Enna, un acceso contrasto tra padre e figlio causa l’uccisione del padre a coltellate. Ricercato e subito arrestato.

 

 

Polizia - Fotogramma

Enna,

Una lite tra padre e figlio ha causato l’uccisione del   padre a coltellate per poi scappare e convincersi poi di rientrare ad Enna in Questura.

La Polizia del luogo ha posto M.M.,in stato di fermo,quale  presunto responsabile dell’omicidio del genitore convivente. Il delitto si sarebbe consumato all’interno dell’abitazione di famiglia, dove la vittima sarebbe stata colpita da numerosi fendenti inferti con un’arma da taglio, presumibilmente un coltello da cucina, ritrovato sui luoghi. Il presunto autore, in seguito, si è allontanato facendo perdere le sue tracce.

Sono scattate le ricerche dei  poliziotti della squadra mobile  e dislocate numerose pattuglie su tutto il territorio ennese alla ricerca del sospettato, alcune delle quali si sono estese anche nelle province limitrofe dove, per un certo tempo, era stata localizzata l’utenza in uso dal presunto assassino. Il tempestivo intervento delle forze di Polizia ed il contestuale avvio delle indagini condotte dalla Procura di Enna hanno consentito agli agenti di agganciare telefonicamente il presunto autore del reato, che con estenuanti attività di convincimento è stato invitato a far rientro ad Enna. Nonostante ciò, nel frattempo, lo stesso è stato intercettato nei pressi degli uffici della Questura.

Dai primi accertamenti sarebbero emersi accesi e forti contrasti tra padre e figlio, accresciuti nel tempo, per motivi verosimilmente di carattere economico e, comunque, in fase di ulteriore indagine .  Il Pubblico Ministero di turno, dopo aver proceduto all’immediato interrogatorio dell’arrestato, durante il quale lo stesso ha parzialmente ammesso il tragico gesto, ne ha disposto il trasferimento in carcere, in attesa dell’udienza di convalida da parte del Gip.

Il Questore di Enna ha espresso massima soddisfazione per l’attività d’indagine svolta dal personale della Squadra Mobile di Enna 

 

 

Enna, neonato cade dal fasciatoio e, dopo vari interventi, non c’è più nulla fare

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Archivi -Sud Libertà

Enna

Un neonato di sei mesi di Agira, in provincia di Enna, è morto stamani all’ospedale Cannizzaro di Catania, dove è giunto ieri in condizioni disperate.      Sembra che  il piccolo sarebbe caduto dal fasciatoio, procurandosi gravissime lesioni. Immediata la corsa all’ospedale Umberto I di Enna, dove i medici hanno disposto il trasferimento in elisoccorso al nosocomio etneo. Qui il bimbo è stato sottoposto a un primo delicato intervento chirurgico per un vasto ematoma cerebrale e stamani a una seconda operazione per tentare di salvarlo. Per il piccolo, la fine era però giò segnata e non c’è stato, però, nulla da fare.

Contributi europei : tredici arresti in Sicilia per truffa ed operazioni inesistenti

Arresti per truffa per richiesta contributi europei

Enna,

Una inchiesta  della Guardia di Finanza di Enna si conclude con tredici arresti. Reati:  interposizione fittizia, truffa, falso, reimpiego di capitali illeciti e utilizzo di fatture per operazioni inesistenti.   Tra i fermati anche  un avvocato catanese.

Tredici  ordinanze di custodia cautelari sono state emesse e notificate-dal Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Caltanissetta Graziella Luparello, nell’ambito dell’operazione “Carta bianca” nel territorio di Centuripe, Regalbuto, Troina, Adrano, Catania e Randazzo. Sequestrate somme di denaro, società e aziende per oltre 3 milioni di euro. I reati contestati sono vari: interposizione fittizia, truffa, falso, reimpiego di capitali illeciti. Tra i soggetti destinatari della custodia cautelare anche un avvocato del Foro di Catania e l’ex direttore dell’Azienda Speciale Silvo Pastorale del Comune di Troina. Altri sei sono stati invece sottoposti alla misura degli arresti domiciliari. 

«Le indagini della Guardia di Finanza di Nicosia e della DDA di Caltanissetta, con a capo il Procuratore Salvatore De Luca e coordinate dai Sostituti Pasquale Pacifico e Dario Bonanno, hanno consentito di acclarare come il metodo fosse sempre quello da tempo denunciato da Antoci, cioè le sistematiche infiltrazioni nel settore dei contributi europei per l’agricoltura».

«Questa volta a cadere sotto la scure del ”Protocollo Antoci” e della Giustizia è una famiglia criminale che utilizzava prestanomi visto che i suoi componenti erano impossibilitati a conseguire i contributi comunitari in quanto destinataria di interdittiva antimafia ai sensi del Protocollo Antoci oggi legge dello Stato. Inoltre, per poi rientrare dalle somme erogate ai prestanomi, effettuavano emissione di fatture false per operazioni inesistenti».

Gli indagati avevano messo le mani anche sui pascoli demaniali sempre utilizzando tutta una serie di imprese a loro collegate tentando di aggirare fraudolentemente le regole previste dal cosiddetto  “Protocollo Antoci” e del conseguente “nuovo codice antimafia” che lo ha in toto recepito nel 2017. Circa 1200 ettari di pascoli demaniali, hanno permesso agli indagati di percepire illecitamente elevati contributi comunitari.

Dall’attività di indagine, inoltre, «è emerso che gli indagati risultano anche legati da rapporti di parentela o affinità con soggetti già condannati in via definitiva per associazione di stampo mafioso in quanto esponenti di rilievo di famiglie di cosa nostra operanti nel territorio». 

«Come ormai noto, bastava mantenersi sotto la soglia dei 150 mila euro, oltre la quale risultava obbligatorio per la pubblica amministrazione richiedere l’informativa antimafia, per eludere e autocertificare falsamente di avere i requisiti previsti dalla norma –  –

Gli inquirenti ricordano che  negli anni hanno usufruito di tali erogazioni personaggi come Gaetano Riina fratello di Totò, le famiglie Santa Paola Ercolano e tantissimi altri capi mafia non solo siciliani. È così che in questi lunghi anni sono state assicurate alle consorterie criminali milioni e milioni di euro a discapito dei poveri agricoltori onesti per anni vessati dai mafiosi». 

Per contrastare tutto ciò Giuseppe Antoci creò nel 2015, insieme al Prefetto di Messina Stefano Trotta, un protocollo di legalità stipulato il 18.03.2015 tra la Prefettura di Messina e l’Ente Parco dei Nebrodi (appunto il cosiddetto “Protocollo Antocì’), ormai divenuto legge dello Stato e votato in Parlamento il 27 settembre 2017. Con il Protocollo è stato stabilito un nuovo e più stringente obbligo e cioè l’abbassamento della soglia da 150 mila euro a zero. Una vera svolta nella legislazione antimafia, una norma considerata epocale da tanti giuristi per l’attacco ai patrimoni dei mafiosi, una norma che, come ha dichiarato anche il Ministro degli Interni Luciana Lamorgese, è ormai “un paradigma nella lotta alla mafia, quale modello cooperativo per prevenire infiltrazioni nel tessuto economico sano”. 

I “Protocollo Antoci” dopo la  interdittiva antimafia emessa dal Prefetto di Catania e dopo aver subito la revoca dei contratti e la conseguente perdita delle erogazioni,  cercava nuovi prestanomi.    Ma il trucco era già conoscenza delle Procure.

Mafia, stop al mercato della droga e 46 arresti per estorsioni e spaccio

La legge della Mafia locale era di imporre il pizzo a tutti i commercianti e imprenditori della zona e di monopolizzare il mercato della droga, sfruttando la forza intimidatrice derivante dall’appartenenza alla famiglia di Cosa Nostra di Enna, per costringere le vittime a sottostare ai loro voleri. I 30 appartenenti al gruppo criminale oggetto dell’indagine “Caput silente” sono stati arrestati questa mattina al termine di un’attività investigativa condotta dagli agenti della Squadra mobile di Enna e del commissariato di Leonforte.

Gli indagati sono accusati di associazione per delinquere di tipo mafioso, aggravata dall’utilizzo delle armi, estorsioni, danneggiamenti, associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, detenzione e porto illegale di armi.
Nel corso dell’indagine sono state arrestate altre 16 persone in flagranza di reato, e sequestrate numerose armi da fuoco e notevoli quantità di cocaina, hashish e marijuana.

All’indagine hanno preso parte anche i poliziotti della Squadra mobile di Catania, dei Reparti prevenzione crimine e delle unità cinofile di Palermo e Catania, del Reparto volo di Palermo e della Polizia di frontiera di Catania.

L’attività odierna è una costola dell’operazione “Homo novus”, che nel 2014 aveva portato alla condanna per mafia degli affiliati alla famiglia di Cosa Nostra attiva a Leonforte.

L’operazione “Caput silente” ha evidenziato come i capi del gruppo criminale, nonostante fossero reclusi, abbiano continuato a dare disposizioni e direttive, anche con l’utilizzo di messaggi scritti su pezzi di carta, i cosiddetti pizzini, particolare che ha dato il nome all’indagine. Attraverso intercettazioni telefoniche, ambientali e videoriprese, supportate anche dai classici appostamenti e pedinamenti, gli investigatori hanno documentato l’attività criminale svolta dagli indagati.

Innumerevoli cessioni di sostanze stupefacenti, numerosi episodi di danneggiamento ai danni di commercianti, imprenditori, e di due agenti della polizia giudiziaria del commissariato di Leonforte che davano particolarmente “fastidio” all’organizzazione criminale.

I tipici “messaggi” utilizzati per minacciare le vittime erano costituiti dal taglio degli pneumatici delle auto, sulle quali venivano incise, con evidenti solchi sulla carrozzeria, anche delle croci. Ad un imprenditore sono state invece recapitate buste da lettera contenenti proiettili, insieme alla richiesta di una notevole somma di denaro.

Un altro particolare emerso dall’indagine è quello relativo alla politica delle estorsioni messa in atto dagli indagati, che chiedevano piccoli importi per la “protezione”, in modo che tutti potessero pagare senza problemi, con lo scopo di soggiogare la totalità degli operatori economici del loro territorio.

Le direttive all’interno dell’organizzazione venivano impartite con i classici pizzini, in modo da evitare il più possibile i contatti diretti tra gli appartenenti; questi godevano anche di una sorta di assicurazione interna, che scattava in caso di arresto, sotto forma di somme elargite ai familiari dei detenuti.

Nel corso dell’indagine gli investigatori hanno anche evitato l’omicidio di un pusher che doveva essere punito per non aver onorato un debito legato allo spaccio e per i suoi tentativi di contrastare il monopolio dell’organizzazione.

CODICE ROSSO: FERMATO AD ENNA DIPENDENTE DELL’OASI PER VIOLENZA SESSUALE SU UNA DISABILE

Violenza sessuale a Marina di Ragusa ai danni di una ragazza - Ragusa -  Corriere di Ragusa

Immagine d’archivio -Sud Libertà

Codice Rosso.  Il reato contestato è di violenza sessuale nei confronti di una disabile, in pieno periodo di lockdown. Presso l’Oasi di Troina, la ​Polizia di Stato – Squadra Mobile di Enna – ha eseguito, la notte scorsa,presso l’Oasi di Troina, il fermo di indiziato di delitto disposto dalla Procura della Repubblica di Enna diretta da Massimo Palmeri.  I pm Stefania Leonte e Orazio Longo, al termine dell’interrogatorio, hanno disposto il fermo di indiziato di delitto dell’indagato L.A. di 39 anni nato in provincia di Enna, per il reato di violenza sessuale aggravata dall’aver commesso il fatto ai danni di una donna disabile e nel momento in cui la stessa era a lui affidata.

La Squadra Mobile della Questura di Enna in data 11.09.2020 ha ricevuto dal legale, nominato dalla famiglia della vittima, una formale denuncia con la quale si poneva in luce che la congiunta era in stato di gravidanza, ed era già sofferente di gravissime patologie connesse ad una rara malattia genetica.     Il reato denunciato rientrava tra i nuovi delitti del Codice Rosso. Cioè quelli in cui è urgente l’immediatezza delle indagini e dei procedimenti giudiziari. Il Pubblico Ministero titolare del procedimento ha coordinato “l’avvio tempestivo delle indagini, convocando presso gli uffici della Procura della Repubblica i genitori della vittima“.

Gli investigatori della Polizia di Stato ed i Pubblici Ministeri hanno raccolto le dichiarazioni dei familiari, “tracciando sin da subito una prima ipotesi investigativa poi confermata dalle successive indagini”.            L’interrogatorio ha posto in luce elementi gravi,  “emergeva che la vittima della violenza sessuale era ospite da diverso tempo della Struttura Sanitaria I.R.C.C.S. Associazione “Oasi Maria SS” di Troina.  Qualche giorno prima del deposito della denuncia, i genitori erano stati avvisati da personale della struttura che la figlia era in stato di gravidanza-dicono gli inquirenti- Considerate le condizioni di salute particolarmente gravi non era possibile in alcun modo che la stessa avesse prestato il proprio consenso. Si è subito delineata l’ipotesi delittuosa che si potesse trattare di un grave caso di violenza sessuale”.

I primi accertamenti sanitari effettuati  con l’assistenza del reparto di ginecologia dell’Ospedale di Enna e del Policlinico di Palermo hanno consentito”di focalizzare l’attenzione degli investigatori su un gruppo di persone presenti in struttura al momento del presunto periodo di concepimento”. La donna, nel momento in cui è stato accertato lo stato di gravidanza, aveva superato la 25ma settimana di gestazione e, pertanto, alcune indagini di tipo sanitario non potevano essere effettuate per non mettere a rischio tanto la vita della donna quanto quella del feto.

. Presso la Squadra Mobile della Questura di Enna, guidata dal vicequestore aggiunto Antonino dr. Ciavola, sotto il continuo e costante coordinamento investigativo della Procura della Repubblica, sono stati  convocati i vertici aziendali della struttura sanitaria e successivamente tutti gli addetti ai vari servizi, dai medici agli operatori socio sanitari.

Dalle indagini è emerso che “nessuno della struttura sanitaria si è accorto dello stato di gravidanza, ipotizzando che l’aumento di peso della ragazza potesse dipendere dal fatto che durante il lockdown ai degenti era stato permesso di mangiare di più o che i farmaci somministrati a volte erano causa di una irregolarità del ciclo”. Dalle prime persone ascoltate dalla Squadra Mobile emergeva “solo un dato di fatto che rendeva la vicenda ancora più grave, ovvero che nessuno aveva accesso alla struttura senza autorizzazione e che altri ospiti disabili non avrebbero potuto commettere il reato“.

Le indagini- informano gli investigatori -si restringevano e sono state concentrate così sulle persone che vi prestavano l’attività lavorativa,” tanto da iniziare a procedere con il prelievo di un campione salivare per l’estrazione del profilo genetico (DNA) da parte degli operatori della Polizia Scientifica”. Dopo aver ascoltato decine di persone e prelevato diversi campioni di liquido biologico per l’estrazione del DNA, ieri mattina è stato convocato, tra gli altri, l’uomo fermato, operatore socio sanitario dipendente della struttura di Troina da due anni.

L’indagato faceva particolare confusione nel raccontare quanto accaduto negli scorsi mesi ed in particolar modo il periodo in cui la struttura di Troina era stata dichiarata zona rossa per il focolaio sviluppatosi all’interno con decine di positivi al covid-19- dicono- Gli investigatori intuendo  che l’uomo stesse nascondendo qualcosa e che non fosse del tutto sincero continuavano ad incalzare l’indagato concentrando i suoi sforzi di memoria al mese di aprile, in particolar modo alla presunta data del concepimento“.

Gli inquirenti spiegano pure che l’indagato  a fine marzo aveva  chiesto alla direzione sanitaria di poter fare accesso alla struttura per poter dare aiuto ai suoi colleghi in difficoltà ed alle persone degenti visto che era stata dichiarata la zona rossa con impossibilità di accesso o di dimissioni dall’Oasi. Dopo qualche giorno, stante la carenza di personale, veniva autorizzato ad accedere per prestare la propria attività di operatore socio sanitario.

Nei primi giorni di aprile, proprio nel periodo di massima emergenza sanitaria affrontato dalla struttura di Troina, il sospettato  era stato assegnato al reparto dove erano stati trasferiti tutti i soggetti risultati positivi al COVID-19. Nel corso di  una delle tante notti consecutive prestate in struttura, “approfittando dell’assenza temporanea dell’infermiere professionale, non curante neanche della positività al COVID -19, raggiungeva la vittima che conosceva da tempo e consumava un rapporto sessuale privandosi di ogni sistema di protezione antivirale, tuta e mascherina“.

. Al termine dell’interrogatorio la Procura della Repubblica di Enna ha disposto il fermo di indiziato di delitto, atto immediatamente eseguito dalla Polizia di Stato che ha condotto il fermato in carcere a disposizione dell’Autorità Giudiziaria. La Procura della Repubblica di Enna continuerà le attività d’indagine per chiarire ogni ulteriore aspetto ed eventuali responsabilità

Il “Capo dei capi “siciliano, Raffaele Bevilacqua, si saluta con il “bacio d’onore”, segno di rispetto. Emessi 46 provvedimenti cautelari

 

La leggenda di Osso, Mastrosso e Carcagnosso: i padri di mafia ...

 

I carabinieri del ROS e del Comando Provinciale di Enna hanno notificato tra Barrafranca, Pietraperzia, Catania, Palermo e Wolfsburg 46 provvedimenti cautelari emessi dal gip del Tribunale di Caltanissetta su richiesta della Dda Nissena: si tratta di persone affiliate o vicine al clan di cosa nostra di di Barrafranca e Pietraperzia.

Tutti sono accusati a vario titolo di associazione di tipo mafioso, associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, estorsioni, corruzione aggravata dall’aver favorito l’associazione mafiosa, detenzioni di armi e assistenza agli associati. Sono stati anche sequestrati beni per un valore di oltre un milione di euro.

Tutto ruota attorno al superboss,Raffaele Bevilacqua ,avvocato, già condannato per associazione mafiosa nel processo Leopardo, che tra la fine degli anni ’80 e i primi anni ‘90 era stato non solo componente del direttivo della Democrazia Cristiana ed in strettissimi rapporti con Salvo Lima, ma anche al vertice di cosa nostra ennese per intervento di Bernardo Provenzano. Raffaele Bevilacqua è stato, inoltre, condannato all’ergastolo per essere stato riconosciuto quale mandante – insieme a Francesco “Ciccio” La Rocca – dell’omicidio di Domenico Calcagno avvenuto a Valguarnera Caropepe nel maggio del 2003.

Bevilacqua era ai domiciliari a maggio del 2018 per motivi di salute,     Appena uscito il superboss ha ripreso immediatamente il comando operativo del clan con il fondamentale apporto dei suoi familiari. E comandava dall’ appartamento di Catania dove scontava i domiciliari e divenuto il crocevia di incontri con altri storici affiliati, primi fra tutti gli uomini d’onore Alessandro Salvaggio e Salvatore Privitelli, nel corso dei quali – dicono gli investigatori – venivano decise strategie e progettate le azioni da compiere, alcune anche molto gravi.

Dalle indagini è emerso che il carisma ed il rispetto di cui godeva Raffaele Bevilacqua siano rimasti intatti nonostante il tempo trascorso in carcere; significativo  il bacio d’onore  dall’anziano  Alessandro Salvaggio che, rivedendo il suo capo famiglia dopo più di 15 anni,  gli baciava le mani in segno di immutato rispetto.

Nel progetto di riorganizzazione della famiglia mafiosa  hanno assunto un posizione dominante i suoi figli, Flavio Alberto e Maria Concetta, quest’ultima avvocato del foro di Enna. Flavio Alberto era “l’interfaccia” del padre con il territorio e teneva dunque i contatti con gli altri affiliati e di concordare le azioni da intraprendere. Maria Concetta Bevilacqua, invece, “dimostrando fierezza del ruolo ricoperto dal padre all’interno dell’organizzazione mafiosa e piena adesione alla stessa”, non solo era solita compiacersi per il “rispetto” che le veniva tributato, ma, , incontrava presso il suo studio legale di Barrafranca gli affiliati ai quali consegnava- secondo gli investigatori – i “pizzini” scritti dal genitore con gli ordini da eseguire. La stessa al pari del fratello, partecipava alla scelte strategiche del gruppo criminale, organizzava gli incontri di Catania e, ancora una volta sfruttando il suo ruolo di legale, attuava una serie di manovre volte ad evitare il ritorno in carcere del padre.

 

A conferma che il tempo e la detenzione non abbiano rescisso il legame con l’organizzazione è stato anche documentato come Filippo Milano, anch’egli storico affiliato alla consorteria barrese, nel tempo avesse consegnato ai famigliari del suo capo cospicue somme di denaro con le quali, come la moglie del boss Giuseppa ammetteva, aveva provveduto a soddisfare i “piaceri” dei figli, tra cui la festa di laurea di Maria Concetta pagata proprio con il denaro provento di attività illecite.

Raffaele Bevilacqua assumeva il pieno controllo del territorio ed assicurarsi lauti ritorni economici, individuando nell’appalto del valore di 7.5 milioni di euro per la gestione dei Rsu del comune di Barrafranca una scelta prioritaria.

La famiglia – Raffaele, Flavio Alberto e Maria Concetta – agiva con l’ausilio di Alessandro Salvaggio e del figlio di questi, Salvatore, di Salvatore Privitelli e di Luigi Fabio La Mattina, imponendo all’Ati agrigentina vincitrice dell’appalto l’affitto degli spazi per il ricovero dei mezzi per un importo annuo di 27 mila euro e facendosi pagare il “pizzo” attraverso bonifici così da giustificare i pagamenti come “regolare” canone di locazione.

Secondo gli inquirenti vi sono anche attentati incendiari come quello commesso ai danni del ”Supermercato Decò” di Barrafranca del “Gruppo Arena” nella notte del 15 settembre del 2018. l   Il boss Raffaele Bevilacqua stabiliva con autorità mafiosa che il traffico e lo spaccio di droga dovevano essere gestiti in toto dalla famiglia  dalla quale erano costrette a rifornirsi tutte le piazze di spaccio presenti su Barrafranca.

TRAFFICO DI DROGA. I fornitori del clan erano catanesi. A loro si rivolgevano Salvatore Privitelli e Fabio Luigi La Mattina con  l’intermediazione del catanese Marco Vaccari. La gestione delle piazze di spaccio riconducibili alla famiglia mafiosa era demandata a Salvatore Strazzanti e Andrea Ferreri; Filippo Bonelli, Davide e Valentino La Mattina erano deputati al controllo e alla raccolta del denaro provento dello spaccio da consegnare ai vertici della famiglia. E’ in questa fase che l’indagine del Ros è andata ad intersecarsi con quella condotta dal Comando Provinciale di Enna, che su delega della Dda nissena stava svolgendo indagini sul traffico di droga – cocaina e marijuana – a Barrafranca. .

Nel corso delle perquisizioni a casa di Salvatore Strazzanti e Valentino La Mattina sono state sequestrate armi da fuoco e un libro mastro con la rendicontazione dell’attività di spaccio. . E’ stata accertata infatti la diretta e fondamentale partecipazione di Giuseppe Zuccalà, responsabile del IV Settore – Gestione del Territorio Infrastrutture e Servizi Manutentivi del Comune, nell’assegnazione di un appalto, con il metodo dell’affidamento diretto all’imprenditore Salvatore Blasco, risultato essere in stretti rapporti con la famiglia Bevilacqua.

Gli inquirenti forniscono i nomi dei destinatari dell’ordinanza di custodia in carcere: Raffaele Bevilacqua, Flavio Alberto Bevilacqua, Giuseppe Emilio Bevilacqua, Luigia Bellomo, Adriano Giuseppe Bevilacqua, Andrea Blasco, Filippo Bonelli, Davide Cardinale, Domenico Cardinale, Fabio Cardinale, Angelo Cutaia, Andrea Ferreri, Calogero Ferreri, Agatino Maxmiliam Fiorenza, Davide La Mattina, Giuseppe La Mattina, Luigi Fabio La Mattina, Valentino La Mattina, Dario La Rosa, Filippo Milano, Giovanni Monachino, Vincenzo Monachino, Salvatore Paternò, Salvatore Privitelli, Massimo Riggi, Vincenzo Russo, Alessandro Salvaggio, Salvatore Salvaggio, Giovanni Strazzanti, Salvatore Strazzanti, Sebastiano Tasco, Mirko Filippo Tomasello, Giuseppe Trubia, Angelo Tummino, Salvatore Marco Vaccari e il minorenne S.S.

Ai domiciliari sono finiti: Maria Concetta Bevilacqua, Abigail Bellomo, Rosetta Bellomo, Salvatore Blasco, Rosario Corvo, Stella Crapanzano, Davide Pagliaro, Cateno Sansone, Giuseppina Strazzanti, Giuseppe Zuccalà.

RAID DELL’ETNA: “TRA SCILLA E CARIDDI” L’EDIZIONE 2019

 

Turismo e Motori, oltre 70 equipaggi internazionali per il Raid dell’Etna

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Dal 29 settembre al 5 ottobre il “Giro della Sicilia per autostoriche” fra turismo, cultura, passione ed eleganza

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Oltre 70 vetture d’epoca e mille chilometri d’itinerario per l’evento sportivo internazionale che quest’anno riunisce nell’Isola equipaggi di tre continenti

Una tappa nuova, nel mitico lembo di mare tra “Scilla e Cariddi”, a bordo di gloriose vetture vestite d’eleganza: si preannuncia memorabile la 22esima edizione del “Raid dell’Etna”, in programma dal 29 settembre al 5 ottobre 2019. Il “Giro della Sicilia per autostoriche”, organizzato dalla Scuderia del Mediterraneo, vedrà per la prima volta oltre 70 equipaggi attraversare lo Stretto di Messina e godere di una passeggiata sul «più bel chilometro d’Italia», come D’Annunzio definì il lungomare di Reggio Calabria.

Il Raid dell’Etna si riconferma evento di riferimento per gli amanti del motorismo storico, sia europeo che d’oltreoceano, come testimonia la presenza di equipaggi provenienti da ben undici nazioni di tre continenti diversi: Giappone, Stati Uniti, Canada, Colombia, Svizzera, Belgio, Germania, Francia, Austria, Gran Bretagna e naturalmente l’Italia con partecipanti di varie regioni. Una manifestazione affascinante e imponente che lega turismo, competizione sportiva e cultura in una settimana di vacanza all’insegna della bellezza in ogni sua declinazione, a partire dai paesaggi spettacolari e dalle location suggestive che la Sicilia offre.

Oltre mille chilometri di itinerario si snoderanno tra residenze nobiliari, monumenti, siti storici ed emozionanti esperienze su quattro ruote, alla scoperta dei siti noti e meno noti dell’Isola. Un connubio a 360 gradi tra arte, lifestyle e agonismo, proponendo 60 prove cronometrate che determineranno la classifica della gara di regolarità.

Si partirà domenica 29 settembre da Palermo – dall’aristocratico Viale Libertà, come da tradizione – e proseguirà sul circuito delle Madonie, teatro della storica Targa Florio. Poi, per la prima volta in assoluto nella storia del Raid dell’Etna, le autostoriche raggiungeranno in traghetto la Calabria dove, al Museo Nazionale di Reggio, i partecipanti potranno ammirare i celebri Bronzi di Riace. Si tornerà quindi in Sicilia, raggiungendo Taormina (la “Perla dello Ionio”), l’Etna (con la classica cronoscalata), Enna e l’autodromo di Pergusa. Gran finale a Catania, con la cena di gala nello splendido Palazzo Manganelli dei Principi Borghese.

Nel cuore storico della città etnea, in Piazza Università, sabato 5 ottobre si svolgerà la speciale gara riservata esclusivamente agli equipaggi femminili: la “Coppa delle Dame Eberhard & Co.”. La premiazione avverrà poco dopo, insieme a quella del Trofeo Raid dell’Etna” e del Porsche Tribute (riservato alle vetture, di qualunque epoca, che portano la firma della casa automobilistica tedesca). Altri premi saranno messi in palio dagli sponsor e dai partner dell’evento: il “Best Overall Paint Condition” by Detailing Art Studio, il “Gentlemen driver Perofil” e il “Lady driver Oroblù”, il “Classic Michelin”, il Grand Prix G.N.V.”, il “Golden Eight Liqueur Pear” e il “Condorelli Fidelity”.

ENNA, AGGHIACCIANTE FEMMINICIDIO, DETTAGLI: “MI SPIACE NON POSSO VENIRE, HO UCCISO MIA MOGLIE”

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Nella foto l’assassino Filippo Marraro

Delitto di Enna. Si scopre che l’assassino Filippo Marraro  aveva persino  cambiato il suo profilo sul massimo social .relazione vedovo”, prima ancora di eseguire il suo disegno criminoso, l’assassinio di  Loredana Calì. In un video scioccante si vede Marraro, ripreso dall’alto, raggiungere la donna e costringerla a salire con lui in automobile sotto il tiro di  una pistola.

Da questa probabilmente spara i due colpi che feriranno mortalmente l’ex moglie,  40enne siciliana. Le aveva detto di dialogare del loro stato, invece l’ha minacciata e l’ha costretta a seguirlo fino alla casa di campagna dei genitori di lei.

.L’uomo, titolare di un autolavaggio e padre di tre figli (uno nato da un precedente matrimonio), ha sparato mirando al torace della donna dalla quale si stava separando.

Poi ha mandato un messaggio ad un amico, con il quale partecipava a raduni motociclistici, per disdire la sua partecipazione a quello del 7 aprile. Un messaggio agghiacciante: «Mi dispiace, non posso venire: ho ucciso mia moglie». Quindi ha telefonato ai familiari della vittima dicendo «andatevela a prendere morta». E infine si è costituito ai carabinieri. Un vero e proprio agguato, preceduto da una richiesta di chiarimenti. Catenanuova, dove la mafia è di casa e i clan rivali si fanno la guerra in strada

TUTTA LA SICILIA E’ VICINA A PAPA FRANCESCO: PARROCI,VESCOVI,PERSONE MALATE E DETENUTI LO VEDONO COME GESU’ CRISTO

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Papa Francesco è  a Piazza Armerina (Enna), accolto dal vescovo Rosario Gisana. Dopo cinque anni, torna in Sicilia in occasione delle celebrazioni di Padre Pino Puglisi, il parroco del quartiere Brancaccio ucciso dalla mafia il 15 settembre ’93. Era il 2013 quando a Lampedusa, l’isola dei migranti, fece il suo primo viaggio pastorale.

Questa è la prima tappa della sua giornata in Sicilia,  Il Papa è accolto dal vescovo di Piazza Armerina, mons. Rosario Gisana, dal prefetto di Enna, Maria Antonietta Cerniglia, e dal sindaco della città, Nino Cammarata. Quindi si trasferisce in auto a Piazza Europa per l’incontro con i fedeli.

A Palermo è tutto pronto per il suo arrivo, anche se il maltempo ha stravolto il programma previsto per il primo appuntamento, organizzato per accogliere i 5.000 giovani arrivati nel capoluogo. Si tratta del musical su padre Pino Puglisi, “L’Amore salverà il mondo” in scena sul palco montato nei pressi del teatro Politeama ma la pioggia ha reso inagibile la struttura e l’organizzazione ha annullato lo spettacolo. Erano previste anche le testimonianze di Biagio Conte e di alcuni giovani. 

Si stima che saranno 80 mila i fedeli in arrivo nel capoluogo siciliano, tra isolani e residenti in altre regioni d’Italia. La Curia ci informa inoltre che alle 13.30 nella mensa di via Decollati il Papa consumerà con gli ospiti della centro un frugale pranzo preparato nella cucina della missione e alle 15 si sposterà a Brancaccio. Seguirà una visita alla parrocchia di San Gaetano e alle 15,30 in Cattedrale per incontrare parroci, sacerdoti e seminaristi di tutta la Sicilia, superiori e superiore delle comunità religiose dell’Isola, accompagnato dall’arcivescovo di Palermo Corrado Lorefice.

Lo aspettano in tantissimi. Tra loro anche persone malate e detenuti. Sono 17 mila i pass rilasciati dalla Curia con posti distribuiti in tre piazze. Sarebbero circa 9000, le persone che andranno in piazza Europa dove è stato montato il palco. Papa Francesco dopo il suo discorso incontrerà 20 malati e riceverà il baciamano di 50 persone. Il sindaco di Piazza Armerina Nino Cammarata dice: ”La città donerà al Pontefice un immobile da destinare al centro di accoglienza della Caritas per i poveri”.

Tutta la popolazione vede davvero  in Papa Francesco la figura di Gesù Cristo….