Scandalo finanziario per il Palazzo di Londra: il Tribunale del Vaticano infligge le condanne. Nei guai il cardinale Becciu

 

Angelo Becciu - Fotogramma

Nella foto il Cardinale Angelo Becciu

 

E’ l’ora del Tribunale del Vaticano . I giudici hanno  condannato il cardinale Angelo Becciu a 5 anni e 6 mesi di reclusione nell’ambito del processo per lo scandalo finanziario legato alla compravendita del Palazzo di Londra. L’accusa aveva chiesto 7 anni e tre mesi.

Il tribunale del Vaticano ha altresì condannato Becciu ad 8 mila euro di multa e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici.

Le altre condanne inflitte dal Tribunale del Vaticano

Le altre condanne inflitte dal Tribunale vaticano nel processo per lo scandalo finanziario legato alla compravendita del Palazzo di Londra: René Brulhart e Tommaso Di Ruzza multa di euro millesettecentocinquanta; Enrico Crasso alla pena di anni sette di reclusione ed euro diecimila di multa con interdizione perpetua dai pubblici uffici; Raffaele Mincione alla pena di anni cinque e mesi sei di reclusione, euro ottomila di multa con interdizione perpetua dai pubblici uffici; Fabrizio Tirabassi pena di anni sette e mesi sei di reclusione, euro diecimila di multa con interdizione perpetua dai pubblici uffici; Nicola Squillace, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche, alla pena – sospesa – di anni uno e mesi dieci di reclusione; Gianluigi Torzi alla pena di anni sei di reclusione ed euro seimila di multa, alla interdizione perpetua dai pubblici uffici e alla sottoposizione alla vigilanza speciale per un anno; Cecilia Marogna pena di anni tre e mesi nove di reclusione con interdizione temporanea dai pubblici uffici per uguale periodo; LOGSIC HUMANITARNE DEJAVNOSTI D.O.O. alla sanzione pecuniaria di euro quarantamila ed al divieto di contrattare con le autorità pubbliche per anni due.

Il Premio Nobel per la pace alla giornalista iraniana Mohammadi per” l’enorme sofferenza e lotta per i diritti delle donne e contro la pena di morte”

 

Il premio Nobel per la pace del 2023  all’iraniana Narges Mohammadi  ,nelle foto , per “la sua lotta contro l’oppressione delle donne in Iran”. La lotta della 51enne attivista e giornalista iraniana è portata avanti “a fronte di un’enorme sofferenza”, ricordano le sue tante condanne e frustate che “mentre ora parliamo è detenuta in carcere”.

Mohammadi sta pagando “un tremendo costo personale” per la sua lotta

Mohammadi, detenuta nel famigerato carcere di massima sicurezza di Evin, è stata arrestata 13 volte, condannata cinque, a un totale di 31 anni di carcere e 154 frustate. Il Comitato Nobel ha sottolineato “il tremendo costo personale” che sta pagando l’attivista di 51 anni per sua “coraggiosa lotta” per i diritti delle donne e contro la pena di morte.

“Se le autorità iraniane prenderanno la giusta decisione la rilasceranno così che potrà essere qui per ritirare il premio a dicembre”, ha detto la presidente del comitato dei Nobel di Oslo Berit Reiss-Andersen. Il Premio Nobel alla dissidente iraniana, ha aggiunto, “è anche un riconoscimento alle centinaia di migliaia di persone che hanno protestato contro le politiche di discriminazione e oppressione contro le donne del regime teocratico”.

“Speriamo questo sia un incoraggiamento a continuare il loro lavoro nelle forme che il movimento troverà più adatte”, ha aggiunto, sottolineando che il premio per la pace all’attivista in carcere Narges Mohammadi è “in primo luogo e soprattutto un riconoscimento ad un intero movimento in Iran di cui Mohammadi è leader indiscussa”. “.

Mafia dei Nebrodi, escono le sentenze di condanne : un lungo elenco di persone dietro le sbarre

 

Le foto segnaletiche in possesso della Polizia ed Organi giudiziari. Sono oltre 600 gli anni di carcere comminati agli esponenti della’Organizzazione, riconosciuta mafiosa,  91 le persone condannate in primo grado dieci gli assolti.

Messina,

Queste le condanne in primo grado che riguardano il maxi processo dei Nebrodi: condanna a 13 anni e 4 mesi per Pasqualino Agostino Ninone; 2 anni e 2 mesi per Laura Arcodia; 7 anni e 4 mesi per Sebastiano Armeli; 3 anni e 10 mesi per Giuseppe Armeli Moccia; 7 anni e 8 mesi per Rita Armeli Moccia; 5 anni e 4 mesi per Salvatore Armeli Moccia; 15 anni e mezzo per Calogero Barbagiovanni; 2 anni (pena sospesa)per Alessio Bontempo; 4 anni per Gino Bontempo; Calabrese Maria Chiara e Antonino Caputo; 3 anni e 4 mesi per Giuseppe Bontempo, Antonino Calì e Giuseppe Carcione.

Ancora: 12 anni per Salvatore Bontempo; 25 anni e 7 mesi per Sebastiano Bontempo detto “biondino”, 6 anni e mezzo per Sebastiano Bontempo Scavo, 10 anni per Salvatore Calà Lesina, Gino Calcò Labruzzo; 5 anni e 10 mesi per Jessica Coci; 17 anni e mezzo per Carolina Coci; 4 anni e 8 mesi per Rosaria Coci; 4 anni e 4 mesi per Sebastiano Coci, Giusy Conti Pasquarello e Antonina Costanzo Zammataro; 3 anni per Denise Conti Mica, 11 anni e 2 mesi per Ivan Conti Taguali; 5 anni per Massimo Costantini e Giuseppe Costanzo Zammataro (classe ’50); 3 anni per Claudia Costanzo Zammataro, 16 anni e 4 mesi anni per Giuseppe Costanzo Zammataro (classe ’82), 12 anni per Giuseppe Costanzo Zammataro (classe ’85); 3 anni e 2 mesi per Loretta Costanzo Zammataro; 3 anni per Romina Costanzo Zammataro, 6 anni per Valentina Costanzo Zammataro, 4 anni per Barbara Crascì, 4 anni e 4 mesi per Katia Crascì, 9 anni e 10 mesi per Lucio Attilio Rosario Crascì.

UN LUNGO ELENCO

Inoltre 3 anni e 4 mesi per Salvatore Antonino Crascì, 6 anni e mezzo per Sebastiano Crascì, 13 anni e 7 mesi per Sebastiano Craxi; 2 anni per Sara Maria Crimi e Pietro Di Bella; 4 anni e 10 mesi per Salvatore Dell’Albani; 10 anni e mezzo per Sebastiano Destro Mignino, 6 anni e 11 mesi per Marinella Di Marco; 3 anni e 4 mesi per Maurizio Di Stefano; 5 anni 4 mesi per Antonino Faranda; 30 anni per Aurelio Salvatore Faranda; 4 anni per Davide Faranda; 6 anni e 2 mesi per Emanuele Antonino Faranda e Gaetano Faranda; 11 anni per Massimo Giuseppe Faranda; 2 anni (pena sospesa) per Giuseppe Ferrera e Valentina Foti; 4 anni per Vincenzo Galati Giordano (classe ’58); 21 anni e 8 mesi per Vincenzo Galati Giordano (classe ’69); 4 anni e 4 mesi per Santo Massaro Galati; 4 anni e 10 mesi per Daniele Galati Pricchia; 6 anni e 2 mesi per Emanuele Galati Sardo, 7 anni per Mario Gulino; 10 anni per Alfred Hila; 4 anni e 2 mesi per Roberta Linares; 11 anni e 8 mesi per Pietro Lombardo Facciale; 3 anni e 8 mesi per Francesca Lupica Spagnolo; 5 anni e mezzo per Rosa Maria Lupica Spagnolo; 3 anni per Mancuso Catarinella e Fabio Mancuso Cristoforo; 9 anni e mezzo per Antonino Marino Agostino; 6 anni e 8 mesi per Rosario Marino e Giuseppe Natoli; 4 anni e 10 mesi per Antonino Angelo Paterniti Barbino; 3 anni e mezzo per Massimo Pirriatore; 5 anni e 2 mesi per Elena Pruiti; 10 anni per Francesco Protopapa; 2 anni per Angelamaria Reale; 3 anni e mezzo per Danilo Rizzo Scaccia; 3 anni e 4 mesi per Giuseppina Scinardo e Angelica Giusy Spadaro; 4 anni per Giuseppe Scinardo Tenghi; 2 anni e mezzo a Giuseppe Spasaro; 11 anni e 10 mesi ad Antonia Strangio, 3 anni a Mirko Talamo; 10 anni e 3 mesi a Giovanni Vecchio; 5 anni e 8 mesi a Carmelino Zingales.

ASSOLUZIONI

Tante le assoluzioni parziali per i condannati, mentre vengono assolti i signori; Lucrezia Bontempo, Sebastiana Calà Campana, Andrea Caputo; Rosa Maria Faranda; Innocenzo Floridia, Giuseppina Gliozzo, Giuseppe Natoli, Elisabetta Scinardo Tenghi, Salvatore Terranova. Prescrizione totale per Giovanni Bontempo.

Fine del “cerchio magico” per l’ex Giudice Saguto condannata in appello a 8 anni e 10 mesi per “allegra gestione delle nomine degli amministratori pubblici”

La giudice Saguto

 

La Corte d’Appello di Caltanissetta ha condannato a 8 anni e 10 mesi l’ex presidente della sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo Silvana Saguto, imputata di corruzione, concussione e abuso d’ufficio.

La giudice, che nel corso del processo è stata radiata dalla magistratura, era accusata di aver gestito illecitamente le nomine degli amministratori giudiziari dei beni sequestrati e confiscati alla mafia scegliendo solo professionisti a lei fedelissimi. In cambio avrebbe ricevuto da loro favori e regali. In primo grado aveva avuto 8 anni e 6 mesi. A cinque anni di distanza dal primo avviso di garanzia, dopo tre anni di processo, è stata letta dal presidente del tribunale di Caltanissettta, Andrea Catalano, la sentenza che chiude il dibattimento sugli affari illeciti nella gestione dei beni confiscati alle cosche, definito dall’accusa come “un sistema perverso e tentacolare” di cui la giudice, radiata dalla magistratura nel 2019, era il vertice di comando..

 Sostanzialmente lievi modifiche dalla sentenza di primo grado. Nel processo erano imputati a vario titolo anche personaggi ritenuti appartenenti al «cerchio magico» dell’ex presidente. Tra loro l’avvocato Gaetano Cappellano Seminara, considerato il «re» degli amministratori giudiziari, che è stato condannato a 7 anni e 7 mesi; il marito dell’ex giudice, l’ingegnere Lorenzo Caramma, condannato, come in primo grado, a 6 anni e due mesi, il figlio di Silvana Saguto, Emanuele Caramma, condannato a 4 mesi.

Confermata la pena di 3 anni per l’ex prefetto di Palermo Francesca Cannizzo e per il professore della Kore di Enna ed ex amministratore giudiziario Carmelo Provenzano, che in primo grado aveva avuto 6 anni e 10 mesi. Condannati anche a un anno e 4 mesi Walter Virga, figlio del giudice Tommaso Virga, processato separatamente e assolto col rito abbreviato, messo alla guida, questa la tesi dei pm, dell’impero sequestrato agli imprenditori Rappa, senza avere alcuna esperienza.

A 4 anni e 2 mesi è stato condannato l’amministratore giudiziario Roberto Santangelo, a 2 e 8 mesi il tenente colonnello della Guardia di finanza Rosolino Nasca, a un anno e dieci mesi il preside della facoltà di Giurisprudenza di Enna Roberto Di Maria. Condanne a 2 anni e 8 mesi per Maria Ingrao, la moglie di Provenzano e Calogera Manta, la cognata. 

 

SICILIA CORROTTA : LA CORTE DEI CONTI CONDANNA GLI EX GOVERNATORI LOMBARDO E CROCETTA E RINVIA A GIUDIZIO 14 EX ASSESSORI PER LA NOMINA ILLECITA DI PATRIZIA MONTEROSSO

La corruzione, fenomeno ancora molto diffuso nel nostro Paese - Il Faro  Online

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I giudici d’appello della Corte dei Conti, presieduta da Valter Camillo Del Rosario, hanno confermato la condanna per due ex presidenti della Regione Siciliana, Raffaele Lombardo e Rosario Crocetta e 12 ex assessori regionali a risarcire le casse della Regione per la nomina e la successiva riconferma di Patrizia Monterosso, (nella foto sotto) a segretario generale dell’ente perché ritenute “illecite”.

 

 

La nomina di Patrizia Monterosso illegittima", il procuratore Albo chiede  un risarcimento di un milione di euro | BlogSicilia - Ultime notizie dalla  Sicilia

La Procura della Corte dei Conti aveva citato in giudizio gli amministratori al pagamento di 893.942 euro. Il procuratore regionale della Corte dei conti, Gianluca Albo, ha disposto la citazione in giudizio per i 14 ex amministratori regionali. Con Lombardo gli ex assessori Alessandro Aricò, Accursio Gallo, Beppe Spampinato, Daniele Tranchida, Amleto Trigilio, Marco Venturi; con Crocetta anche Mariella Lo Bello, Vania Contrafatto, Giovanni Pistorio, Bruno Marziano, Baldo Gucciardi e Luisa Lantieri. Parte della richiesta è andata in prescrizione circa 576 mila euro. Alla fine per Lombardo dovrà risarcire 52 mila euro, Crocetta 106 mila euro. Gli ex assessori della giunta Lombardo: Aricò, Gallo, Spampinato, Tranchida, Trigilio, Venturi dovranno pagare a testa 8 mila e 600 mila euro. Gli ex assessori di Crocetta: Lo Bello, Contrafatto, Pistorio, Marziano, Gucciardi e Lantieri, a testa 17.750 euro.

Patrizia Monterosso non fu confermata nell’incarico dal governatore Nello Musumeci e ora è direttore della Fondazione Federico II, articolazione della presidenza dell’Assemblea regionale siciliana.

MAFIA, COSCA DI 23 IMPUTATI CONDANNATI DAI GIUDICI DI PALERMO

 

Tribunale di Palermo – Stato dei luoghi destinato alla Polizia  Penitenziaria – SiNAPPe

Nella foto (d’Archivio) il Tribunale di Palermo

 TRA I MAFIOSI  ALLA SBARRA ANCHE IL PRESUNTO ASSASSINO DELL’AVV. ENZO FRAGALA’ : FRANCESCO ARCURI

Palermo

Processo “Athena”  23 imputati sono stati condannati dal  gup del tribunale di Palermo Clelia Maltese  col rito abbreviato a circa un secolo -nella somma degli anni da scontare -di carcere   per una  un’inchiesta di mafia condotta dai carabinieri sulla cosca di Porta Nuova

Assolti unici persone e tra questi c’è uno dei presunti assassini dell’avvocato Enzo Fragalà, Francesco Arcuri, condannato nel processo per il delitto a 24 anni, ma oggi scagionato dalle ipotesi di associazione mafiosa ed estorsione. Assolto pure Gregorio Di Giovanni, che col fratello Tommaso (che invece è stato condannato) è considerato uno dei boss del mandamento centrale del capoluogo siciliano.

I reati accertati sono a carico di  un gruppo di persone che avrebbero sottoposto a estorsioni sistematiche i commercianti delle zone del centro di Palermo e che avrebbero anche trafficato in droga. Si tratta di Pietro Burgio, per il quale è stato disposto un aumento di 2 mesi su una precedente condanna; Cristian Caracausi, due mesi e 20 giorni; Salvatore D’Oca 4 anni, 5 mesi e 10 giorni; Salvatore De Luca 3 anni, 6 mesi e 20 giorni; Salvatore De Santis sei mesi; Alessandro Angelo Di Blasi 3 anni e 20 giorni; Tommaso Di Giovanni, in continuazione 15 anni e 6 mesi; Benedetto Graviano, cugino dei boss di Brancaccio, in continuazione 5 anni e 6 mesi; Alessio Haou e Khemais Lausgi 4 anni; Filippo Maniscalco 5 anni e 4 mesi; Giovanni Maniscalco 4 anni, 5 mesi e 10 giorni; Gandolfo Emanuel Milazzo e Fabrizio Nuccio due anni e otto mesi; Francesco Pitarresi 11 anni e 8 mesi; Gaspare Rizzuto un anno e cinque mesi; Giovanni Salerno 6 anni 2 mesi e 20 giorni; Antonio Sorrentino 4 anni e 4 mesi; Rosalia Spitaliere un anno, 9 mesi e 10 giorni; Settimo Spitaliere 4 anni, 5 mesi e 10 giorni; Salvatore Sucameli un anno e quattro mesi; Vincenzo Toscano un anno e sei mesi; Costantino Trapani 2 anni e 6 mesi.

Sentenza di assoluzione invece per  Arcuri e Gregorio Di Giovanni,  Giulio Affronti, Paolo Calcagno, Gioacchino Cirivello, Sebastiano Vinciguerra, Vincenzo Cusimano, Andrea Damiano, Michele Madonia, Rosolino Mirabella e Antonino Pisciotta.

Si apprende che il Tribunale ha accolto parzialmente le richieste dei pubblici ministeri Amelia Luise e Giovanni Antoci, del pool coordinato dal Procuratore aggiunto dr. Salvatore De Luca.  Vedremo in seguito lo svolgimento delle difese legali degli imputati.

Corte dei Conti, in Sicilia aumentano le condanne contro dipendenti pubblici e l’assenteismo (incontrollato) dei dirigenti

INAUGURAZIONE ANNO GIUDIZIARIO

CORTE DEI CONTI: LA DIRIGENZA PUBBLICA NON PROCEDE  ALLA DEFINIZIONE DEGLI OBIETTIVI

anno giudiziario 2019, Corte dei conti, Guido Carlino, Sicilia, Cronaca

La Corte dei Conti per la Sicilia, nel 2018, ha emesso 118 sentenze in materia di responsabilità amministrativa nei confronti di 186 amministratori o dipendenti pubblici, pronunciando condanne per 15.552.387 euro con un leggero incremento rispetto all’anno precedente (14.365.799,95).

Il dato emerge dalla relazione del presidente Guido Carlino che inaugura l’anno giudiziario 2019 della sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione siciliana nell’aula magna della scuola delle scienze giuridiche ed economico sociali dell’Università di Palermo, alla presenza delle più alte cariche istituzionali.Risultati immagini per immagini corte dei conti

La Sezione, cui sono assegnati sette magistrati (il presidente e sei giudici, rispetto ad un organico di quattordici magistrati), con un tasso di scopertura del 50%, ha celebrato 103 udienze pubbliche (collegiali e monocratiche) e 56 udienze camerali.

Oltre alle sentenze in materia di responsabilità amministrativa, sono state emesse 50 sentenze in materia di conti giudiziali resi da agenti contabili (tesorieri, consegnatari, economi, etc.); 788 sentenze in materia di pensioni pubbliche; 163 ordinanze e 8298 decreti in materia di conti giudiziali.

Tre funzionari dell’Inps sono stati condannati – uno addirittura a oltre due milioni di euro – per avere erogato assegni e prestazioni non dovute. Sono casi di cui si è occupata la sezione giurisdizionale della Corte dei Conti per la Sicilia, segnalati nella relazione del presidente Guido Carlino.

Il caso più grave, sanzionato con la condanna a due milioni, ha come protagonista un impiegato che ha liquidato 441 indennità di disoccupazione a persone che non ne avevano diritto. L’illecito è stato scoperto nell’ambito di un’indagine a largo raggio condotta dalla Guardia di finanza.

Un altro funzionario dell’Inps è stato condannato a pagare 950 mila euro per avere liquidato assegni familiari oltre il dovuto. Il caso è stato segnalato dal servizio ispettivo dell’istituto di previdenza.

La terza condanna riguarda un funzionario dell’Inps che aveva concesso, con una “clausola meramente formale” o giustificazioni non pertinenti, sgravi per crediti contributivi.

“ia azione con coraggio e determinazione, rischia di allontanarsi sempre più sia dal faro del principio costituzionale di buon andamento che dagli interessi generali delle comunità e dei territori.

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Catania-Qui alla Soprintendenza etnea si verificano le anomalie e disfunzioni segnalate per la Pubblica amministrazione dal Procuratore generale

“L’anno appena concluso-secondo una comunicazione sintetizzata del Procuratore generale – ha visto lo sviluppo di un ampio ed interessante dibattito sul debito pubblico e sui limiti della sua sostenibilità; un dibattito che, lungi dall’essere prevalentemente dottrinario, ha avuto ricadute immediate e significative sulle scelte strategiche di politica economica e finanziaria, in tal modo determinando una rimodulazione delle risorse a disposizione dell’amministrazione pubblica in generale e di quella territoriale in particolare.

Cosicché si corre il rischio di una amministrazione che percepisca e metabolizzi solo i fattori di incertezza, chiudendosi a riccio e privilegiando la filosofia del “giorno per giorno”, anziché affrontare le sfide di una realtà in continua dinamica evoluzione.
Una pubblica amministrazione, che agisce solo in chiave difensiva, rischia però di aggravare il suo peso  negativo sul disavanzo di bilancio, sull’indebitamento e sulle capacità di rientro.  Una pubblica amministrazione, timorosa nel costruire la propria identità Prestazioni terapeutiche ed ospedaliere erogate dal servizio sanitario nazionale.  La razionalizzazione della spesa, in parallelo con l’introduzione di cogenti vincoli di bilancio, ha in particolare avuto ripercussioni non di poco conto sulla finanza territoriale, con effetti tanto più distorsivi quanto
più il contenimento della spesa è avvenuto sulla base di parametri lineari e storici, anziché mediante avveduti provvedimenti selettivi.

Malgrado le criticità che hanno accompagnato questi indirizzi di politica economica, le Procure regionali della Corte sono intervenute con mirate ed equilibrate indagini ogni qualvolta siano state destinatarie di specifiche segnalazioni circa il mancato rispetto da parte delle amministrazioni locali degli obblighi normativi di riduzione degli stanziamenti anche con riferimento a specifiche voci di spesa.
In questo contesto si collocano le indagini per i danni erariali correlati alla violazione degli equilibri di bilancio,agli oneri maturati a carico degli enti locali a seguito di indebitamento non consentito, alla copertura di spese correnti con provviste finanziarie vincolate ad investimenti.
L’amministrazione pubblica ha compiuto passi importanti nel miglioramento delle proprie capacità operative, portandole sempre più vicine ai cittadini, ma, il traguardo è ancora molto lontano ed il panorama del nostro Paese si presenta tutt’oggi a macchia di leopardo.
Si sono infatti accentuate le differenze territoriali nella qualità dei servizi erogati ai cittadini e negli stessi modelli di gestione. È quindi tornato di attualità il dibattito circa l’articolazione dei rapporti fra Stato centrale e Regioni.    Dopo una fase storica nella quale si propendeva per l’accorpamento in “macroregioni”, stanno emergendo precise istanze volte a ripensare il disegno costituzionale, incentrato sul carattere derogatorio delle autonomie differenziate, giustificate solo da loro evidenti caratteri di peculiarità.   Vero è che dalle complesse dinamiche del
ventunesimo secolo e dalla sua “velocizzazione del tempo” emerge l’esigenza di organizzare l’esercizio del potere in maniera efficiente e flessibile, concedendo ampi margini di distinzione alle realtà locali anche sotto il profilo istituzionale.  Tuttavia, è altrettanto indubbio che il potenziamento
delle autonomie dovrà necessariamente accompagnarsi ad un effettivo e coerente riposizionamento di tutti i livelli di responsabilità, e non solo di quella politica.
Significative dinamiche di autonomia si stanno ad esempio sviluppando nella organizzazione degli uffici e nella definizione dei processi di gestione. Una delle strade intraprese dalle cosiddette amministrazioni maggiormente virtuose è stata quella di ridisegnare la figura del dirigente, ancorandola sempre più al conseguimento degli obiettivi prefissati e quindi alla sua responsabilizzazione.    La dirigenza pubblica, che comprende figure professionali di altissimo livello, dovrebbe infatti contribuire a mettere definitivamente nel cassetto il concetto di azione amministrativa fondata solo sul mero rispetto formale delle regole procedimentali.
L’amministrazione pubblica deve invece procedere alla definizione strategica degli obiettivi in sede di governance e quindi attivare coerentemente i percorsi di gestione idonei a tal fine.  L’amministrazione di procedimento deve, dunque, trasformarsi in amministrazione per funzioni ed obiettivi, nella quale la dirigenza assuma un ruolo di assoluta centralità nel conseguimento dei risultati necessari alla realizzazione dei programmi.
La pubblica amministrazione deve superare l’attuale difficoltà che manifesta nel definire idonei obiettivi generali, coerenti piani di attuazione, realistici progetti esecutivi, nonché concreti modelli di gestione. E soprattutto, vincendo ataviche resistenze, deve abituarsi a velocizzare i tempi di definizione e di attuazione delle strategie: il fattore tempo è sicuramente un indice significativo ai fini del giudizio sulla efficacia e sull’efficienza dell’azione amministrativa. Il Dipartimento della funzione pubblica ha recentemente, in un proprio documento, posto in evidenza gli indicatori comuni per le funzioni di supporto nelle amministrazioni pubbliche.
In tale sede è stato opportunamente specificato che “gli indicatori di performance sono misure quantificabili, critiche, significative e prioritarie che permettono di misurare l’andamento di una organizzazione nei suoi più svariati aspetti”. Le principali finalità degli indicatori possono essere sintetizzate “nell’accrescimento della cultura della misurazione nelle amministrazioni, nell’incentivazione delle politiche organizzative mirate ad
incidere sugli aspetti misurati, nell’implementazione del monitoraggio per creare un set informativo munito di serie storiche, nel supportare i processi decisionali”.
Nella gestione per obiettivi – affidata ad una dirigenza pubblica sempre più consapevole e responsabile del proprio ruolo – trovano spazio tutti i nuovi modelli di organizzazione delle funzioni pubbliche, fra i quali in primo luogo quelli che valorizzano le potenzialità del partenariato pubblico – privato.
Negli ultimi tre decenni la pubblica amministrazione ha intrapreso la strada di un profondo cambiamento degli strumenti giuridici utilizzati per perseguire l’interesse pubblico, impiegando sempre di più quelli propri del diritto privato. Tanto che attualmente essa può vantare una riconosciuta ed incontroversa piena capacità negoziale.   Non solo: la pubblica amministrazione è chiamata ad operare assai spesso in sinergia con le imprese private,attraendone le risorse per effettuare investimenti su progetti di interesse generale. La eterogeneità delle forme giuridiche che assumono tali sinergie non deve però far dimenticare che in gioco resta e deve rimanere in posizione dominante l’interesse pubblico. Con una implicazione importante: la pubblica amministrazione non può abiurare al proprio ruolo di regolatore e di titolare di penetranti poteri di controllo.
Funzioni queste che devono essere esercitate con efficacia oltre che con il massimo rigore. Non sono state poche le indagini – alcune delle quali tuttora in corso anche in relazione a vicende particolarmente gravi – che hanno evidenziato indizi di sostanziali criticità proprio quali conseguenze della attenuazione del potere regolatorio e del manchevole esercizio dell’attività di controllo. 
In particolare, dalle indagini sui destinatari di concessioni pubbliche sono emersi con evidenza specifici nodi patologici. Il livello regolatorio nelle concessioni deve invece essere molto attento, atteso che al concessionario va riconosciuta ampia autonomia per far fronte al rischio di impresa, contrattualmente assunta.   La convenzione concessoria e/o il contratto di servizio che accompagnano il provvedimento di concessione debbono dunque costituire la base per l’esercizio dei poteri di regolazione e vigilanza.  Costituiscono pertanto fonte di responsabilità amministrativa la mancata o insufficiente organizzazione delle strutture pubbliche competenti ad esercitare con tempestività i prescritti poteri, regolatori e di vigilanza.

La Corte non ha mancato di avvalersi di tutti gli strumenti di cui dispone – di giurisdizione e controllo – per porre in luce la necessità di monitorare continuamente il rispetto da parte dei concessionari dei loro obblighi contenuti nelle convenzioni di servizio. A titolo esemplificativo, in sede di controllo di legittimità di un decreto ministeriale – che convalidava un Piano degli interventi per la sicurezza antisismica di viadotti autostradali –, la Corte ha evidenziato che “è compito e responsabilità dell’amministrazione provvedere, con l’urgenza dovuta, alla conclusione dell’iter procedimentale concernente l’approvazione degli interventi dell’intero impianto infrastrutturale, necessari alla completa messa in sicurezza dei percorsi autostradali (in questione: A24 e A25 ndr). Si rimette all’Amministrazione l’onere di adoperarsi a predisporre con maggiore tempestività gli atti che hanno ad oggetto lavori urgenti…”.    La valorizzazione della dirigenza pubblica e il rafforzamento dei poteri regolatori nel partenariato costituiscono, dunque, due importanti priorità nel percorso di riduzione del gap di efficacia e di efficienza della amministrazione pubblica italiana.
È diffusa l’opinione secondo la quale i molti “mali” dell’amministrazione troveranno soluzione nella digitalizzazione delle procedure. Concordo senza dubbio sull’importanza di implementare i processi di dematerializzazione in atto e di estendere e consolidare le reti informatiche già esistenti. Tutto ciò andrà sicuramente a beneficio della tempestività, della trasparenza e della imparzialità dell’azione pubblica, contrastando indirettamente gli sprechi (tali intendendosi le spese inutili) e la stessa corruzione, che verrebbe in questo modo colpita alla radice.
Tuttavia, la digitalizzazione e la dematerializzazione delle procedure rischiano di restare due parole totem, se non accompagnate da una adeguata rivisitazione dei processi decisionali e dalla sicura individuazione dei centri di responsabilità gestionale. Processi decisionali e centri di responsabilità che necessariamente vanno ricondotti alla sfera soggettiva degli amministratori pubblici, dei dirigenti e, via via, dei responsabili dei procedimenti.
Non solo: è anche indispensabile che digitalizzazione e dematerializzazione non assurgano a valori autonomi. Esse nascono e debbono restare strumenti dell’innovazione, promosse e guidate dalla stretta sinergia fra “il mondo” informatico e quello degli utilizzatori dei sistemi; questi ultimi chiamati essi stessi a superare ogni resistenza o remora culturale, molto spesso foriere di una ingiustificata quanto mascherata opposizione all’ innovazione.

L’interesse pubblico deve costituire per i dipendenti dello Stato e degli Enti territoriali, per tutti indistintamente gli operatori pubblici, l’obiettivo da perseguire nello svolgimento dei compiti a loro demandati. In particolare, l’impiego delle risorse pubbliche deve essere supportato da un sistema di tutele specifiche particolarmente incisivo, sistema che la Costituzione ha assegnato alla Corte dei conti, come già evidenziato in precedenza.
In questo contesto si colloca l’azione della Procura contabile che esercita le proprie funzioni nell’ambito delle attribuzioni giurisdizionali della Corte. Naturalmente, anche nella fase investigativa – prima ancora che in quella giudicante – la valutazione della correttezza delle gestioni pubbliche deve essere supportata da parametri sufficientemente stabili, reciprocamente coerenti. Cosicché i pubblici operatori non debbano temere ingiustificate indagini a loro carico, che finirebbero per provocare pericolosi effetti paralizzanti delle dinamiche dell’azione amministrativa. Dinamiche che, invece, devono essere auspicabilmente caratterizzate da consapevole coraggio e orgogliosa disponibilità a volgere primaria attenzione alle esigenze dei cittadini.
Il principio di buon andamento, sancito dalla Costituzione, costituisce il contenitore dei valori etici di riferimento per qualsiasi azione pubblica.
Al di là delle formule e della mera enunciazione di brocardi, non può disconoscersi l’obiettiva difficoltà per l’amministrazione di operare in un incerto quadro regolamentare di riferimento.
In un sistema normativo multilivello, quale quello attuale, risulta infatti scardinata la tradizionale costruzione della gerarchia delle fonti.
Più volte sono state preannunciate opportune iniziative di semplificazione normativa, ma sinora ben poco si è concluso in concreto. Forse sarebbe necessario procedere con meno “proclami” e maggiori interventi selettivi, impostati su base settoriale. Il modo di scrivere le norme rispecchia la cultura di una nazione: è dunque importante recuperarne la qualità non solo sostanziale, ma anche formale.
Ad ogni modo, della complessità normativa che genera incertezze interpretative, quando adeguatamente giustificate, la Procura erariale si è fatta carico, valutando già nella fase preprocessuale le condotte dei pubblici operatori, con riferimento alla scriminante della colpa grave.
L’esperienza dimostra quanto sia importante la capacità dell’amministrazione di motivare i propri provvedimenti, soprattutto quelli ad ampio spettro discrezionale. La motivazione infatti serve ad individuare con chiarezza l’interesse pubblico specificamente perseguito, collegandolo in termini di congruità e coerenza alle scelte adottate. Il nostro Paese non dispone di un patrimonio infrastrutturale adeguato al suo sistema economico e produttivo. Si tratta di una realtà incontrovertibile che incide negativamente anche sulla qualità della vita dei cittadini: i trasporti, la viabilità, le reti di comunicazione, i sistemi portuali, la raccolta e la valorizzazione reddituale dei rifiuti, la sicurezza del lavoro, la manutenzione idrogeologica del territorio sono questi alcuni dei principali settori di sofferenza.
La mancanza di congrui investimenti al riguardo rischia di accrescere ulteriormente il gap economico e produttivo con gli altri Paesi, non solo facendo perdere competitività all’Italia ma determinando anche un peggioramento delle condizioni sociali delle comunità. In ogni caso si perdono occasioni importanti per potenziare quella ricchezza nazionale che è fondamentale per recuperare il disavanzo dei bilanci pubblici senza ricorrere all’aumento della pressione fiscale ovvero all’incremento del debito o ancora a misure straordinarie di prelievo. I recenti assetti di bilancio sembrano andare verso una politica riduttiva degli investimenti. È auspicabile che si tratti di un ridimensionamento solo temporaneo, giustificato in qualche modo dalla necessità di rimodulare le priorità e di definire nuovi modelli procedurali. Né gli investimenti indispensabili al nostro Paese riguardano solo i beni materiali. Le maggiori criticità anzi si registrano nel settore dei beni immateriali: è evidente l’assoluta inadeguatezza delle risorse destinate alla innovazione tecnologica, alla ricerca, all’istruzione ed alla cultura in genere.
È dunque necessario “contrastare il circolo vizioso fra povertà economica e povertà educativa. Le condizioni di bisogno o di deprivazione della famiglia di origine aumentano i rischi di marginalità anche nella scuola. La povertà delle conoscenze moltiplica i pericoli di marginalità da adulti. La scuola non può rinunciare ad essere un motore di mobilità sociale… Ciò non vuol dire che vada attenuata la cura per i talenti. È possibile tenere insieme l’ampliamento delle opportunità e lo sviluppo delle eccellenze: alle volte può non essere facile, ma questa è la sfida” (intervento del Presidente della Repubblica in occasione della cerimonia di inaugurazione dell’anno scolastico 2018/2019, Isola d’Elba 17 settembre 2018)
Né si dica che queste problematiche esulano dalla sfera di competenza valutativa della Procura erariale. Tutt’altroAd esempio, numerose indagini hanno riguardato carenze macroscopiche nella gestione del patrimonio culturale, carenze che sono risultate attribuibili non tanto alla responsabilità dei funzionari preposti, quanto alla mancanza di risorse. Carenze che sono andate dalla diffusa insufficiente manutenzione dei beni di interesse storico, artistico ed ambientale, alla difficoltà di “mettere a reddito” un patrimonio culturale pur di inestimabile valore. Numerose indagini hanno riguardato il settore dei lavori pubblici, settore caratterizzato da una straordinaria complessità e da una infinita apertura della forbice tipologica.
Un dato però sembra accomunare tutti i lavori pubblici, dal più piccolo allestimento dell’arredo urbano in un giardino alla realizzazione di una strada: il ritardo e il mancato rispetto della tempistica prevista. Infatti, senza inopportune generalizzazioni, è possibile dedurre dalle numerose indagini svolte al riguardo la difficoltà dell’amministrazione a progettare e realizzare gli interventi con la doverosa tempestività. Spesso è stata altresì rilevata la frequente incapacità di definire le modalità ed i costi di gestione dell’opera una volta realizzata.
Un discorso a parte meritano gli investimenti per interventi non conclusi, ovvero per opere pubbliche realizzate e mai utilizzate.
Un fenomeno, questo, intercettato dalle indagini delle Procure regionali con incrementata frequenza ed avvertito dai cittadini con particolare preoccupazione, come dimostrano le numerose segnalazioni che pervengono, sempre più caratterizzate da concretezza e specificità.
Anche la rigidità dei progetti può causare seri ostacoli nella fase realizzativa, soprattutto quando uest’ultima, sviluppandosi in un lungo arco di tempo, si accompagna al mutamento del quadro tecnologico ed a sopraggiunte diverse esigenze economiche e sociali. Un certo grado di flessibilità progettuale è del resto compatibile anche con le dinamiche insite in molte delle forme nelle quali si sviluppa il partenariato pubblico-privato per la realizzazione delle opere infrastrutturali ad alta complessità.  La democrazia si basa sulla fisiologica alternanza delle maggioranze, con conseguente comprensibile periodica rivisitazione delle strategie di programmazione degli interventi, della rimodulazione delle priorità, delle scelte sui processi di esecuzione.
Al principio dell’alternanza deve però affiancarsene un altro, quello della continuità dell’azione amministrativa, un principio questo dal sapore antico, forse troppo in fretta confinato negli spazi dell’oblio. Il prudente bilanciamento fra la naturale discontinuità con il passato e la continuità con quanto avviato rappresenta la sfida delle politiche volte ad un solido sviluppo economico e sociale, alla credibilità esterna della amministrazione, al contrasto degli eventuali onerosi effetti distorsivi, ad un cambiamento progressivo ed equilibrato.

Altro problema è quello delle progettazioni affidate all’esterno senza che, nel conferimento dell’incarico,l’amministrazione abbia espressamente chiarito i parametri e gli obiettivi di interesse pubblico che vuole raggiungere.E senza che successivamente vi sia un’attenta opera di asseverazione accompagnata da un’opportuna analisi costi-benefici, proiettata nel tempo e basata sulla valorizzazione di tutti i fattori necessari, economici, finanziari e sociali. Per quanto riguarda le opere “incompiute” occorre considerare anche la circostanza che esse, una volta progettate, appaltate e magari anche cantierate, vengono abbandonate a sé stesse, dimenticate per semplice incuria, per errate valutazioni progettuali, per lunghi contenziosi con gli appaltatori, per sopravvenute interruzioni delle linee di inanziamento. Numerose indagini si sono soffermate sulle irregolarità nelle gare e sulla mancanza di ricorso alle procedure ad evidenza pubblica, soprattutto in sede di rinnovo o proroga del contratto di appalto, con conseguenti danni da violazione degli obblighi di concorrenza. Altre hanno riguardato opere pubbliche e forniture di qualità inferiore a quella prevista e pagata, modifiche progettuali inutili ed irrazionali, certificazione di lavori mai effettuati.
Il contenimento delle previsioni di spesa per investimenti nel bilancio nazionale è in parte equilibrato dagli interventi della BEI (la Banca Europea degli Investimenti), la quale dispone di finanziamenti per il nostro Paese di circa dodici miliardi di euro all’anno. La BEI ha ripetutamente segnalato la difficoltà di operare in Italia per le carenze dell’apparato amministrativo. Infatti, come affermato dal Vice Presidente Dario Scannapieco, “In Italia la tematica importante è migliorare la capacità di spendere… Abbiamo bisogno di figure tecniche nell’amministrazione pubblica, che si è molto impoverita. Abbiamo bisogno di ingegneri, di geometri e tecnici che possano rafforzare la qualità dei progetti e se non si predispone in maniera chiara un progetto si rischia di andare incontro a varianti ed aggiustamenti successivi che fanno poi esplodere i costi”.
Le recenti disposizioni in materia previdenziale, che facilitano i percorsi di pensionamento del personale, suscitano notevoli preoccupazioni circa le ricadute sulla organizzazione degli uffici per i vuoti negli organici che presumibilmente si apriranno copiosi nel breve termine. Tali vuoti, tuttavia, costituiscono una occasione unica da non perdere per promuovere il ricambio generazionale nei quadri pubblici con l’immissione in ruolo di risorse portatrici di professionalità specifiche, maggiormente aperte all’innovazione dei processi di gestione e al corretto utilizzo delle tecnologie.
FENOMENO   ASSENTEISMO NEGLI UFFICI PUBBLICI DELLA REGIONE SICILIANA –

Sarà importante consentire ai nuovi assunti la fruizione di adeguati percorsi di formazione e di aggiornamento e, soprattutto, far maturare in loro il senso di appartenenza, l’orgoglio di servire il pubblico interesse. Motivare il personale, del resto, significa valorizzarne la professionalità e contrastarne tutte le condotte che esprimono disaffezione, apatia, passività, quando non giungono agli estremi di comportamenti assenteisti, passibili di censura disciplinare, penale e contabile. A questo riguardo – tornando al presente – le Procure regionali, quasi tutte, hanno dovuto anche nello scorso anno promuovere indagini in materia di assenteismo fraudolento (timbratura del cartellino al posto di colleghi, allontanamento dal servizio senza autorizzazione,simulazione di infermità, svolgimento di attività extraistituzionale in orario di lavoro).
Il fenomeno dell’assenteismo può considerarsi endemico ed è difficile da estirpare. Si sono susseguite nel tempo normative sempre più stringenti, ma i risultati conseguiti non sono stati pari alle aspettative. Si fa riferimento all’articolo 69 del decreto legislativo 27 ottobre 2009 n. 150 al decreto legislativo 20 luglio 2017 n.118.  L’assenteismo costituisce il presupposto per la responsabilità amministrativa dell’impiegato infedele,sotto il profilo del danno patrimoniale per omessa prestazione e del danno all’immagine (per il quale è anche sufficiente il solo clamor interno all’amministrazione di appartenenza ed ai soggetti attorno ad essa gravanti).
In alcuni casi, le Procure hanno ravvisato una corresponsabilità dei dirigenti o dei funzionari che non hanno attuato con sufficiente attenzione le doverose verifiche sulla presenza del personale. Le Sezioni riunite della Corte sono intervenute al riguardo con una interessante pronuncia affermando che la condanna per danno all’immagine dovuto a fenomeni di assenteismo non presuppone necessariamente, in ossequio alla regola generale, una condanna penale passata in giudicato (Ordinanza n. 6/18). Anche dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo n. 175 del 2016 in materia di società a partecipazione pubblica, restano numerosi ed importanti spazi di incertezza applicativa, che riguardano anche il regime delle responsabilità.   Recependo i numerosi e qualificati indirizzi dottrinari espressi in materia, si torna ad evidenziare come l’inserimento nella rete del diritto privato di un modello societario pubblico sia ontologicamente svincolato dalle dinamiche reali ed abbia dato origine ad un sistema caratterizzato da fortissimi rischi elusivi dei principi che presidiano la stessa regolarità delle società di diritto civile e soprattutto di quelli che salvaguardano l’azione pubblica (in particolare, il principio di buon andamento).   Vedasi -nota Sud Libertà -ad integrazione le denunce del sindacato autonomo SIAD negli anni 2010-17 sull’assenteismo “legalizzato”/truccato dei dirigenti dei beni culturali e Soprintendenza di Catania(n.d.r.)

La diffusione incontrollata del nuovo modello di società pubbliche non ha portato ad una maggiore efficienza complessiva dell’amministrazione, anche se non sono mancati e non mancano esempi virtuosi in controtendenza, comunque troppo pochi per incidere sul sistema.
Con un recente referto la Sezione Autonomie della Corte ha osservato che ancora oggi resta elevato il numero delle partecipazioni detenute dagli enti territoriali, per alcune delle quali non sono neppure previsti interventi di razionalizzazione. In proposito, una Procura regionale ha ritenuto
sussistente il danno erariale imputabile agli amministratori comunali per non aver posto in liquidazione una società del tutto non operativa, per di più priva delle capacità di recupero funzionale per il perseguimento delle finalità statutarie.  In un altro caso è stato imputato al rappresentante del
socio pubblico componente del Consiglio di amministrazione il danno corrispondente al pregiudizio arrecato al valore della partecipazione pubblica.
In un altro caso ancora è stato contestato l’anomalo comportamento decisionale di un Comune che ha stipulato un contratto preliminare di vendita di alcuni terreni alla propria società in house, autorizzando la stessa a stipulare un finanziamento bancario che il Comune stesso non avrebbe potuto conseguire per i vincoli di indebitamento.
Al contratto preliminare non ha fatto seguito, come prevedibile, alcun atto traslativo, sebbene il prezzo fosse stato pagato andando ad incrementare artatamente la liquidità. È stata parzialmente accolta dal Giudice di primo grado la contestazione di una Procura territoriale nei confronti dei componenti di una Giunta regionale per il danno procurato dalla ostinata allocazione di cospicue risorse pubbliche nel sostegno ad una casa di gioco (gestita da società in house). La società, in base a chiari indicatori economico finanziari, non era più in grado di tornare ad assicurare l’equilibrio dei saldi di gestione (richiesta contestata in citazione circa 140 milioni di euro, accolta per circa 30 milioni di euro, appello in corso).

Papa Francesco: “severe condanne dinanzi alla piaga degli abusi sessuali degli uomini della Chiesa”

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Papa Francesco vuol iniziare la sua battaglia per combattere la piaga della pedofilia : Afferma “Il popolo di Dio ci guarda e attende da noi non semplici e scontate condanne, ma misure concrete ed efficaci da predisporre“. “Cari fratelli, dinanzi alla piaga degli abusi sessuali perpetrati da uomini di Chiesa a danno dei minori, – spiega ai 190 presenti nell’Aula Nuova del Sinodo – ho pensato di interpellare voi, patriarchi, cardinali, arcivescovi, vescovi, superiori religiosi e responsabili, affinché tutti insieme ci mettiamo in ascolto dello Spirito Santo e con docilità alla Sua guida ascoltiamo il grido dei piccoli che chiedono giustizia”.

Il Pontefice osserva: “Grava sul nostro incontro il peso della responsabilità pastorale ed ecclesiale che ci obbliga a discutere insieme, in maniera sinodale, sincera e approfondita su come affrontare questo male che affligge la Chiesa e l’umanità. Il santo Popolo di Dio ci guarda e attende da noi non semplici e scontate condanne, ma misure concrete ed efficaci da predisporre. Ci vuole concretezza”.

Corruzione internazionale: condannata SAIPEM per una maxi tangente da 198 milioni di euro

 

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Corruzione internazionale nel processo sulla presunta maxi tangente, pagata da Saipem in Algeria: la  IV sezione penale di Milano ha assolto l’Eni e il suo amministratore Paolo Scarono.. Condannati anche sei degli imputati,  e condannata invece Saipem dichiarata “responsabile dell’illecito amministrativo” e multata per 400mila euro.

I giudici hanno condannato per corruzione internazionale Farid Noureddine Bedjauoi (5 anni e 5 mesi), braccio destro dell’ex ministro dell’Energia del governo algerino, Chekib Khelil, ritenuto dagli inquirenti milanesi il collettore delle tangenti destinate ai politici di Algeri. Secondo l’impianto accusatorio, Saipem (partecipata da Eni) avrebbe versato a una cerchia di politici algerini una maxi tangente da 198 milioni di euro in cambio di commesse petrolifere del valore complessivo di 8 miliardi. 

Condannati entrambi bi a 4 anni e 9 mesi l’ex direttore operativo di Saipem Pietro Varone e l’ex amministratore delegato del gruppo Pietro Tali; per l’ex direttore finanziario Alessandro Bernini la pena è di 4 anni e 1 mese; condanna a 4 anni e 1 mese anche per il presunto riciclatore delle mazzette Omar Habour e Samyr Ouraied, stretto collaboratore di Bedjauoi. Assolto, oltre a Scaroni, anche il manager Eni Antonio Vella, ex responsabile del gruppo per l’area del Nord Africa.

L’Eni in una nota comunica quanto segue: “è lieta che il processo abbia avvalorato gli esiti delle verifiche promosse dalla società e realizzate da soggetti terzi indipendenti sulle attività oggetto di giudizio, verifiche che escludevano già all’epoca qualsiasi coinvolgimento di Eni e del suo management in relazione a condotte illecite o corruttive”. 

 

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