In settimana la Corte Costituzionale si pronuncerà sui ricorsi dipendenti pubblici per la riduzione dei tempi di pagamento della liquidazione/ buonuscita o Tfs

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Si attende la sentenza della  corte Costituzionale sull’anticipo Tfr-Tfs.  Forse domani oppure un altro rinvio per approfondimenti. La sentenza sarà di interesse immediato degli Enti pubblici, delle Asp, dei Servizi Personale delle Regioni ed enti locasli.

Secondo l’Inps e gli intenti governativi il differimento della liquidazione è di una quelle misure che serve per sostenere i costi dello Stato.

 

I lavoratori dipendenti pubblici quando cessano il rapporto di lavoro hanno diritto, a differenza dei lavoratori del settore privato che ricevono il Tfr, Trattamento di fine rapporto, ad avere il Tfs, Trattamento di Fine Servizio, e altre prestazioni diverse, a seconda dell’Amministrazione presso la quale è stato prestato servizio, come indennità di Buonuscita (IBU), i cui destinatari sono i dipendenti dello Stato in senso stretto (dipendenti dei Ministeri, delle Agenzie Fiscali, della Scuola, dell’AFAM e dell’Università); indennità Premio di Servizio (IPS), di pertinenza dei dipendenti degli Enti Locali, delle Regioni e del Servizio Sanitario Nazionale; e indennità di Anzianità (IA), destinata ai dipendenti degli Enti Pubblici non Economici e delle Camere di Commercio.

Si sa che l’importo del Tfr viene accantonato dal datore di lavoro privato o pubblico in misura variabile secondo la retribuzione: la somma accantonata ogni anno corrisponde ad una mensilità di stipendio e viene calcolata dividendo lo stipendio annuale per 13,5. Il montante viene poi moltiplicato per gli anni di servizio, rivalutato del 75% dell’indice di aumento dei prezzi al consumo dell’anno precedente e aumentato di una quota fissa dell’1,5%. Le discussioni sono aperte proprio su modalità e tempi di pagamento del Tfr-Tfs. 

 

Secondo quanto affermato dall’Inps, è legittimo pagare la liquidazione ai dipendenti pubblici dopo anni dal termine del rapporto di lavoro.

L’Inps sottolinea la differenza tra Tfs, Trattamento di fine servizio, e Tfr, Trattamento di fine rapporto, ritenendo che solo il Tfr possa essere pagato subito.

Oggi la liquidazione del Tfs che può allungarsi fino a 5 anni rispetto al momento in cui il lavoratore cessa il rapporto di lavoro, riconosciuta senza rivalutazione e senza interessi, implica un taglio del circa 30% della somma spettante, tassa che pagano solo i dipendenti pubblici.

Secondo i ricorrenti che riconoscono l’illegittimità della decisione, non c’è alcuna differenza tra Tfs e Tfr e non deve sussistere nessuna differenza nei tempi di pagamento di entrambe i trattamenti, oggi decisamente differenti. Un lavoratore dipendente privato, infatti,  ha un tempo di attesa di  ‘soli’ 45 giorni.

La nuova sentenza della Corte Costituzionale,  dovrà decidere se pagamenti differiti del Tfs ai dipendenti pubblici siano legittimi o meno. La Corte Costituzionale dovrebbe esprimersi sostenendo  la riduzione dei tempi di pagamento del Tfs agli statali e altri dipendenti pubblici i

I ricorsi presentati per i pagamenti del Tfs sono motivati tanto dai singoli tempi troppo lunghi che bisogna attendere per ricevere il proprio Trattamento spettante per i lavoratori pubblici, sia dalla forte differenza rispetto ai tempi di pagamento del Tfr ai lavoratori privati.

I tempi di pagamento del Tfr-Tfs agli statali cambiano in base al motivo di cessazione del rapporto di lavoro e sono generalmente di: 12 mesi per cessazione del rapporto di lavoro se raggiungimento dei requisiti, limiti di età o di servizio, per andare in pensione; 

-24 mesi per cessazione del rapporto di lavoro se per dimissioni volontarie.

Inoltre, in base all’importo di Tfr da liquidare, che per legge può avvenire: in un’unica soluzione se l’importo è pari o inferiore a 50mila euro; in due rate annuali se l’importo è compreso tra 50mila euro e inferiore 100mila euro e se l’importo lordo complessivo è superiore a 50.000 euro e inferiore a 100.000 euro la liquidazione del Tfs avviene in due rate, la prima pari a 50.000 euro e la seconda pari all’importo residuo; 

 

Il finto pianto dell’ex Ministro prof.Fornero

Pogliese: “riprendo il percorso di servizio alla città di Catania con lo stesso entusiasmo e gioia di prima”

 

Comunicato del Comune di Catania     .Nella foto il Sindaco  avv. Salvo Pogliese

“Ho apprezzato la serietà che il Tribunale di Catania ha dimostrato nel sollevare il caso della legge Severino davanti alla Corte Costituzionale e sospendere il provvedimento del prefetto. Mi auguro che quello che è accaduto a Catania induca il Legislatore a modificare una legge ingiusta e sbagliata. Riprendo con gioia un percorso di servizio alla città di Catania, con la stessa passione e lo stesso entusiasmo del primo giorno della mia elezione nel giugno 2018, quando ho lasciato la carica di europarlamentare per essere eletto sindaco con il 52% dei consensi. Un cammino di rinascita che non si è mai interrotto, grazie all’impegno generoso degli assessori, del vicesindaco Roberto Bonaccorsi, del capo di gabinetto Giuseppe Ferraro, del consiglio comunale, che hanno remato tutti nella stessa direzione. Ringrazio soprattutto i cittadini che non mi hanno mai fatto mancare il loro affetto e il loro sostegno per affrontare le emergenze che si sono dovute affrontare in questi due anni del mandato”.

Disco rosso della Corte Costituzionale al Referendum elettorale

Disco rosso della Corte Costituzionale   al referendum elettorale proposto da otto Regioni – dell’area  centrodestra – con l’intento di annullare la parte proporzionale della legge elettorale mutandolo in un sistema maggioritario ‘puro’. Per i giudici della Consulta, il quesito è “inammissibile” perchè “eccessivamente manipolativo”.

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La Corte Costituzionale, produce alcune informazioni preliminari che precedono il deposito della sentenza previsto per il 10 febbraio prossimo. E cioè:  “la richiesta è stata dichiarata inammissibile, per l’assorbente ragione della eccessiva manipolatività del quesito referendario, nella parte che riguarda la delega al Governo, ovvero proprio nella parte che, secondo le intenzioni dei promotori, avrebbe consentito la autoapplicatività della normativa di risulta”.
Il referendum elettorale dal titolo ‘Abolizione del metodo proporzionale nell’attribuzione dei seggi in collegi plurinominali nel sistema elettorale della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica’, era stata presentata da otto Consigli regionali: Lombardia, Piemonte, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Liguria, Abruzzo, Basilicata e Sardegna. La richiesta referendaria era  quella di eliminare la quota proporzionale dei due testi legislativi elettorali del Senato e della Camera, trasformando così il sistema elettorale interamente in un maggioritario a collegi uninominali.

Cartabia Presidente della Consulta

Consulta, Cartabia eletta presidente

Il giudice Marta Cartabia(nella foto sopra ) è il nuovo presidente della Corte Costituzionale, eletta dai giudici riuniti al palazzo della all’unanimità, con 14 voti a favore e la sua scheda bianca.

Cartabia, milanese di San Giorgio su Legnano, 56 anni, prima donna a salire sullo scranno più alto a palazzo della Consulta, era stata nominata giudice della Corte Costituzionale dal Quirinale e aveva giurato davanti al Presidente della Repubblica a settembre del 2011: il suo mandato da presidente della Consulta – di cui dal novembre 2014 era vicepresidente – scadrà dunque a settembre del prossimo anno, essendo di nove anni la durata della carica di giudice costituzionale.

 

Disco verde alla manovra anche al Senato – Il Pd annuncia ricorso alla Corte Costituzionale- Si scoprono altre tasse per i cittadini

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Tra un fiume di contestazioni ed insulti la manovra è riuscita ad avere l’approvazione al Senato. Nella notte tra il 22 e il 23 dicembre Palazzo Madama ha dato disco verde con 167 voti a favore. Sono stati 78 i contrari mentre 8 gli astenuti. Ora il testo è atteso nuovamente alla Camera prima di diventare legge. Polemiche in Aula con il PD che durante le dichiarazioni ha annunciato il ricorso alla Corte Costituzionale.

Adesso il Governo pone la questione di fiducia al Senato  con i deputati di Pd e Leu che hanno abbandonato la Commissione del bilancio sulla manovra. La protesta  è stata fatta  dopo che Daniele Pesco (M5S), presidente della Commissione, ha fatto sapere che probabilmente la commissione non avrebbe avuto il tempo necessario per analizzare tutti gli emendamenti.  Emma Bonino piange in Aula :  alcuni affermano che tale comportamento equivale ad una  sintesi di un iter politico travagliato e complicato.

 

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Come previsto, il Senato si è riunito alle ore 17.00 con la presidente Casellati che ha immediatamente interrotto i lavori convocando i capigruppo per stabilire come procedere per l’analisi del testo della manovra.  Intanto il PD annuncia l’occupazione dell’Aula. Le critiche da parte dell’opposizione sono legate al fatto che la Commissione non ha discusso neanche un emendamento perchè il tempo a disposizione non consentiva l’esame o la lettura

Fedelissimo a sé stesso, il governo sembra tuttavia non curarsi delle proteste e andare avanti sostenuto  dalla maggioranza che gli ha consentito di passare in Senato e rispedire la manovra alla Camera per la terza lettura. “Siamo stanchi ma contenti” ha detto il vicepremier Matteo Salvini, poco prima del voto e “mi pare sia tutto pronto”, ha aggiunto, spiegando che i decreti su reddito di cittadinanza e pensioni saranno approvati “nei primi giorni di gennaio”

Sentenza della Corte Costituzionale sul risarcimento del lavoratore licenziato – Cambia la disciplina Jobs Act

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Novità sulla disciplina dei licenziamenti .Secondo quanto stabilito dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 194 depositata oggi, il criterio di determinazione dell’indennità che spetta al lavoratore ingiustamente licenziato – e legato esclusivamente all’anzianità di servizio – è incostituzionale. L’indennità risarcitoria sarà il giudice a decidere tenendo  conto non solo dell’anzianità di servizio ma anche degli altri criteri “desumibili in chiave sistematica dall’evoluzione della disciplina limitativa dei licenziamenti, numero dei dipendenti occupati, dimensioni dell’attività economica, comportamento e condizioni delle parti”.

Con questa sentenza la Consulta dichiara così incostituzionale sia quanto previsto dal Jobs act nel 2015 sui contratti a tutele crescenti che quanto modificato dal Dl Dignità nel 2018 che ha innalzato la misura minima e massima dell’indennità. Il meccanismo di quantificazione del risarcimento pari a un ”importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio” spiega ancora la sentenza della Consulta, rende l’indennità ”rigida” e ”uniforme” per tutti i lavoratori con la stessa anzianità, così da farle assumere i connotati di una liquidazione ”forfetizzata e standardizzata” del danno derivante al lavoratore dall’ingiustificata estromissione dal posto di lavoro a tempo indeterminato.

Pertanto, il giudice,  “nell’esercitare la propria discrezionalità nel rispetto dei limiti, minimo (4, ora 6 mensilità) e massimo (24, ora 36 mensilità), dell’intervallo in cui va quantificata l’indennità, dovrà tener conto non solo dell’anzianità di servizio, criterio che ispira il disegno riformatore del 2015, ma anche degli altri criteri ”desumibili in chiave sistematica dall’evoluzione della disciplina limitativa dei licenziamenti (numero dei dipendenti occupati, dimensioni dell’attività economica, comportamento e condizioni delle parti)”.

La disposizione censurata, prosegue la Corte Costituzionale, contrasta anzitutto con il principio di eguaglianza, sotto il profilo dell’ingiustificata omologazione di situazioni diverse: finisce, conclude la Corte, “col prevedere una misura risarcitoria uniforme, indipendente dalle peculiarità e dalla diversità delle vicende dei licenziamenti intimati dal datore di lavoro, venendo meno all’esigenza di personalizzazione del danno subito dal lavoratore, anch’essa imposta dal principio di eguaglianza”.

I Magistrati “burattini” della Spagna congelano l’investitura di Puigdemont, leader della Catalogna

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Non c’è pace per la Catalogna e il suo leader.  La Spagna decide di congelare la nomina di Puigdemont e usa la Corte Costituzionale per sospendere l’investitura di Carles Puigdemont a presidente del governo regionale catalano, accogliendo il ricorso del governo spagnolo. Puigdemont a Bruxelles da ottobre, è ricercato in Spagna con ” l’accusa di ribellione” dopo aver dichiarato l’indipendenza catalana. I rappresentanti della Corte hanno deciso all’unanimità “di sospendere preventivamente l’investitura di Puigdemont a meno che non compaia di persona nel parlamento (catalano) con previa autorizzazione giudiziaria“.

“Il dibattito e la votazione per l’investitura di Carles Puigdemont non potranno essere tenuti tramite videoconferenza né delegando il suo voto”, secondo la sentenza. “L’investitura di un candidato senza l’autorizzazione giudiziaria pertinente non può andare avanti”, si legge. I 12 magistrati hanno preso la decisione dopo una sessione plenaria che è durata oltre sette ore.    E’ un’altra prova che la magistratura spagnola è nelle mani del governo che vuole fermare a tutti i costi con “invenzioni personalizzate”chi  è riuscito ad ottenere l’indipendenza della Catalogna –

Puigdemont è l’unico candidato per la presidenza regionale catalana. Il governo spagnolo aveva contestato la sua nomina alla corte, affermando che un “fuggiasco” non può guidare un parlamento regionale.  “Balla”  accolta pienamente dai magistrati-burattini della Spagna.