Un termine unico per la trasmissione telematica delle fatture

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. Con il provvedimento firmato oggi dal direttore dell’Agenzia, le Entrate stabiliscono un termine unico valido sia per la trasmissione telematica opzionale dei dati delle fatture sia per la trasmissione dei dati delle fatture prevista dal decreto fiscale di ottobre 2016.

Per semplificare il più possibile gli adempimenti, pertanto, l’invio dei dati delle fatture previsto dal Dlgs di agosto 2015 può essere effettuato entro il 16 settembre 2017, per il primo semestre dell’anno in corso, ed entro il mese di febbraio 2018 per il secondo semestre. Il provvedimento, inoltre, stabilisce che i dati acquisiti verranno messi tempestivamente a disposizione dei contribuenti che li hanno inviati nell’interfaccia web ‘Fatture e Corrispettivi’.

 Secondo l’Agenzia  sarà possibile instaurare un dialogo con i contribuenti, prima dell’invio della dichiarazione, nel caso emergano dall’analisi dei dati trasmessi potenziali incoerenze tra i dati delle fatture e quelli delle liquidazioni Iva.

(Agenzia)

Programmi Tv e digitale terrestre g. 28 Marzo

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Convegno:..Trent'anni di architettura da Los Angeles a Roma

Martedì 28 marzo, dalle 8.45, Aula Magna Didattica Ingegneria, Cittadella Universitaria

 

DOMANI A CATANIA PRESENTAZIONE DEL NUOVO STADIO DELLA ROMA

 

Evento organizzato da Ordini e Fondazioni degli Architetti e degli Ingegneri

 

CATANIA – Domani, martedì 28 marzo, a partire dalle 8.45, alla Cittadella Universitaria – nell’Aula Magna dell’Edificio Didattica del Dicar (Dipartimento di Ingegneria Civile e Architettura) – si svolgerà il convegno “Attraverso gli occhi di Kim. Trent’anni di architettura da Los Angeles a Roma”, a cui interverranno: l’architetto Kim Groves, project manager del nuovo Stadio della Roma; Giuseppe Amaro della Gae Engineering Torino; Stefano De Cerchio e Manuela Fantini di S.C.E. Project Milano. L’evento è organizzato dagli Ordini e dalle Fondazioni degli Architetti e degli Ingegneri di Catania, per conoscere a fondo l’iter progettuale della nuova struttura sportiva romana, che ha suscitato notevole interesse non solo politico, ma anche tecnico e professionale.

Saranno presenti i presidenti degli Architetti Giuseppe Scannella (Ordine) e Paola Pennisi (Fondazione), e degli Ingegneri Santi Maria Cascone(Ordine) e Mauro Scaccianoce (Fondazione), il direttore del Dicar Enrico Foti, e il docente universitario Maurizio Spina che modererà gli interventi.

L’evento sarà articolato in due sessioni: quella mattutina sarà dedicata all’illustrazione del centro direzionale Eni a San Donato Milanese, un esempio di progetto nato negli Stati Uniti ma realizzato con le norme italiane; la sessione pomeridiana (alle 14.45) sarà incentrata sul complesso iter progettuale dello Stadio della Roma: un’opera che potrà accogliere fino a 52 mila e 500 persone, e che presta grande attenzione all’efficienza energetica e al riciclo delle acque.

Operazione Antimafia "Dominio" della Guardia di Finanza

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In ginocchio il clan “Mangialupi”

MESSINA – Finanzieri del G.I.C.O. del nucleo di polizia tributaria, dalle prime luci dell’alba, hanno eseguito  21 ordinanze di custodia cautelare in carcere a seguito di indagini nei confronti del clan “Mangialupi”, nel corso dell’operazione antimafia “Dominio”.

Impiegati 190 uomini e 50 mezzi della Guardia di Finanza che renderà noti i dettagli dell’operazione nel corso della giornata..

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Programmi Tv e digitale terrestre g.27 Marzo

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Testimonianza esclusiva di come il "demonio" influisca sulle persone

Clara, non pregare per me! Sono dannata! Testimonianza scioccante

 

 

Clara e Annetta, giovanissime, lavoravano in una ditta commerciale a (***), in Germania. Non erano legate da profonda amicizia, ma da semplice cortesia. Lavoravano ogni giorno l’una accanto all’altra e non poteva mancare uno scambio di idee. Clara si dichiarava apertamente religiosa e sentiva il dovere d’istruire e richiamare Annetta, quando questa si dimostrava leggera e superficiale in fatto di religione. Trascorsero qualche tempo assieme; poi Annetta contrasse matrimonio e si allontanò dalla ditta. Nell’autunno di quell’anno, Clara trascorreva le vacanze in riva al Lago di Garda. Verso la metà di settembre la mamma le mandò dal paese natio una lettera: «È morta Annetta. è rimasta vittima di un incidente automobilistico. L’hanno sepolta ieri nel Waldfriedhof». La notizia spaventò la buona signorina, sapendo che l’amica non era stata tanto religiosa. Era preparata a presentarsi davanti a Dio?… Morendo all’improvviso, come si sarà trovata?… L’indomani ascoltò la santa Messa e fece anche la Comunione in suo suffragio, pregando fervorosamente. La notte, dieci minuti dopo la mezzanotte, ebbe luogo la visione…

 «Non pregare per me: sono dannata»!
Clara, non pregare per me! Sono dannata! Se te lo comunico e te ne riferisco piuttosto lungamente, non credere che ciò avvenga a titolo d’amicizia. Noi qui non amiamo più nessuno. Lo faccio come costretta. Lo faccio come «parte di quella potenza che sempre vuole il male e opera il bene». In verità vorrei vedere anche te approdare a questo stato, dove io ormai ho gettato l’ancora per sempre. Non stizzirti di questa intenzione.

Qui, noi pensiamo tutti così. La nostra volontà è impietrita nel male, in ciò che voi appunto chiamate «male». Anche quando noi facciamo qualche cosa di «bene», come io ora spalancandoti gli occhi sull’inferno, questo non avviene con buona intenzione. Ti ricordi ancora che quattro anni fa ci siamo conosciute a (***), Allora avevi ventitré anni e ti trovavi là già da mezzo anno quando ci arrivai io. Tu mi hai levata da qualche impiccio; come principiante, mi hai dato dei buoni indirizzi.

Ma che vuol dire «buono»? Io lodavo il tuo «amore del prossimo». Ridicolo! Il tuo soccorso derivava da pura civetteria, come, del resto, io sospettavo già fin d’allora. Noi non conosciamo qui nulla di buono. In nessuno. Il tempo della mia giovinezza lo conosci. Certe lacune le riempio qui. Secondo il piano dei miei genitori, a dire il vero, non sarei neanche dovuta esistere. Capitò loro appunto una «disgrazia». Le mie due sorelle avevano già quattordici e quindici anni, quando io venni alla luce. Non fossi mai esistita! Potessi ora annientarmi, sfuggire a questi tormenti! Nessuna voluttà uguaglierebbe quella con cui lascerei la mia esistenza; come un vestito di cenere, che si perde nel nulla.

Ma io devo esistere. Devo esistere così, come mi sono fatta io: con una esistenza fallita. Quando papà e mamma, ancora giovani, si trasferirono dalla campagna in città, ambedue avevano perduto il contatto con la Chiesa. E fu meglio così. Simpatizzarono con la gente non legata alla Chiesa. Si erano conosciuti in un ritrovo danzante e dopo sei mesi «dovettero» sposarsi. Nella cerimonia nuziale rimase attaccata a loro tant’acqua santa, che la mamma si recava in chiesa alla Messa domenicale un paio di volte l’anno. Non mi ha mai insegnato a pregare davvero.

Si esauriva nella cura quotidiana della vita, benché la nostra situazione non fosse disagiata. Parole, come «Messa», «istruzione religiosa», «Chiesa», le dico con una ripugnanza interna senza pari. Aborrisco tutto questo, come odio chi frequenta la Chiesa e in genere tutti gli uomini e tutte le cose.

 Odio verso Dio
Da tutto, infatti, ci deriva tormento. Ogni cognizione ricevuta in punto di morte, ogni ricordo di cose vissute o sapute, è per noi una fiamma pungente. E tutti i ricordi ci mostrano quel lato che in essi era grazia e che noi di sprezzammo. Quale tormento è questo! Noi non mangiamo, non dormiamo, non camminiamo con i piedi. Spiritualmente incatenati, guardiamo inebetiti «con urla e stridore di denti» la nostra vita andata in fumo: odiando e tormentati! Senti? Noi qui beviamo l’odio come acqua. Anche l’uno verso l’altro. Soprattutto noi odiamo Dio. Te lo voglio rendere comprensibile. I beati in Cielo devono amarlo, perché essi lo vedono senza velo, nella sua bellezza abbagliante.

Ciò li beatifica talmente, da non poterlo descrivere. Noi lo sappiamo, e questa cognizione ci rende furibondi. Gli uomini in Terra, che conoscono Dio dalla creazione e dalla Rivelazione, possono amarLo; ma non ne sono costretti. Il credente – lo dico digrignando i denti – il quale, meditabondo, contempla Cristo in croce, con le braccia stese, finirà con l’amarLo. Ma colui, al quale Dio si avvicina solo nell’uragano, come punitore, come Giusto Vendicatore, perché un giorno fu da lui ripudiato, come avvenne di noi. Costui non può che odiarLo, con tutto l’impeto della sua malvagia volontà, eternamente, in forza della libera accettazione con la quale, morendo, abbiamo esalato l’anima nostra e che neppure ora ritiriamo e non avremo mai la volontà di ritirarla.

Comprendi ora perché l’inferno dura eternamente? Perché la nostra ostinazione giammai si scioglierà da noi. Costretta, aggiungo che Dio è misericordioso persino verso di noi. Dico «costretta», poiché anche se dico queste cose volutamente, pure non mi è permesso di mentire, come volentieri vorrei. Molte cose le affermo contro la mia volontà. Anche la foga d’improperi, che vorrei vomitare, la devo strozzare. Dio fu misericordioso verso di noi col non lasciare esaurire sulla Terra la nostra malvagia volontà, come noi saremmo stati pronti a fare. Ciò avrebbe aumentato le nostre colpe e le nostre pene. Egli ci fece morire anzi tempo, come me, o fece intervenire altre circostanze mitiganti. Ora Egli si dimostra misericordioso verso di noi col non costringerci ad avvicinarci a Lui più di quanto lo siamo in questo remoto luogo infernale; ciò diminuisce il tormento.

Ogni passo che mi portasse più vicino a Dio, mi cagionerebbe una pena maggiore di quella che a te recherebbe un passo più vicino ad un rogo ardente. Ti sei spaventata, quando io una volta, durante il passeggio, ti raccontai che mio padre, pochi giorni prima della tua prima Comunione, mi aveva detto: «Annettina, cerca di meritarti un bel vestitino: il resto è una montatura».

Per il tuo spavento quasi mi sarei perfino vergognata. Ora ci rido sopra. L’unica cosa ragionevole in quella montatura era che ci si ammetteva alla Comunione solo a dodici anni. Io allora ero abbastanza presa dalla mania dei divertimenti mondani; così, senza scrupoli, mettevo in un canto le cose religiose e non diedi grande importanza alla prima Comunione. Che parecchi bambini vadano ora alla Comunione già a sette anni, ci mette in furore. Noi facciamo di tutto per dare ad intendere alla gente che ai bambini manca una cognizione adeguata. Essi devono prima commettere alcuni peccati mortali.

Allora la bianca Particola non fà più in essi gran danno, come quando nei loro cuori vivono ancora la fede, la speranza e la carità – puh! questa roba – ricevute nel Battesimo. Ti ricordi come abbia già sostenuto sulla Terra questa opinione? Ho accennato a mio padre. Egli era sovente in lite con la mamma. Te ne feci allusione solo raramente; me ne vergognavo. Cosa ridicola la vergogna del male!

Per noi qui tutto è lo stesso. I miei genitori neanche dormivano più nella medesima camera; ma io con la mamma e il papà nella camera attigua, dove poteva rincasare liberamente a qualsiasi ora. Beveva molto; in tal modo scialacquava il nostro patrimonio. Le mie sorelle erano ambedue impiegate e abbisognavano esse stesse, dicevano, del denaro che guadagnavano. La mamma cominciò a lavorare per guadagnare qualche cosa. Nell’ultimo anno di vita, papà picchiava spesso la mamma, quando lei non gli voleva dar nulla. Verso di me, invece, fu sempre amorevole.

Un giorno – te l’ho raccontato e tu, allora, ti sei urtata del mio capriccio (di che cosa non ti sei urtata nei miei riguardi?) – un giorno dovette portare indietro, per ben due volte, le scarpe comprate, perché la forma e i tacchi non erano per me abbastanza moderni. La notte in cui mio padre fu colpito da apoplessia mortale, avvenne qualche cosa che io per timore di un’interpretazione disgustosa non riuscii a confidarti. Ma ora devi saperlo. È importante per questo: allora, per la prima volta, fui assalita dal mio spirito tormentatore attuale. Dormivo in una camera con mia madre: i suoi respiri regolari dicevano il suo profondo sonno. Quand’ecco mi sento chiamare per nome. Una voce ignota mi dice: «Che sarà se muore papà»?

 L’amore nelle anime in stato di grazia
Non amavo più mio padre, dacché trattava così villanamente la mamma; come del resto non amavo fin d’allora assolutamente nessuno, ma ero solamente, affezionata ad alcune persone che erano buone verso di me. L’amore senza speranza di contraccambio terreno vive solo nelle anime in stato di Grazia. E io non lo ero. Così risposi alla misteriosa domanda senza darmi conto donde venisse: «Ma non muore mica»! Dopo una breve pausa, di nuovo la stessa domanda chiaramente percepita. «Ma non muore mica»! mi scappò ancora di bocca, bruscamente. Per la terza volta fui richiesta: «Che sarà se muore papà»? Mi si presentò alla mente come papà spesso veniva a casa piuttosto ubriaco, strepitava, maltrattava la mamma e come egli ci aveva messo in una condizione umiliante dinanzi alla gente. Perciò gridai indispettita: «E gli sta bene»! Allora tutto tacque.

La mattina seguente, quando la mamma volle mettere in ordine la stanza del babbo, trovò la porta chiusa a chiave. Verso mezzogiorno si forzò la porta. Mio padre, mezzo vestito, giaceva cadavere sul letto. Nell’andare a prendere la birra in cantina doveva essersi buscato qualche accidente. Era già da lungo tempo malaticcio. Marta (***) e tu mi avete indotta ad entrare nell’Associazione delle Giovani. Veramente non ho mai nascosto che trovavo abbastanza intonate con la moda parrocchiale le istruzioni delle due direttrici, le signore (***). I giochi erano divertenti. Come sai, vi ebbi subito una parte direttiva. Ciò mi andava a genio. Anche le gite mi piacevano.

Mi lasciai perfino indurre alcune volte ad andare alla Confessione e alla Comunione. A dire il vero, non avevo nulla da confessare. Pensieri e discorsi per me non avevano importanza. Per azioni più grossolane, non ero abbastanza corrotta. Tu mi ammonisti una volta: «Anna, se non preghi ti dannerai»! Io pregavo davvero poco, e anche questo solo svogliatamente. Allora tu avevi purtroppo ragione. Tutti coloro che bruciano nell’inferno non hanno pregato o non hanno pregato abbastanza.

 Il primo passo verso Dio
La preghiera è il primo passo verso Dio. E rimane il passo decisivo. Specialmente la preghiera a Colei che fu Madre di Cristo, il nome della quale noi non nominiamo mai. La devozione a Lei strappa al demonio innumerevoli anime, che il peccato gli consegnerebbe infallibilmente nelle mani. Proseguo il racconto consumandomi d’ira. È solo perché devo. Pregare è la cosa più facile che l’uomo possa fare sulla Terra. E proprio a questa cosa facilissima Dio ha legato la salvezza di ognuno.

A chi prega con perseveranza Egli, a poco a poco, dà tanta luce, lo fortifica in maniera tale che alla fine anche il peccatore più impantanato si può definitivamente rialzare. Fosse pure ingolfato nella melma fino al collo. Negli ultimi tempi della mia vita non ho più pregato come di dovere, e così mi sono privata delle grazie, senza le quali nessuno può salvarsi. Qui non riceviamo più nessuna grazia. Anzi, quand’anche le ricevessimo, le rifiuteremmo cinicamente. Tutte le fluttuazioni dell’esistenza terrena sono cessate in quest’altra vita. Da voi, sulla Terra, l’uomo può salire dallo stato di peccato allo stato di grazia e dalla grazia cadere nel peccato, spesso per debolezza, talvolta per malizia.

Con la morte questo salire e scendere finisce, perché ha la sua radice nella imperfezione dell’uomo terreno. Ormai abbiamo raggiunto lo stato finale. Già col crescere degli anni, i cambiamenti divengono più rari. È vero, fino alla morte si può sempre rivolgersi a Dio o rivolgergli le spalle. Eppure, quasi trascinato dalla corrente, l’uomo, prima del trapasso, con gli ultimi deboli resti della volontà, si comporta come era abituato in vita. La consuetudine, buona o cattiva, diviene una seconda natura. Questa lo trascina con sé. Così avvenne anche a me. Da anni vivevo lontana da Dio. Per questo, nell’ultima chiamata della grazia mi risolvetti contro Dio. Non fu il fatto che peccassi spesso a esser fatale per me, ma che io non volli più risorgere. Tu mi hai più volte ammonita di ascoltare le prediche, di leggere libri di pietà. «Non ho tempo», era la mia risposta ordinaria.

Non ci mancava altro per aumentare la mia incertezza interna! Del resto, devo constatare questo: dal momento che la cosa era ormai così avanzata, poco prima della mia uscita dall’Associazione delle Giovani, mi sarebbe riuscito enormemente gravoso mettermi su un’altra via. Io mi sentivo malsicura ed infelice. Ma davanti alla conversione si ergeva una muraglia. Tu non lo devi aver sospettato. Tu te l’eri rappresentata così semplice, quando un giorno mi dicesti: «Ma fa una buona confessione, Anna, e tutto è a posto». Io sentivo che sarebbe stato così. Ma il mondo, il demonio, la carne mi tenevano già troppo saldamente nei loro artigli.

 Il demonio influisce sulle persone
All’influsso del demonio non credetti mai. E ora attesto che egli influisce gagliardamente sulle persone che si trovano nella condizione in cui mi trovavo io allora. Soltanto molte preghiere, di altri e di me stessa, congiunte con sacrifici e sofferenze, mi avrebbero potuta strappare da lui. E anche ciò, a poco a poco. Se ci sono pochi ossessi esternamente, di ossessi internamente ce n’è un formicaio. Il demonio non può rapire la libera volontà a coloro che si danno al suo influsso.

Ma in pena della loro, per dir così, metodica apostasia da Dio, questi permette che il maligno si annidi in essi. Io odio anche il demonio. Eppure egli mi piace, perché cerca di rovinare voialtri; odio lui e i suoi satelliti, gli spiriti caduti con lui al principio del tempo. Essi si contano a milioni. Girovagano per la Terra, densi come uno sciame di moscerini, e voi neanche ve ne accorgete. Non tocca a noi riprovati di tentarvi; questo è ufficio degli spiriti decaduti. Veramente, ciò accresce ancor più il tormento ogni volta che essi trascinano quaggiù all’inferno un’anima umana.

Ma che cosa non fà l’odio? Benché io camminassi per sentieri lontani da Dio, Dio mi seguiva. Preparavo la via alla grazia con atti di carità naturale, che compivo non di rado per inclinazione del mio temperamento. Talvolta, Dio mi attirava in una chiesa. Allora sentivo come una nostalgia. Quando curavo la mamma malaticcia, nonostante il lavoro d’ufficio durante il giorno, e in certo modo mi sacrificavo davvero, questi allettamenti di Dio agivano potentemente. Una volta, nella chiesa dell’ospedale, in cui tu mi avevi condotta durante la pausa del mezzogiorno, mi venne qualcosa addosso che sarebbe bastato un solo passo per la mia conversione: io piansi!

Ma poi la gioia del mondo passava di nuovo come un torrente sopra la grazia. Il grano soffocava tra le spine.

 L’ultimo rifiuto
Con la dichiarazione che la religione è affare di sentimento, come si diceva sempre in ufficio, cestinai anche questo invito della grazia come tutti gli altri. Una volta tu mi rimproverasti perché invece di una genuflessione fino a terra, feci appena un informe inchino, piegando il ginocchio. Tu lo ritenesti un atto di pigrizia. Non sembrasti neppur sospettare che io fin d’allora non credevo più nella presenza di Cristo nel SS.mo Sacramento.

Ora ci credo, ma solo naturalmente, come si crede in un temporale di cui si scorgono gli effetti. Intanto mi ero costruita io stessa una religione a modo mio. Sostenevo l’opinione, che da noi in ufficio era comune, che l’anima dopo la morte risorga in un altro essere. In tal modo continuerebbe a pellegrinare senza fine. Con ciò, l’angosciosa questione dell’al di là era insieme messa a posto e resa a me innocua. Perché tu non mi hai ricordato la parabola del ricco Epulone e del povero Lazzaro, in cui il narratore, Cristo, manda, immediatamente dopo la morte, l’uno all’inferno e l’altro in paradiso?…

Del resto, che cosa avresti ottenuto? Nulla di più che con gli altri tuoi discorsi di bigottismo! A poco a poco, mi creai io stessa un dio; sufficientemente dotato da essere chiamato «dio»; lontano abbastanza da me, da non dover mantenere nessuna relazione con Lui; vago abbastanza da lasciarsi, secondo il bisogno, senza mutare la mia religione, paragonare a un dio panteistico del mondo, oppure da lasciarsi poetizzare come un dio solitario.

Questo dio non aveva nessun inferno da infliggermi. Lo lasciavo in pace. In ciò consisteva la mia adorazione per Lui. Ciò che piace si crede volentieri. Nel corso degli anni mi tenni abbastanza convinta della mia religione. In questo modo si poteva vivere. Una cosa soltanto mi avrebbe spezzato la cervice: un lungo, profondo dolore. E questo dolore non venne! Comprendi ora cosa vuol dire: «Dio castiga quelli che ama»! Era una domenica di luglio, quando l’Associazione delle Giovani organizzò una gita a (***). La gita mi sarebbe piaciuta. Ma questi insulsi discorsi, quel fare da bigotti!

Un altro simulacro ben diverso da quello della Madonna di (***) stava da poco tempo sull’altare del mio cuore. L’aitante Max (***) del negozio attiguo. Poco tempo prima, avevamo scherzato assieme più volte. Appunto per quella domenica egli mi aveva invitata ad una gita. Quella con cui andava di solito, giaceva malata all’ospedale. Egli aveva ben capito che gli avevo messo gli occhi addosso. Sposarlo non ci pensavo allora.

Era bensì agiato, ma si comportava troppo gentilmente con tutte le ragazze. E io, fino a quel tempo, volevo un uomo che appartenesse unicamente a me. Non solo essere moglie, ma moglie unica. Un certo galateo naturale, infatti, l’ebbi sempre. Nella suaccennata gita, Max si profuse in gentilezze. Eh! già, non si tennero mica delle conversazioni pretesche come tra voialtre!

 Dio «pesa» con precisione
Il giorno seguente, in ufficio, tu mi facesti dei rimproveri, perché non ero venuta con voi a (***). lo ti descrissi il mio divertimento di quella domenica. La tua prima domanda fu: «Sei stata alla Messa»? Sciocchina! Come potevo, dato che la partenza era già fissata per le sei? Sai ancora come io, eccitata, aggiunsi: «Il buon Dio non ha una mentalità così piccina come i vostri pretacci»! Ora devo confessare: Dio, nonostante la Sua infinita bontà, pesa le cose con maggior precisione che tutti i preti.

Dopo quella giornata con Max, venni ancora una volta nell’Associazione delle Giovani: a Natale, per la celebrazione della festa. C’era qualche cosa che mi allettava a tornare. Ma internamente mi ero già allontanata da voialtre. Cinema, ballo, gite si avvicendavano senza tregua. Max e io bisticciammo alcune volte, ma seppi incatenarlo di nuovo a me. Molestissima mi riuscì l’altra amante, che tornata dall’ospedale si comportò come un’ossessa. Veramente per mia fortuna: poiché la mia nobile calma fece potente impressione su Max, che finì col decidere che io fossi la preferita.

Avevo saputo rendergliela odiosa, parlando freddamente: all’esterno positiva, nell’interno vomitando veleno. Tali sentimenti e tale contegno preparano eccellentemente per l’inferno. Sono diabolici nel più stretto senso della parola. Perché ti racconto queste cose? Per riferire come io mi staccai definitivamente da Dio. Non già del resto, che tra me e Max si fosse arrivati molto spesso fino agli estremi della familiarità. Comprendevo che mi sarei abbassata ai suoi occhi, se mi fossi lasciata andare del tutto, prima del tempo; perciò, mi seppi trattenere.

Ma in sé, ogni volta che lo ritenevo utile, ero sempre pronta a tutto. Dovevo conquistare Max. A tale scopo, nulla era troppo caro. Inoltre, a poco a poco, ci amavamo possedendo ambedue non poche preziose qualità, che ci facevano stimare vicendevolmente. lo ero abile, capace, di piacevole compagnia. Così mi tenni saldamente in mano Max e riuscii, almeno negli ultimi mesi prima del matrimonio, a essere l’unica a possederlo.

 Mi ritenevo cattolica…
In ciò consistette la mia apostasia da Dio: elevare una creatura a mio idolo. In nessuna cosa può avvenire questo, in modo che abbracci tutto, come nell’amore di una persona dell’altro sesso, quando quest’amore rimane arenato nelle soddisfazioni terrene. È questo che forma la sua attrattiva, il suo stimolo e il suo veleno. L’«adorazione» che io tributavo a me stessa nella persona di Max divenne per me religione vissuta. Era il tempo in cui in ufficio mi scagliavo velenosa contro i chiesaioli, i preti, le indulgenze, il biascichio dei rosari e simili sciocchezze.

Tu hai cercato, più o meno argutamente, di prendere le difese di tali cose. Apparentemente, senza sospettare che nel più intimo di me non si trattava, in verità, di queste cose; io cercavo piuttosto un sostegno contro la mia coscienza. Allora avevo bisogno di un tale sostegno per giustificare anche con la ragione la mia apostasia. In fondo in fondo, mi rivoltavo contro Dio. Tu non lo comprendesti; mi ritenevo ancora cattolica. Volevo anzi essere chiamata così; pagavo perfino le tasse ecclesiastiche. Una certa «contro-assicurazione», pensavo, non poteva nuocere. Le tue risposte può darsi alle volte abbiano colpito nel segno. Su di me non facevano presa, perché tu non dovevi avere ragione.

A causa di queste relazioni falsate fra noi due, fu meschino il dolore del nostro distacco, allorché ci separammo in occasione del mio matrimonio. Prima dello sposalizio mi confessai e mi comunicai ancora una volta. Era prescritto. lo e mio marito su questo punto la pensavamo ugualmente. Perché non avremmo dovuto compiere questa formalità? Anche noi la compimmo come le altre formalità. Voi chiamate indegna una tale Comunione. Ebbene, dopo quella Comunione «indegna», io ebbi più calma nella coscienza. Del resto fu anche l’ultima. La nostra vita coniugale trascorreva, in genere, quanto mai in grande armonia. Su tutti i punti di vista noi eravamo dello stesso parere. Anche in questo: che non volevamo addossarci il peso dei figli. Veramente mio marito ne avrebbe volentieri voluto uno; non di più, si capisce. Alla fine io seppi distoglierlo anche da questo desiderio.

Vestiti, mobili di lusso, ritrovi da tè, gite e viaggi in auto e simili distrazioni mi importavano di più. Fu un anno di piacere sulla Terra quello trascorso tra il mio matrimonio e la mia repentina morte. Ogni domenica andavamo fuori in auto, oppure facevamo visite ai parenti di mio marito. Essi galleggiavano alla superficie dell’esistenza, né più né meno di noi. Internamente, si capisce, non mi sentii mai felice, per quanto esternamente ridessi.

C’era sempre dentro di me qualche cosa d’indeterminato, che mi rodeva. Avrei voluto che dopo la morte, la quale naturalmente doveva essere ancora molto lontana, tutto fosse finito. Ma è proprio così, come un giorno, da bambina, sentii dire in una predica: che Dio premia ogni opera buona che uno compie e, quando non la potrà ricompensare nell’altra vita, lo farà sulla Terra. Inaspettatamente, ebbi un’eredità dalla zia Lotte. A mio marito riuscì felicemente di portare il suo stipendio a una cifra notevole. Così potei sistemare la nuova abitazione in modo attraente.

La religione non mandava più che da lontano la sua voce, scialba, debole ed incerta. I caffè della città, gli alberghi, in cui andavamo durante i viaggi, non ci portavano certamente a Dio. Tutti coloro che frequentavano quei luoghi, vivevano, come noi, dall’esterno all’interno, non dall’interno all’esterno. Se nei viaggi delle ferie visitavamo qualche chiesa, cercavamo di ricrearci nel contenuto artistico delle opere.

L’alito religioso che spiravano, specialmente quelle medioevali, sapevo neutralizzarlo col criticare qualche circostanza accessoria: un frate converso impacciato o vestito in modo non pulito, che ci faceva da cicerone; lo scandalo che dei monaci, i quali volevano passare per pii, vendessero liquori; l’eterno scampanio per le sacre funzioni, mentre non si tratta che di far soldi…

 Il fuoco dell’inferno
Così seppi continuamente scacciare da me la grazia ogni volta che bussava. Lasciavo libero sfogo al mio malumore in modo particolare su certe rappresentazioni medioevali dell’inferno nei cimiteri o altrove, nelle quali il demonio arrostisce le anime in braghe rosse e incandescenti, mentre i suoi compagni, dalle lunghe code, gli trascinano nuove vittime.

Clara! L’inferno si può sbagliare a disegnarlo, ma non si esagera mai! Il fuoco dell’inferno l’ho sempre preso di mira in modo speciale. Tu lo sai come durante un alterco, in proposito, ti tenni una volta un fiammifero sotto il naso e ti dissi con sarcasmo: «Ha questo odore»? Tu spegnesti in fretta la fiamma. Qui non la spegne nessuno. lo ti dico: il fuoco di cui si parla nella Bibbia, non significa tormento della coscienza. Fuoco è fuoco! È da intendersi letteralmente ciò che ha detto Lui: «Via da me, maledetti, nel fuoco eterno»! Letteralmente. Come può lo spirito essere toccato da fuoco materiale, domanderai. Come può l’anima tua soffrire sulla terra quando ti metti il dito sulla fiamma? Difatti non brucia l’anima; eppure che tormento ne prova tutto l’individuo! In modo analogo noi qui siamo spiritualmente legati al fuoco, secondo la nostra natura e secondo le nostre facoltà.

L’anima nostra è priva del suo naturale battito d’ala; noi non possiamo pensare ciò che vogliamo né come vogliamo. Non meravigliarti di queste mie parole. Questo stato, che a voialtri non dice nulla, mi riarde senza consumarmi. Il nostro maggior tormento consiste nel sapere con certezza che noi non vedremo mai Dio. Come può questo tormentare tanto, dal momento che uno sulla Terra rimane così indifferente? Fintanto che il coltello giace sulla tavola, ti lascia fredda. Si vede quanto è affilato, ma non lo si prova. Immergi il coltello nella carne e ti metterai a gridare dal dolore.

Adesso noi sentiamo la perdita di Dio, prima la pensavamo soltanto. Non tutte le anime soffrono in misura uguale. Con quanta maggior cattiveria e quanto più sistematicamente uno ha peccato, tanto più grave pesa su di lui la perdita di Dio e tanto più lo soffoca la creatura di cui ha abusato. I cattolici dannati soffrono di più che quelli di altre religioni, perché essi per lo più ricevettero e calpestarono più grazie e più luce. Chi più seppe, soffre più duramente di chi conobbe meno. Chi peccò per malizia, patisce più acutamente di chi cadde per debolezza.

 L’abitudine: una seconda natura
Mai nessuno patisce più di quello che ha meritato. Oh, se non fosse vero ciò, io avrei un motivo d’odiare! Tu mi dicesti un giorno che nessuno va all’inferno senza saperlo: ciò sarebbe stato rivelato a una santa. Io me ne risi. Ma poi mi trincerai dietro questa dichiarazione: «Così, in caso di necessità, rimarrà abbastanza tempo per cambiare idea», mi dicevo segretamente. Quel detto è giusto. Veramente prima della mia subitanea fine, non conobbi l’inferno com’è. Nessun mortale lo conosce. Ma io ne avevo la piena coscienza: «Se muori, te ne vai nel mondo di là dritta come una freccia contro Dio. Ne porterai le conseguenze».

lo non feci dietro-front, come ho già detto, perché trascinata dalla corrente dell’abitudine, spinta da quella conformità per cui gli uomini, quanto più invecchiano, tanto più agiscono in una stessa direzione. La mia morte avvenne così. Una settimana fa. Parlo secondo il vostro computo, perché, rispetto al dolore, potrei dire benissimo che sono già dieci anni che brucio nell’inferno. Una settimana fa, dunque, mio marito e io facemmo di domenica una gita, l’ultima per me. Il giorno era spuntato radioso. Mi sentivo bene quanto mai.

M’invase un sinistro sentimento di felicità, che serpeggiò in me per tutta la giornata. Quand’ecco all’improvviso, nel ritorno, mio marito fu abbacinato da un’auto che veniva di volata. Perdette il controllo. «Gesù», mi scappò dalle labbra con un brivido. Non come preghiera, solo come grido. Un dolore straziante mi compresse tutta. In confronto con quello presente una bagatella. Poi perdetti i sensi. Strano!

Quella mattina era sorto in me, in modo inspiegabile, questo pensiero: «Tu potresti ancora una volta andare a Messa». Suonava come un’implorazione. Chiaro e risoluto, il mio «no» trovò il filo dei pensieri. «Con queste cose bisogna farla finita una volta. Mi addosso tutte le conseguenze»! Ora le porto. Ciò che avvenne dopo la mia morte, già lo saprai. La sorte di mio marito, quella di mia madre, ciò che accadde del mio cadavere e lo svolgimento del mio funerale mi sono noti nei loro particolari mediante cognizioni naturali che noi qui abbiamo. Quello, del resto, che succede sulla Terra, noi lo sappiamo solo nebulosamente.

Ma ciò che in qualche modo ci tocca da vicino, lo conosciamo. Così vedo anche dove tu soggiorni. Io stessa mi svegliai improvvisamente dal buio, nell’istante del mio trapasso. Mi vidi come inondata da una luce abbagliante. Fu nel luogo medesimo dove giaceva il mio cadavere. Avvenne come in un teatro, quando nella sala d’un tratto si spengono le luci, il sipario si divide rumorosamente e si apre una scena inaspettata orribilmente illuminata. La scena della mia vita. Come in uno specchio l’anima mia si mostrò a sè stessa.
Le grazie calpestate dalla giovinezza fino all’ultimo «no» di fronte a Dio. lo mi sentii come un assassino al quale, durante il processo giudiziario, viene portata dinanzi la sua vittima esanime. Pentirmi? Mai!… Vergognarmi? Mai! Però non potevo neppure resistere sotto gli occhi di Dio da me rigettato. Non mi rimaneva che una cosa: la fuga. Come Caino fuggì dal cadavere di Abele, così l’anima mia fu spinta da quella vista di orrore. Questo fu il giudizio particolare: l’invisibile Giudice disse: «Via da me»! Allora la mia anima, come un’ombra gialla di zolfo, precipitò nel luogo dell’eterno tormento…

 Conclude Clara:
La mattina, al suono dell’Angelus, ancora tutta tremante per la notte spaventosa, mi alzai e corsi per le scale nella cappella. Il cuore mi pulsava fin sulla gola. Le poche ospiti, inginocchiate vicino a me, mi guardarono, ma forse pensarono che fossi così eccitata per la corsa fatta giù per le scale. Una signora bonaria di Budapest, che mi aveva osservato, mi disse dopo sorridendo: «Signorina, il Signore vuol essere servito con calma, non di corsa»!

Ma poi si accorse che qualcosa d’altro mi aveva eccitato e mi teneva ancora in agitazione. E mentre la signora mi rivolgeva altre buone parole, io pensavo: «Dio solo mi basta»! Sì, Egli solo mi deve bastare in questa e nell’altra vita. Voglio un giorno poterlo godere in Paradiso, per quanti sacrifici mi possa costare in Terra. Non voglio andare all’inferno!.

Crescono i debiti delle famiglie italiane con le banche ed istituti finanziari

 

Le banche e le finanziarie  hanno rovinato le famiglie italiane troppo indebitate

Secondo un’indagine della Cgia di Mestre -Le famiglie italiane sono mediamente indebitate per oltre 20mila euro, per la precisione 20.341. Nell’insieme, i ‘passivi’ accumulati con le banche e gli istituti creditizi – ammontano a 525,9 miliardi di euro. I dati sono riferiti al 31 dicembre 2016. Rispetto alla stessa data del 2015, l’ ‘esposizione’ bancaria è aumentata dell’1,6%.

In larga parte l’incremento è riconducibile alla mini-ripresa registrata dai consumi interni. Nei primi 6 mesi del 2016, ad esempio, i prestiti bancari alle famiglie consumatrici per l’acquisto delle abitazioni sono aumentati, rispetto all’anno precedente, dell’1,2% e quelli per il credito al consumo del 5,5%.

. Al primo posto ci sono le famiglie residenti nella provincia di Milano, con un debito di 29.304 euro; al secondo posto quelle di Monza-Brianza, con 28.901 euro e al terzo posto le residenti a Lodi, con 27.744 euro. Appena fuori dal podio scorgiamo quelle di Varese, con un debito medio che ammonta a 27.198 euro e quelle di Como, con 27.108 euro. La prima provincia non lombarda che troviamo in questa particolare graduatoria è Prato: le famiglie di questa realtà toscana si collocano al 6° posto e sono indebitate per 26.988 euro. Subito dopo troviamo Roma, con 26.792 euro e Siena, con 25.624 euro. Le meno esposte in questa graduatoria, invece, sono le famiglie residenti nella provincia di Reggio Calabria, con un’esposizione di 10.037 euro, quelle di Vibo Valentia, con un debito di 9.284 euro, quelle di Ogliastra, con 9.151 euro.

Ad  Enna,le famiglie sembrano respirare un po’ di ossigeno  con un ‘rosso’ pari a 9.072 euro. Per indebitamento medio delle famiglie consumatrici italiane, precisa l’Ufficio studi della Cgia, si intende quello originato dall’accensione di mutui per l’acquisto di una abitazione, dai prestiti per l’acquisto di un auto/moto e in generale di beni mobili, dal credito al consumo, dai finanziamenti per la ristrutturazione di beni immobili, etc.

 

  

Alla scoperta delle bellezze monumentali con il FAI

Le “XXV Giornate di Primavera” nella città etnea

 SOPRINTENDENZA IN CONTINUO  LETARGO: FA NIENTE, CI PENSA IL FAI

IL VIAGGIO NELLA CATANIA NOBILIARE DI UN TEMPO

CATANIA – Visitare Catania con altri occhi. Perché spesso, immersi come siamo nella frenesia quotidiana, prestiamo scarsa attenzione alle bellezze monumentali che ci circondano, pur consapevoli del valore che possiedono, valore non solo artistico ma anche storico: testimonianze a memoria di generazioni che sono passate e hanno vissuto, abitato e animato quei luoghi. E se la Soprintendenza è in continuo letargo, il Fai vuol rappresentare il risveglio d’interesse. Le giornate del Fai – Fondo Ambiente Italiano hanno proprio questo scopo: attivare non solo una discussione sul patrimonio artistico, storico e paesaggistico, ma anche riattivare in ciascuno di noi il senso dell’appartenenza a una comunità che nel monumento segna un preciso momento e lo dona come documento al futuro. La Delegazione Fai Catania, guidata da Antonella Mandalà, sabato 25 e domenica 26 marzo ha spalancato le porte di nove siti storici, alcuni di chiara fama e sorprendente bellezza.

Lungo il Viale Regina Margherita, due beni culturali, uno di fronte all’altro, hanno suscitato l’interesse dei visitatori: l’ex Sanatorio Clementi, gioiello eclettico dei primi del ‘900 progettato da Carlo Sala (già coadiutore del progetto architettonico del Teatro Massimo Bellini) di cui, lungo il perimetro esterno dell’edificio, si scorgono le vetrate delle sale operatorie. E poi l’Istituto Tecnico “Archimede” una sorpresa per quest’edizione delle giornate Fai. Attraversando gli ampi corridoi della scuola, improvvisamente, si accede a un Chiostro di grande valenza, decorato da lunette dipinte con immagini di Santi Francescani. Sì, perché il chiostro, oggi appartenente alla scuola, un tempo era parte dell’annessa Chiesa di Santa Maria di Gesù e dunque struttura conventuale dei Frati Francescani. Tra le rappresentazione pittoriche presenti spicca anche il martirio di Sant’Agata, Patrona della nostra città. Nella Chiesa di Santa Maria di Gesù la scultura marmorea con decori dorati della Madonna con Bambino di Antonello Gagini si frappone alla visione dell’altare, decorato con tarsie lignee, e alle altre opere pittoriche su tela.

In piazza Teatro Massimo si apre al pubblico uno storico palazzo: la Casa del Mutilato, opera dell’architetto del regime Ercole Fischetti, incorniciato dal Palazzo delle Finanze e dal Teatro Massimo Bellini. Un complesso architettonico che celebra le gesta eroiche dei sopravvissuti alla guerra, che con le loro mutilazioni fisiche hanno dimostrato coraggio e dedizione alla patria. Gli alti portali e i marmorei rivestimenti lo innalzano quale tempio laico agli onorabili militi.

Il sipario delle giornate Fai si apre anche sui teatri cittadini. Il Teatro Massimo Bellini con il suo impianto architettonico, il suo foyer, i palchi, il sontuoso palco reale e il trionfale palcoscenico rinnova l’ammirazione per la sede teatrale cittadina. Il Teatro Sangiorgi con la sua ricca facciata e i drappeggianti stucchi scuri e aurei si affaccia sul bastione del giardino pensile di Palazzo Manganelli, altro monumento visitabile in occasione della manifestazione. Le lussuose sale riccamente stuccate, le alte specchiere, il pregiato mobilio e i tavoli da biliardo ci portano nella Catania di un tempo animata da nobili ed eleganti signori.

Anche la dimora del letterato catanese Giovanni Verga, sita in via Sant’Anna, ha accolto numerosissimi visitatori. Il pubblico del FAI ha ammirato gli scaffali colmi di libri nella biblioteca, le camere dove Verga passava le ore di riposo, le primissime edizioni delle sue opere letterarie, i manoscritti con dediche augurali di altri scrittori e intellettuali suoi ammiratori. Un mondo ricco e pieno di conoscenza dentro pochi metri quadri che ancora oggi trasmettono una memoria culturale imponente.

A pochi passi dalla casa di Verga, in Via Vittorio Emanuele un’altra meraviglia: la Chiesa di San Martino dei Bianchi sede dell’Arciconfraternita dei Bianchi, un’antica organizzazione che sosteneva i condannati a morte e le loro famiglie i cui membri erano nobili signori della città. Nella sacrestia si osservano i ritratti su tela dei Governatori dell’Arciconfraternita abbigliati con il tipico camice bianco. La Chiesa ad aula unica, possiede lungo le pareti perimetrali, file di scranni dove sedevano i Confrati e le Dame che partecipavano alle funzioni religiose.

Due giornate ricche e intense (dallo scopo non solo divulgativo) occasione per raccogliere fondi necessari alla salvaguardia del patrimonio, ad arricchire la lista di opere “salvate” dall’incuria, dal tempo e dal degrado.

Protagonisti fondamentali di questa XXIV edizione delle Giornate FAI di primavera sono stati i giovanissimi Ciceroni, gli studenti che hanno accompagnato i visitatori lungo il percorso trasmettendo entusiasmo, freschezza vitale e donando prospettive nuove per accostarsi al futuro con l’amore, la dedizione, il rispetto del passato da custodire e tramandare.

Massiccia partecipazione alla Walk of life di Telethon

 

WALK OF LIFE A CATANIA: HA VINTO LA SOLIDARIETÀ

 

Il ringraziamento di Matteo, affetto dalla sindrome di Marinesco-Sjogren, alla città e ai volontari 

 CATANIA – Ha vinto la solidarietà: la massiccia partecipazione dei catanesi alla Walk of Life di Telethon – che si è svolta questa mattina (26 marzo) nelle principali vie del centro storico della città – ha reso più veloce la “camminata” della ricerca scientifica sulle malattie genetiche rare. Il ringraziamento più bello a tutti coloro che hanno indossato la maglietta dell’evento, versando un contributo a favore della causa, è arrivato da Matteo, il bimbo catanese affetto dalla sindrome di Marinesco-Sjogren e testimonial del Coordinamento provinciale della Fondazione, guidato da Maurizio Gibilaro.

Famiglie, giovani e giovanissimi, diversamente abili, amici a quattro zampe, associazioni di volontariato, autorità militari e civili: hanno tutti preso parte in massa alla passeggiata non competitiva e alle attività organizzate da Telethon Catania per questa sesta edizione, in collaborazione con la Fondazione Ebbene e il suo centro di prossimità Mosaico, e in partnership con I Press e Studio 54 Network.

«Il nostro più grande successo – ha affermato il coordinatore Gibilaro, affiancato dal vice Concetto Nicolosi e dal responsabile eventi Carmelo Furnari – è l’affetto della città, che ogni anno si rinnova diventando sempre più coinvolgente. Quella che proponiamo è una festa aperta a tutti, con musica, danze e attività informative, perché solo condividendo un clima di speranza è possibile moltiplicare le possibilità di riuscita nella lotta alle delicate patologie contro cui lotta Matteo e tutti coloro per i quali Telethon si spende da quasi 30 anni. Sono ancora troppe le malattie rare per le quali non esiste ancora una terapia, e a volte perfino la diagnosi».

«Ringraziamo anche l’Amministrazione comunale, la Protezione Civile e i numerosi enti istituzionali patrocinatori che, insieme ad altrettante aziende private, si sono stretti intorno a noi per l’organizzazione della “tre giorni”» ha aggiunto il presidente della Fondazione Ebbene Dino Barbarossa.

La manifestazione si è chiusa in Piazza Università, dove dallo scorso venerdì cittadini e passanti hanno potuto vivere il Villaggio della Ricerca e della Prevenzione.

Operazione della Guardia di Finanza

Sviluppi dell’inchiesta Brotherood

L’inchiesta  Brotherood, collegata all’operazione eseguita dalla guardia di finanza che, a giugno dello scorso anno, ha portato in manette sei persone tra cui Aldo Ercolano, figlio di Sebastiano e cugino dell’omonimo boss implicato nell’assassinio del giornalista Giuseppe Fava, ha un ulteriore sviluppo.. La quinta sezione penale del tribunale di Catania ha disposto gli arresti domiciliari nei confronti dell‘avvocato catanese Antonino Drago e di Antonino Finocchiaro per il reato di estorsione. I fatti sono emersi in seno alle indagini che portarono alla sbarra colui che in quel momento era ritenuto reggente della famiglia Ercolano, inchiesta che ha messo in luce gli stretti legami fra esponenti della massoneria e Cosa nostra

(Agenzia)

 

 

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