrone Eliportato Cacciatori “Sicilia” e del 9° Nucleo Elicotteri, hanno dato esecuzione ad un Decreto di Fermo di indiziato di delitto emesso dalla Procura della Repubblica – Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo, nei confronti di 23 indagati, ritenuti a vario titolo responsabili di associazione per delinquere di tipo mafioso (Cosa nostra e stidda), concorso esterno in associazione mafiosa, favoreggiamento personale, tentata estorsione ed altri reati aggravati poiché commessi al fine di agevolare l’attività dell’associazione di tipo mafioso.
Le indagini, avviate nel 2018, si sono sviluppate nella parte centro orientale della provincia di Agrigento ove risulta attivo il mandamento mafioso di Canicattì (AG) che costituisce tuttora l’epicentro del potere mafioso dell’ergastolano campobellese F. G., pure destinatario del provvedimento precautelare in esame in quanto risultato a capo della provincia mafiosa di Agrigento.
Le attività investigative, nel fare luce sugli assetti di cosa nostra agrigentina ed in particolare del suddetto mandamento, hanno consentito di documentare, l’attuale operatività delle sue articolazioni territoriali, rappresentate dalle famiglie di Canicattì, Campobello di Licata, Ravanusa e Licata, nonché individuarne gli esponenti di maggior rilievo. 
Sono emersi, tra gli altri, D. C. C., capo del mandamento, B. G., rappresentante del citato F. e organizzatore del mandamento, nonchè B. L., capo della famiglia di Ravanusa.
In tale cornice, nell’ambito delle dinamiche associative delle articolazioni mafiose oggetto di indagine, ruolo di rilievo ha ricoperto P. A., compagna di B. G., che, in qualità di difensore di numerosi affiliati del Mandamento, tra cui lo stesso F., sfruttando le garanzie del mandato difensivo, ha messo a disposizione degli stessi il proprio studio legale per l’esecuzione di summit mafiosi, ritenendolo luogo non soggetto ad investigazioni. 
Presso lo studio, infatti, si sono svolti incontri che hanno riguardato esponenti mafiosi di primo piano quali B. L. (capo della famiglia mafiosa di Ravanusa), S. G. (capo della famiglia di Favara), L. G. (capo della famiglia mafiosa di Licata), C. S. (uomo d’onore di Villabate, già fedelissimo di B. P.) e C. A. (esponente di vertice della rinata stidda). 
Sul punto gli elementi raccolti hanno altresì permesso di accertare che F. G., sottoposto al regime ex art. 41 bis OP, oltre a riuscire ad interagire con altri uomini d’onore (diversi da quelli con cui svolge i previsti periodi di socialità) a loro volta sottoposti al medesimo regime detentivo, servendosi del menzionato Avv. P. A., ha veicolato e ricevuto informazioni, mantenendo così la direzione operativa della provincia mafiosa di Agrigento.
Inoltre, sono stati ricostruiti i qualificati rapporti tra i rappresentanti del mandamento di Canicattì con esponenti di altre omologhe strutture delle province di Agrigento, Trapani, Catania e Palermo, sintomatici della perdurante unitarietà dell’organizzazione. 
In proposito, particolarmente rilevanti sono i contatti con esponenti della famiglia G. di Cosa nostra newyorkese, interessata ad avviare articolate attività di riciclaggio di denaro con cosa nostra siciliana.
Le investigazioni hanno inoltre messo in luce la rinnovata presenza nel territorio del mandamento di Canicattì della stidda, organizzazione mafiosa ricostituitasi intorno alle figure degli ergastolani semiliberi G. A. (ritenuto responsabile, quale mandante, dell’omicidio del Giudice R. L. avvenuto il 21 settembre 1990) e R. S. G. la quale, persistendo la situazione di pacificazione risalente agli anni ’90, opera in rapporti di sinergia criminale con cosa nostra, sia per la risoluzione di problematiche che per la spartizione delle attività criminali. 
Oltre al generalizzato controllo della criminalità comune, estremamente significative sono le infiltrazioni di Cosa nostra e della stidda nelle attività economiche. 
Al riguardo, grande rilievo assume il controllo e lo sfruttamento del lucrosissimo settore commerciale delle transazioni per la vendita di uva e di altri prodotti ortofrutticoli della provincia di Agrigento che, oltre a garantire rilevantissime entrate nelle casse delle organizzazioni, permetteva loro di consolidare il già rilevante controllo del territorio. 
In tale quadro, è stato pure sventato un progetto omicidiario organizzato dagli esponenti della stidda in danno di un mediatore e un imprenditore che non avevano corrisposto – a titolo estorsivo – alla nominata associazione mafiosa parte dei guadagni realizzati con le loro attività.
Tra le linee d’azione considerate più importanti da cosa nostra vi è quella dell’inabissamento, esigenza particolarmente sentita anche con riguardo alle inchieste giornalistiche, secondo l’esempio di P. B. per il quale rimanere invisibile era una inderogabile regola di vita.
La particolare ampiezza dell’azione investigativa ha cristallizzato, inoltre, la perdurante posizione apicale, nell’ambito di cosa nostra, di M. D. M. che, punto di riferimento decisionale dell’organizzazione, ha continuato a impartire direttive sugli affari illeciti più rilevanti gestiti dal sodalizio nella provincia di Trapani ed in altri luoghi della Sicilia. 
Sono stati colpiti, tra gli altri, M. D. M. e F. G. rispettivamente al vertice della provincia mafiosa di Trapani e della provincia mafiosa di Agrigento, gli esponenti di vertice di diverse articolazioni mafiose di cosa nostra (mandamento di Canicattì e famiglia di Favara) nonché capi, promotori e organizzatori della rinnovata associazione mafiosa stidda. 

ARRESTI A PALERMO , MA I MISTERI DELLA MAFIA RESTANO TANTI ANCORA

 

Arresti stamane a Palermo di otto soggetti malavitosi legati alla Mafia siciliana.L’esecuzione ad opera della  Dia su disposizione di un provvedimento del Gip del locale tribunale..            Gli arrestati appartengono alla famiglia  dell’Arenella, una delle più rappresentative del mandamento di Palermo – Resuttana, ritenuti, a vario titolo, responsabili di associazione mafiosa ed altro.

Svolta nelle indagini sulle stragi<br />"Ecco chi gestì i rapporti con i servizi"
Gaetano   Scotto

Tra di loro altri elementi di spicco come i fratelli Gaetano e Pietro Scotto.

Gaetano Scotto, che è parte civile nel processo sul depistaggio della strage Borsellino per essere stato accusato falsamente dall’ex pentito Vincenzo Scarantino, secondo gli inquirenti, dopo la scarcerazione sarebbe tornato a guidare la famiglia mafiosa dell’Arenella. Secondo i magistrati di Palermo e Caltanissetta, il segreto dei rapporti fra boss e servizi segreti resta legato a Gaetano Scotto, imprenditore edile e mafioso del clan palermitano dell’Arenella,. Ma sul suo conto restano ancora tanti i misteri.

Ricorderemo che i pm di Caltanissetta avevano  saputo dal pentito Angelo Fontana che sarebbe stato proprio Scotto a fornire il detonatore che doveva far esplodere la carica piazzata davanti alla villa di Falcone..       Poi la libertà e adesso altro procedimento pende sullo stesso per l’omicidio di Vincenzo Agostino, il poliziotto ucciso nel 1989 con la giovane moglie. Sorte diversa per il  il fratello, Pietro Scotto,  arrestato per la strage ma poi  assolto dalla Corte di appello..