La Finanza confisca beni per oltre 180 milioni di euro a due imprenditori attivi nel settore edile che ottenevano finanziamenti

Istituto di credito assume 11 operatori di sportello a Roma: la retribuzione è di 2.349,51 euro lordi al mese

Roma

Il Tribunale di Roma – Sezione Specializzata Misure di Prevenzione, ha disposto la misura della confisca di beni nella disponibilità di due fratelli, imprenditori attivi del settore delle costruzioni edili, per un valore complessivo di oltre 180 milioni di euro, nonché la misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza per la durata di anni due. Gli approfondimenti investigativi, eseguiti dagli specialisti del G.I.C.O. del Nucleo di Polizia Economico- Finanziaria della Guardia di Finanza di Roma, svolti su delega della locale Procura della Repubblica, traggono origine da una richiesta di ammissione al concordato preventivo di una società edile gravata da oltre 112 milioni di euro di debiti.

Dagli stessi è emerso che i due imprenditori avrebbero pianificato operazioni contabili e finanziarie (in gran parte fittizie), volte a rappresentare all’esterno una situazione patrimoniale florida e redditizia, idonea – in prima istanza – a ottenere agevolmente finanziamenti dagli istituti bancari e, successivamente, a persuadere i creditori della bontà dei piani concordatari adottati, in modo così da eludere la procedura concorsuale.

La misura di prevenzione patrimoniale, anche frutto delle evidenze di procedimenti penali nei quali i due costruttori venivano sottoposti agli arresti domiciliari per bancarotta fraudolenta in concorso, pone in luce una significativa sproporzione tra fonti di reddito lecite, attività economiche esercitate e complesso patrimoniale posseduto, direttamente ovvero indirettamente. Gli accertamenti economico-patrimoniali svolti dalle fiamme gialle di Roma hanno inoltre consentito di tracciare, in capo ai nuclei familiari dei proposti, la disponibilità di ingenti fonti reddituali di derivazione illecita frutto di condotte distrattive in danno delle società fallite.

Tali proventi sono confluiti, attraverso molteplici operazioni economiche, nelle società destinatarie del provvedimento in argomento. Le innumerevoli aziende facenti capo ai soggetti destinatari della misura ablativa sono risultate tra loro interconnesse attraverso l’utilizzo di prestanome e di complessi stratagemmi contabili. Il patrimonio così individuato, nel dicembre 2021 già oggetto di sequestro di prevenzione ai sensi del Codice Antimafia, è costituito da partecipazioni societarie (nei settori dell’edilizia e dell’immobiliare in genere), 40 immobili (anche di pregio e adibite a uso ufficio) ubicati a Roma, Anzio, Fiuggi, Fiumicino e Bassano Romano, disponibilità finanziarie e 20 autovetture di lusso (tra cui, Lamborghini, Mercedes e BMW), ed è stato stimato in oltre 180 milioni di euro.

 

“Operazione Aemilia”: confiscati beni e quote societarie

 

 

Concorso Guardia di Finanza 2019: 965 allievi finanzieri - Simone Concorsi

 

Beni immobili, mobili registrati e quote societarie per circa 4,5 milioni di euro sono stati confiscati dai militari del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Cremona, con il supporto delle fiamme gialle di Roma, Catanzaro e Crotone, in esecuzione di un provvedimento di confisca emesso dalla Corte d’Appello di Bologna e confermato dalla Corte di Cassazione, tra Verona, Reggio Emilia, Bologna, Parma, Catanzaro, Crotone e Roma, scaturito dalla vicenda giudiziaria denominata “AEMILIA” che ha visto coinvolta una nota compagine ‘ndranghetista.

L’azione dei finanzieri di Cremona, svolta nell’ambito dell’operazione “DEMETRA”, poi confluita nell’operazione AEMILIA diretta dalla D.D.A di Bologna, ha preso spunto da un episodio di usura perpetrato ai danni di un imprenditore cremonese da parte di un usuraio piacentino, proseguita con gli approfondimenti ed analisi dei flussi finanziari, che hanno consentito di portare alla luce ulteriori episodi delittuosi commessi ai danni di imprenditori emiliani. Nel corso dell’indagine è stato ricostruito un apposito sistema criminale attraverso il quale la consorteria ‘ndranghetista, anche grazie allo strumentale utilizzo di società fasulle appositamente costituite da professionisti conniventi, riusciva a reinvestire nel circuito legale ingenti risorse frutto della sua azione delittuosa.

I proventi dell’associazione criminale sono stati quindi riciclati attraverso molteplici investimenti: in complessi immobiliari, in strutture turistico-alberghiere, in società agricole, in società edili ed immobiliari, in imprese di trasporti e logistica. Il provvedimento patrimoniale eseguito oggi, che si aggiunge alle confische da oltre 57 milioni di euro già operate negli scorsi anni, consentirà di acquisire in via definitiva al patrimonio dello Stato:

  • 36 immobili ubicati nelle provincie di Crotone, Reggio Emilia, Parma, Roma e Verona.
  • 17 società di capitali operanti nel settore dell’edilizia, logistica, consulenza alle imprese e ristorazione, nelle provincie di Bologna, Modena, Parma, Catanzaro, Roma e Reggio Emilia;
  • 8 automezzi;

per un valore complessivo stimato di circa 4,5 milioni di euro.

 

 

Applicazione del Codice Antimafia per tre imprenditori con sequestro di 22 complessi aziendali e 800 milioni di euro

Sequestro di beni per oltre 800 milioni di euro a tre imprenditori
Codice Antimafia per tre imprenditori e sequestrati beni di oltre 800 milioni di euro

Catanzaro,

 Collaborati dal  Servizio Centrale Investigazione sulla Criminalità Organizzata di Roma, i finanzieri del Comando Provinciale di Catanzaro ,coordinati dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro, hanno dato esecuzione al decreto con il quale il Tribunale di Catanzaro – Ufficio Misure di Prevenzione, ha disposto il sequestro, finalizzato all’applicazione della confisca prevista dal Codice Antimafia, del patrimonio, del valore di oltre 800 milioni di euro, riconducibili a tre fratelli, imprenditori lametini nel settore della grande distribuzione alimentare e proprietari di uno dei centri commerciali più grandi della Calabria.

Il sequestro di prevenzione ha riguardato: • n. 22 complessi aziendali, comprendenti:– un centro commerciale tra i più grandi della Calabria; – n. 19 ipermercati; – attività di commercio di autoveicoli e di rivendita di motocicli e ciclomotori;

– attività operanti nei settori: costruzione di edifici residenziali e non residenziali; intermediazione finanziaria; recupero e riciclaggio di cascami e rottami metallici; produzione di gelati; gestione di impianti polivalenti; locazioni immobiliari;

• partecipazioni, anche in forma totalitaria, in n. 34 società, attive nei settori della grande distribuzione alimentare, rivendita di autovetture, ottica, commercio al dettaglio di generi alimentari, ristorazione, immobiliare, ed anche le quote di partecipazione nella squadra di calcio “Vigor Lamezia” e nella squadra di volley “Pallavolo Lamezia”;

• n. 26 fabbricati e n. 2 ville di lusso; • n. 42 terreni; • n. 19 autoveicoli (tra i quali una Ferrari);• n. 4 motoveicoli di lusso;

• n. 1 ditta individuale, operante nel settore della ristorazione;• tutti i rapporti bancari intestati e/o riconducibili ai proposti e ai loro familiari.

Si tratta di un provvedimento di natura cautelare, adottato ex art. 20 d.lgs. 159/2011, dal Tribunale di Catanzaro nell’ambito del procedimento di prevenzione avviato con la proposta di applicazione della misura di prevenzione personale e di quella patrimoniale della confisca, sulla base delle complesse indagini di natura economico-patrimoniale svolte, anche con l’ausilio di sofisticati software, ad opera degli specialisti del G.I.C.O. del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria del capoluogo calabrese, volte a verificare la provenienza dell’ingente patrimonio riferibile ai destinatari del provvedimento e la sproporzione rispetto ai redditi dichiarati e alla attività lavorativa.

Il procedimento di prevenzione, volto alla verifica della sussistenza dei presupposti per l’applicazione della misura di prevenzione personale e patrimoniale, è ancora in corso.

Le investigazioni riguardano le vicende patrimoniali e imprenditoriali della famiglia di origine dei tre imprenditori, fin dagli anni ‘80, e si sono avvalse anche delle risultanze investigative del p.p. n. 1002/2014 RGNR (già N. 1110/2009 RGNR), convenzionalmente denominato “ANDROMEDA”, ancora pendente in fase di giudizio anche nei confronti di uno dei tre imprenditori interessati dal provvedimento di sequestro di prevenzione, al quale è contestato anche il delitto di cui all’art. 416bis c.p.

Parte dei beni oggetto del sequestro di prevenzione era stata già interessata, nell’ambito del richiamato procedimento penale, dal sequestro preventivo, successivamente revocato.

 

MAFIA E ‘INDRANGHETA’ IN CALABRIA, SICILIA E PIEMONTE: 65 ARRESTI DI “BOSS E CAPICLAN”-

 

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   E’ ancora ‘ndrangheta in diverse città italiane, in Sicilia, in Piemonte dove le holding del narcotraffico spopolano in collegamento con la Calabria e l’hinterland milanese  , 400 carabinieri del Comando Provinciale di Torino stanno eseguendo un’ordinanza di custodia cautelare, emessa dal gip del tribunale torinese su richiesta della locale Direzione distrettuale antimafia, nei confronti di 65 appartenenti o contigui alle locali di ‘ndrangheta di Volpiano e San Giusto Canavese e componenti delle famiglie Agresta e Assisi, capi locali di Volpiano e San Giusto Canavese, considerati i più potenti narcotrafficanti tra il Nordovest e il Sud America.ritenuti responsabili di associazione di tipo mafioso e traffico internazionale di stupefacenti

 


L’ordinanza firmata dal gipi Luca Fidelio, consente l’arresto   dei boss delle famiglie Agresta, Catanzariti e Assisi, tra cui il nome più noto è quello di Nicola Assisi, rimasto latitante per anni in Sudamerica, arrestato a luglio a Praia Grande, una località balneare nello Stato di San Paolo, in Brasile insieme al figlio Patrick. Lì, nonostante i sequestri della giustizia italiana che lo cercava dal 2014, viveva nel lusso, possedeva tre appartamenti con piscina e aveva una stanza segreta in cui nascondeva il denaro, enormi quantità tanto che gli investigatori hanno preferito pesarlo anziché contarli: erano 20 chili. La cocaina era la sua specialità, quella che secondo le sentenze faceva arrivare a quintali in Italia, agli intermediari della ‘ndrangheta in Calabria, Piemonte e Lombardia.

L’operazione di  questa mattina sarà presentata direttamente a Torino dal procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero De Raho. E’ l’atto finale delle indagini di diverse forze di polizia, che che hanno come comune denominatore le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Domenico Agresta, il padrino ragazzino che a 29 anni aveva già scalato le gerarchie della locale di Volpiano ma che a ottobre del 2016, dal carcere di Saluzzo dove stava scontando 30 anni per omicidio, ha dato una svolta alla sua vita cominciando a collaborare con i magistrati di Torino, Monica Abbatecola e Paolo Toso. “La scuola mi ha fatto collaborare, perché l’istruzione mi ha dato strumenti che prima non avevo. In carcere, mi sono diplomato”, ha detto nelle molte udienze in cui ha portato la sua testimonianza, compresa quella per l’omicidio del procuratore di Torino, Bruno Caccia.

Le dichiarazioni del collaboratore Domenico Agresta hanno consentito agli inquirenti  di scoprire lo zio Antonio, in possesso della dote apicale di “corona”, come il capo locale della succursale mafiosa di Volpiano dopo la scarcerazione nel processo Minotauro (a novembre 2012) e perlomeno sino all’ulteriore arresto del giugno 2015. Dopo la condanna, infatti, il capo-clan assumeva la direzione della struttura distaccata di ‘ndrangheta..

 

Contestualmente la gdf di Torino sta procedendo alla notifica del medesimo provvedimento per ulteriori 6 indagati, ritenuti responsabili, nell’ambito della medesima associazione, anche di riciclaggio e trasferimento fraudolento di valori. Sottoposti a sequestro beni mobili ed immobili, nonché conti correnti e quote societarie per un valore in corso di quantificazione.

Sequestrati anche 80 kg di droga.     

 

 

Catania,evadono il fisco di oltre 10 milioni di euro: la Finanza sequestra i loro beni

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L’Agenzia delle entrate individua grandi evasori, interpella il settore operativo della Guardia di Finanza e sequestra.  Sono finiti i tempi in cui chi evadeva grandi somme restava impunito . Beni per un valore complessivo di oltre 3 milioni di euro sono stati sequestrati da finanzieri del Comando provinciale di Catania a Francesco e Sergio Lo Trovato, padre e figlio di 87 e 52 anni, rispettivamente amministratore di fatto (nonché direttore generale) e presidente del Cda del Consorzio siciliano di riabilitazione Società consortile arl. L’accusa della Procura è dichiarazione infedele.

 

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Secondo gli inquirenti i due avrebbero sottratto al pagamento delle imposte, dal 2013 al 2016, redditi complessivi per oltre 10 milioni di euro. L’Ires evasa, pari a oltre 3 milioni, è stata sottoposta a sequestro. Il Consorzio, costituito nel 1980 e con sede a Viagrande (Catania), svolge quale attività prevalente quella di fisioterapia mediante la gestione diretta di 19 centri di riabilitazione dislocati tra Catania, Siracusa, Ragusa, Enna, Trapani e Caltanissetta. 

La Direzione Antimafia di Catania confisca i beni del boss Salvatore Nizza legato a Santapaola

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Intensissima l’attività della Direzione Antimafia di Catania per l’anno che sta per chiudersi .Un altro servizio alla comunità è stato reso adesso dalla Dia con la confisca di beni per 1,5 milioni di euro  al boss Salvatore Nizza, 46 anni, appartenente all’omonimo gruppo, affiliato alla famiglia mafiosa di Cosa nostra catanese Santapaola-Ercolano, attivo nel popoloso rione di Librino ed esteso nel nord Italia e in Europa.

Il provvedimento di confisca interessa appartamenti ed unità immobiliari oltre che  beni mobili. 

Ricorderemo che il boss Salvatore Nizza in passato è stato condannato, in primo e secondo, per estorsione, associazione per delinquere di stampo mafioso, traffico di sostanze stupefacenti, violazioni alla normativa in materia di armi e omicidio. 

La Procura di Catania ha dunque ritenuta valida – e come tale accolta –    la proposta di applicazione di misura di prevenzione patrimoniale avanzata dalla locale Dda, diretta al Procuratore dr Carmelo Zuccaro, che aveva emesso decreto di sequestro.

 

Mario Ciancio Sanfilippo -“ha avuto rapporti con la Mafia”: la Procura confisca una serie di beni. “Impugnerò la Sentenza “

                            IL  VOLO  DEGLI  AVVOLTOI

 

 

 

Sono tanti i nemici di un uomo come Mario Ciancio Sanfilippo. Nell’occasione si trasformano in avvoltoi

 

Quello che una volta era impensabile oggi  è realtà visibile e constatabile.    Il Tribunale di Catania ha emesso un decreto di sequestro e confisca, su richiesta della Direzione distrettuale antimafia, di una serie di beni nei confronti dell’editore e direttore del quotidiano La Sicilia, Mario Ciancio Sanfilippo.

Il valore dei beni, in corso di quantificazione, è di almeno 150 milioni. Il provvedimento è stato eseguito dai Carabinieri del Ros e del Comando Provinciale di Catania.

Il decreto di sequestro e contestuale confisca riguarda conti correnti, polizze assicurative, 31 società, quote di partecipazione in altre sette società e beni immobili. L’imprenditore Mario Ciancio Sanfilippo è attualmente sotto processo per concorso esterno all’associazione mafiosa.

Il sequestro finalizzato alla confisca di oltre 150 milioni di euro  beni disposto dal Tribunale di Catania su richiesta della locale Dda riguarda l’intero gruppo editoriale che fa capo a Mario Ciancio Sanfilippo. Il provvedimento riguarda, tra l’altro, il quotidiano ‘La Sicilia’, la maggioranza delle quote della ‘Gazzetta del Mezzogiorno’ di Bari e due emittenti televisive regionali, ‘Antenna Sicilia’ e ‘Telecolor’. Il Tribunale ha nominato dei commissari giudiziari per garantire la continuazione dell’attività del gruppo.

Nell’ambito del procedimento di prevenzione a mio carico ritenevo di avere dimostrato, attraverso i miei tecnici e i miei avvocati, che non ho mai avuto alcun tipo di rapporto con ambienti mafiosi e che il mio patrimonio è frutto soltanto del lavoro di chi mi ha preceduto e di chi ha collaborato con me – è lo sfogo amaro del dr. Mario Ciancio Sanfilippo -. Ritengo che le motivazioni addotte dal Tribunale siano facilmente superabili da argomenti importanti di segno diametralmente opposto, di cui il collegio non ha tenuto conto”.

‘I miei avvocati sono già al lavoro per  l’impugnazione di tutto questo in Corte di Appello”. ”Sono certo – spiega – che questa vicenda per me tristissima si concluderà con la dovuta affermazione della mia totale estraneità ai fatti che mi vengono contestati, come dimostra la mia storia personale, la mia pazienza e la mia ormai lunga vita nella città di Catania”.

Sono tante le domande che si pongono i siciliani.      I  giornalisti della redazione hanno un danno d’immagine da questa vicenda giudiziaria. Come è stato esercitato inoltre il potere del dr. Ciancio ‘?   Con il suo giornale La Sicilia?  Perchè tutta questa ricchezza con l’editoria?   Sono i finanziamenti pubblici?  Vi sono stati condizionamenti ed interferenze nella Redazione’che ha prodotto negli anni tanti talenti e alcuni anche fuori dal coro come Giuseppe Fava con L’Espresso Sera”?

E’ anche ovvio che un uomo come lui abbia tanti nemici, per un motivo o per un altro, ma odiamo gli avvoltoi che si buttano sulla preda in crisi e, forse, ormai in fuga anche dalla vita. Perchè la verità è che non siamo eterni , dobbiamo tutti arrivare al capolinea, tutti quei milioni dr. Ciancio non servono proprio anche se saranno probabilmente  il frutto del suo lungo lavoro.  Papa Francesco lo ricorda sempre, “non vi sono tasche nei defunti”…ci sarà solo la coscienza e l’anima..    E  chi scrive sarebbe davvero contento se Lei ne uscisse moralmente integro – lasci perdere tutti quei soldi che sono forse la sua rovina — anche se vi sono ombre sulle omissioni di un giornale così importante come “La Sicilia”

Domani la Procura di Catania darà , nel corso di una conferenza stampa, ampi ragguagli sulla vicenda ma noi Vorremmo comprendere di più , non solo i giornalisti  antipatici cioè quelli che detengono il potere d’informazione in un solo settore ma gradiremmo che il dr Ciancio – consenta questa nota – pubblicamente spiegasse a questo punto -dettagliatamente- le accuse dei magistrati e la sua difesa d’ufficio in pubblico       Siamo in pacata attesa 

                                                                                                             Raffaele    Lanza