L’autista Giovanni Luppino conosceva l’identità del boss e svolgeva un “compito delicato e strategico”

Commerciante di olive, munito di coltello e incensurato: chi è Giovanni Luppino, autista di Matteo Messina Denaro

 

L’autista Giovanni Luppino era “consapevole dell’identità del boss”. Lo afferma il gip di Palermo Fabio Pilato nella ordinanza di custodia cautelare a carico dell’autista del boss appena emessa, 24 ore dopo la convalida dell’arresto del commerciante di olive. Poco prima della cattura il capomafia gli disse: “E’ finita” come racconta,lo stesso commerciante di olive finito in carcere con il capomafia. Al momento dell’arresto Luppino aveva in tasca, oltre a due telefoni cellulari in modalità aerea, anche dei ‘pizzini’, “una lunghissima serie di biglietti e fogli manoscritti con numeri di telefoni, nominativi e appunti di vario genere, dal contenuto oscuro e di estremo interesse investigativo”. Nell’interrogatorio l’uomo ha detto di non sapere che si trattasse del boss Messina Denaro, ma il gip non gli ha creduto. Per il gip il ruolo dell’autista “è un compito delicato e strategico in Cosa Nostra”.

L’ORDINANZA DI CUSTODIA CAUTELARE -Così l’ordinanza del Gip: “La versione dei fatti, fornita dall’indagato, è macroscopicamente inveritiera, non essendo credibile che qualcuno, senza preavviso, si presenti alle cinque del mattino a casa di uno sconosciuto per chiedergli la cortesia di accompagnarlo in ospedale per delle visite programmate, in assenza di una situazione di necessità e urgenza”
. “È noto che il ruolo di autista costituisce compito estremamente delicato e strategico nell’organizzazione interna di Cosa Nostra, soprattutto, per le esigenze di cautela e protezione dei capi mafia.
Ne consegue che l’incarico viene assegnato a persone di massima fiducia, in grado di garantire segretezza, sicurezza ed affidabilità degli spostamenti – Una simile funzione tocca il massimo livello di accortezza se poi il soggetto accompagnato sia addirittura il vertice assoluto dell’organizzazione criminale, costretto a destreggiarsi in un trentennale stato di latitanza”.
“Nel caso di specie, non v’è dubbio che Luppino abbia consapevolmente e diligentemente adempiuto a tale mansione fiduciaria, poiché in tal senso depongono le acquisizioni investigative – scrive ancora il gip -. Invero, basterebbero le semplici qualità soggettive di Messina Denaro a escludere la versione che questi possa essersi affidato a un ignaro quisque de populo, incontrato di sfuggita sei mesi addietro, e avvalorare la tesi accusatoria che Luppino sia stato prescelto per uno spostamento ad alto rischio, proprio in virtù della massima fiducia che il capo mafia riponeva in lui”.

La Guardia di Finanza sequestra beni a un noto penalista per un valore di oltre dieci milioni di euro

 

I Finanzieri del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Bari stanno dando esecuzione a un decreto di sequestro preventivo – emesso, su richiesta della  Procura della Repubblica, dal competente G.I.P. del locale Tribunale – di beni, fra i quali prestigiosi immobili ubicati a Bari, nonché cospicue disponibilità finanziarie, del valore complessivo di oltre 10,8 milioni di euro.

Nel provvedimento è stata riconosciuta l’esistenza di un concreto quadro indiziario (accertamento compiuto nella fase delle indagini preliminari che necessita della successiva verifica processuale nel contraddittorio con la difesa) a carico di un noto avvocato penalista( nominativo non citato nel comunicato) del Foro di Bari, in relazione all’ipotesi di reato di dichiarazione infedele dell’i.v.a. e delle imposte sui redditi dovute all’Erario.

L’operazione odierna costituisce l’epilogo di articolate e complesse investigazioni svolte dal Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza di Bari – su delega di questa Procura della Repubblica – in seguito all’esecuzione di una misura cautelare personale nei confronti del predetto legale disposta dal Tribunale di Lecce per vari episodi di corruzione in atti giudiziari e al contestuale rinvenimento, presso l’abitazione del figlio, della somma pari a circa 1,1 milioni di euro in contanti, contenuti in tre zaini e in parte sigillati all’interno di buste sottovuoto.

Nel corso dell’interrogatorio di garanzia l’indagato ha riconosciuto come proprie tali somme di denaro, indicandole come i risparmi di vent’anni derivanti dai pagamenti dei clienti per l’attività professionale prestata. In tale contesto, alla presenza del Procuratore della Repubblica e del Presidente dell’Ordine degli avvocati di Bari, le Fiamme Gialle baresi hanno perquisito lo studio legale del penalista, ubicato in questo capoluogo, rinvenendo e acquisendo copiosa documentazione (tra cui 239 fascicoli processuali) utile all’identificazione della sua clientela e alla quantificazione del volume dei compensi professionali effettivamente percepiti.

Considerato che tra i numerosi assistiti vi erano anche soggetti divenuti collaboratori di giustizia, si è proceduto ad acquisirne le pertinenti dichiarazioni, secondo le quali l’onorario del penalista – per il solo studio del procedimento – ammontava a 10 mila euro, per raggiungere l’importo di 100 mila euro per il patrocinio in Cassazione a fronte di un’accusa per omicidio.

Pagamenti, questi, effettuati tutti per contanti, in violazione della normativa antiriciclaggio e senza il rilascio di alcun documento fiscale. Le dichiarazioni, tutte convergenti (allo stato, salvo la verifica successiva in fase dibattimentale con il contraddittorio della difesa), sono state riscontrate dalla documentazione in atti.

I conseguenti approfondimenti hanno, quindi, permesso di appurare la dichiarazione al Fisco di compensi per importi largamente inferiori rispetto a quanto dichiarato dai collaboratori di giustizia e rispetto ai parametri indicati nelle cosiddette “tabelle professionali”.

In esecuzione di una specifica delega di indagine emessa da questa Procura della Repubblica, il Gruppo Tutela Mercato Capitali del Nucleo PEF di Bari ha poi eseguito anche accurate indagini patrimoniali finalizzate a ricostruire l’effettiva capacità di spesa del nucleo familiare dell’indagato, risultata – nonostante i modesti redditi dichiarati, oscillanti nel periodo 2016-2019 tra i 60 e i 26 mila euro – particolarmente elevata, come dimostrato dall’acquisto e dal possesso di auto di lusso, di gioielli e di consistenti disponibilità finanziarie derivanti da titoli di credito, obbligazioni, depositi e conti correnti.

Secondo l’impostazione accusatoria accolta dal competente G.I.P. presso il Tribunale di Bari (fatta salva la valutazione nelle fasi successive con il contributo della difesa), come emerso dall’incrocio delle risultanze degli approfondimenti investigativi svolti, alla cui esecuzione hanno partecipato anche consulenti tecnici nominati da questa Procura della Repubblica, il penalista – tra il 2014 e il 2019 – avrebbe evaso l’i.v.a. e le imposte sui redditi dovute all’Erario per oltre 10,8 milioni di euro.

Tale condotta ha integrato il “fumus” del delitto di dichiarazione infedele, tenuto conto del superamento delle soglie di punibilità previste dalla norma violata. Ciò è risultato corroborato anche dagli esiti delle indagini finanziarie svolte dai Finanzieri di Bari nei confronti del professionista e dei componenti del suo nucleo familiare, che hanno evidenziato il versamento sui conti correnti ispezionati di denaro contante e assegni per un valore di oltre 1 milione di euro.

Il competente G.I.P. del Tribunale di Bari – condividendo l’analoga proposta avanzata dalla Procura della Repubblica, basata sul solido compendio indiziario acquisito dalla p.g. operante – ha ora emesso un decreto di sequestro preventivo di beni, anche nella forma per equivalente, per un importo di oltre 10,8 milioni di euro, pari alle imposte evase.

Contestualmente all’esecuzione del provvedimento di sequestro è altresì in corso la perquisizione dell’abitazione dell’indagato finalizzata all’individuazione di ulteriori beni da sottoporre a vincolo.

Gli esiti dell’attività d’indagine costituiscono un’ulteriore testimonianza del costante presidio economico-finanziario esercitato dalla Procura della Repubblica di Bari – in stretta sinergia con il locale Nucleo PEF Bari – per la repressione del grave fenomeno dell’evasione fiscale, a tutela dei cittadini, degli imprenditori e dei professionisti rispettosi delle regole, al fine di assicurare l’equità sociale quale condizione fondamentale del benessere della collettività, soprattutto nell’attuale periodo di crisi finanziaria correlata all’emergenza sanitaria da Covid 19.

Palermo, nel burrone il corpo della fidanzata, parzialmente bruciata. Sotto interrogatorio il giovane criminale autore dell’atroce delitto

I Carabinieri scelgono un'immagine di Terracina per augurare una buona  giornata sui loro social

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PALERMO

Fidanzato uccide la propria ragazza per motivi ancora da accertare. Un ragazzo di 19 anni si è presentato   questa mattina dai carabinieri per confessare di avere ucciso la propria fidanzata di 17 anni e di averne nascosto il corpo. Con le indicazioni del fidanzato i militari hanno rintracciato il luogo del delitto, un burrone nella zona di Monte San Calogero a Caccamo, in provincia di Palermo,dove è stato gettato il corpo della ragazza. . Sono intervenuti anche i vigili del fuoco per il recupero del cadavere. Procedere successivamente all’identificazione fisica della donna. 

In atto le indagini sull’atroce delitto sono condotte dai Carabinieri e coordinate dalla Procura di Termini Imerese. Si vuole ricostruire        il grave reato di omicidio per conoscere le motivazioni che hanno spinto il giovane a compiere l’efferato atto criminale.  Si apprende finora che,secondo i primi accertamenti, il cadavere sarebbe stato parzialmente bruciato. Il giovane, P.M., di 19 anni  è sotto interrogatorio e successivamente tradotto in carcere a disposizione dell’Autorità giudiziaria. Una vita rovinata anche la sua adesso dietro le sbarre di un carcere.