Reggio Emilia: un uomo-latitante – con un coltello minaccia alla Posta cinque dipendenti. Ore dopo si arrende

L’ufficio postale di Pieve Modolena (corriere.it)

Questa mattina, un uomo armato di coltello, forse in preda alla disperazione,   si è asserragliato  in un ufficio postale di Pieve Madolena, frazione di Reggio Emilia, prendendo in ostaggio 5 dipendenti, uno dei quali è stato poi liberato. Si tratta di Francesco Amato, condannato in primo grado a 19 anni nell’ambito del maxi processo di ‘indrangheta “Aemilia”

L’uomo ha chiesto di parlare con il ministro dell’Interno Matteo Salvini al fine di esporre il proprio caso personale. Le trattative tra Amato e le forze dell’ordine sono in corso nella speranza di riuscire a liberare gli ostaggi attraverso il dialogo, un reparto speciale dei carabinieri del Gis sarebbe però già pronto a intervenire.

Amato, sul cui capo, dopo la condanna, pende un ordine di carcerazione, era in stato di latitanza fino a  stamani quando ha fatto irruzione nella filiale delle poste attorno alle 9. Entrando, avrebbe gridato “sono quello condannato a 19 anni in Aemilia”, brandendo un coltello da cucina e minacciando la direttrice della filiale. Si apprende che dopo aver fatto uscire i clienti presenti, Amato si è barricato nell’ufficio postale prendendo in ostaggio 5 dipendenti tra cui la direttrice. Verso mezzogiorno a una cassiera, uno degli ostaggi, è stato permesso di uscire. La donna ha avuto un breve malore ed è stata prontamente soccorsa dagli operatori del 118.  I  carabinieri, avvertiti dalla figlia del direttore che è riuscita a scappare, al momento in cui scriviamo sono riusciti ad arrestare il sequestratore che si è arreso alle forze dell’ordine.La vicenda è così chiusa.

Francesco Amato (Foto Andrea Bassi per Reggionline)
(Foto F. A)

CHI E’  IL SEQUESTRATORE

Francesco Amato, 55 anni, è stato condannato il 31 ottobre a 19 anni e un mese di reclusione nel processo Aemilia con l’accusa di essere uno degli organizzatori dell’associazione `ndranghetistica. Assieme al fratello Alfredo, secondo i magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Bologna era «costantemente in contatto con gli altri associati (e della famiglia Grande Aracri) in particolare per la commissione su richiesta di delitto di danneggiamento o minaccia a fini estorsivi, commettendo una serie di reati».

Nel 2016, all’inizio del processo iniziano le contestazioni dell’Amato : aveva affisso un cartellone provocatorio davanti al tribunale di Reggio Emilia, scritto a pennarello e pieno di invettive. Amato si era autodenunciato poi in aula definendosi l’autore di quel cartellone in cui, diceva, «era anche contenuto il nome dell’autore delle presunte minacce al presidente del tribunale di Reggio Emilia Cristina Beretti», per le quali sono state arrestate nelle scorse settimane due persone, tra le quali un sacerdote. Il processo Aemilia ha visto il 31 ottobre la conclusione del suo dibattimento, con 118 condanne per oltre 1.200 anni di carcere e altre 24 in abbreviato: tra questi anche l’ex calciatore Vincenzo Iaquinta (due anni per reati di armi, ma senza aggravante mafiosa) e 19 per il padre Giuseppe. Sempre in abbreviato, sono già definitive in Cassazione le condanne per i promotori dell’associazione a delinquere di stampo mafioso contestata dalla Dda, che nel 2015 fece scattare oltre 160 arresti, assestando un forte colpo alla «’Ndrangheta imprenditrice».

L’uomo aveva partecipato alle udienze ma non alla lettura della sentenza. Quando i Carabinieri si sono presentati a casa con l’ordine di cattura, Amato non c’era. Spiegata così la latitanza di Amato che ritiene ingiusto il provvedimento.