Catania, il GIP indaga 28 persone, sequestra attività commerciali, beni e disponibilità finanziarie per un valore di circa 86 milioni di euro

 

La giustizia - bilancia non è l'unico modello possibile: «Il bene non si  costruisce con altro male» - Santalessandro

Archivi-Sud Libertà- (la spada della Giustizia)

Catania

Nell’ambito di articolate attività di indagine coordinate dalla Procura della Repubblica etnea, i Finanzieri del Comando Provinciale di Catania hanno eseguito, in collaborazione con il Servizio Centrale Investigazioni sulla Criminalità Organizzata (SCICO) e con l’ausilio dei Comandi Provinciali di Milano, Monza, Napoli, Roma, Varese e Verona, un’ordinanza con cui il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale etneo ha disposto l’applicazione di misure coercitive personali nei confronti di 3 persone, indagate, a vario titolo e in concorso con ulteriori 28 soggetti, dei reati di bancarotta fraudolenta e documentale, omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto, trasferimento fraudolento di valori, autoriciclaggio e reimpiego di denaro illecito.

Il Giudice ha disposto, inoltre, il sequestro, nei confronti di tutti gli indagati, delle quote sociali di 25 imprese nonché di beni e altre utilità nella disponibilità di ciascuno di essi per un ammontare complessivo pari a 86 milioni di euro.

Nel dettaglio, l’indagine trae origine dallo sviluppo di talune evidenze emerse nel corso dell’operazione “FOLLOW THE MONEY”, che pone in luce l’attività di  alcuni degli attuali destinatari di misura, tra cui due imprenditori ritenuti nel precedente contesto investigativo contigui al clan “Scalisi” di Adrano (CT), articolazione locale della famiglia mafiosa “Laudani”.

Il procedimento penale scaturito dalla citata operazione è stato definito con la condanna in primo grado di 8 imputati che avevano optato per il rito abbreviato ed il rinvio a giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa dei citati imprenditori, già tratti in arresto nel 2021.

Questi ultimi, alla luce delle evidenze emerse in quell’indagine, avrebbero sistematicamente favorito il clan “Scalisi” di Adrano (CT), articolazione locale della famiglia mafiosa “Laudani”, e il suo esponente di spicco, fornendo, mediante l’alimentazione della cassa e il mantenimento del gruppo e dei suoi sodali, un contributo, stabile e protratto nel tempo, alla realizzazione delle finalità dell’organizzazione mafiosa, al consolidamento del potere economico e all’occultamento e all’incremento del patrimonio del sodalizio, in cambio del quale avrebbero ricevuto protezione e agevolazione nell’espansione delle proprie attività imprenditoriali.

In particolare, a conclusione della citata operazione “FOLLOW THE MONEY”, unità specializzate del Nucleo di Polizia Economico Finanziaria di Catania e dello SCICO della Guardia di Finanza hanno effettuato perquisizioni locali in esecuzione delle misure cautelari disposte dal Tribunale di Catania nel 2021 nei confronti di 5 indagati, rivenendo documenti societari riferibili non soltanto alle aziende già monitorate in quella fase d’indagine, ma anche a ulteriori società e attività imprenditoriali, apparentemente intestate a soggetti terzi, ma di fatto ritenute riconducibili ai due imprenditori.

Nel nuovo filone investigativo, su delega della Procura della Repubblica di Catania, sono stati approfonditi i rapporti commerciali e i flussi finanziari all’interno della rete di 25 imprese facenti capo a tali imprenditori e, al contempo, ricostruite le cause che hanno portato al gravissimo dissesto economico di una delle principali società gestite dai medesimi, avente sede a Catania. Tale impresa, attiva nella commercializzazione di carburante e formalmente amministrata da un soggetto di comodo, è stata dichiarata fallita dal Tribunale di Catania con sentenza del 15 ottobre 2021, a seguito di istanza di fallimento presentata dalla locale Procura.

I mirati approfondimenti svolti dal Nucleo PEF di Catania della Guardia di Finanza sulla società fallita hanno messo in luce – nell’attuale fase del procedimento in cui non si è ancora instaurato il contraddittorio con le parti – che lo stato di decozione societario sarebbe stato determinato da due principali fattori:

  • le molteplici e ripetute violazioni alle norme tributarie legate all’omesso versamento dell’IVA per oltre 9,7 milioni di euro solo nel 2019 e stimate nel complesso (per gli anni 2019-2020) in 50 milioni di euro;
  • le condotte di carattere distrattivo operate dai reali dominus, ovverosia i predetti due imprenditori, che, con il concorso di soggetti prestanome a capo di 6 diverse società, tutte riconducibili ai predetti, avrebbero operato ingiustificati prelievi in contante e bonifici in favore di tali compagini societarie, così drenando liquidità per non meno di 27,7 milioni di euro in un arco temporale di poco più di 3 anni (metà 2018 – inizi 2021).

Le distrazioni delle risorse della fallita sarebbero avvenute in un primo momento a favore di 6 società (con sede a Catania, Enna e Milano, operanti nel settore della commercializzazione di carburanti, nella logistica e trasporti e nella compravendita di autoveicoli) e di una persona fisica – rappresentante legale di ulteriori 2 imprese (con sede a Catania e in Bulgaria, attive nel settore della logistica e dei trasporti).

Sono state inoltre individuate e ricostruite molteplici operazioni di trasferimento di fondi “infragruppo”, potendo gli imprenditori contare sul “controllo di fatto” di un numero consistente di aziende, in totale 25, dislocate in diverse province del territorio nazionale (Catania, Milano, Napoli, Roma, Varese e Verona). Tali operazioni avrebbero consentito di riciclare e reimpiegare nel circuito economico legale somme di denaro stimate in circa 48 milioni di euro, rendendo difficoltosa l’identificazione della loro provenienza delittuosa.

In un caso, ad esempio, le somme trasferite dalla fallita ad un’altra società della “rete”, pari a 6 milioni di euro, sono state successivamente frazionate e trasferite, senza una reale ragione economica, ad altre 11 imprese rientranti sempre nel reticolo societario controllato dai due principali indagati.

In un altro caso, invece, la fallita ha trasferito circa 9,5 milioni di euro ad una società la quale, analogamente a quanto avvenuto nell’esempio precedente, ha a sua volta frazionato e dirottato tali somme su altre 10 aziende del “gruppo”, una delle quali ha poi impiegato parte della liquidità per l’acquisto di beni di lusso del valore di 240.000 euro.

L’anello di congiunzione tra i due imprenditori e la rete dei prestanome a capo delle 25 società e ditte coinvolte sarebbe stato il soggetto posto agli arresti domiciliari, il quale avrebbe rappresentato per i formali rappresentanti legali il referente da cui ricevere indicazioni e a cui rivolgersi in caso di necessità.

Le complesse attività investigative sviluppate dal Nucleo PEF etneo della Guardia di finanza, anche mediante l’acquisizione e l’analisi di copiosa documentazione bancaria, contabile e contrattuale, hanno permesso di sottoporre al vaglio dell’Autorità Giudiziaria etnea plurimi elementi indiziari in merito a condotte di omesso versamento dell’IVA, bancarotta, trasferimento fraudolento di valori e riciclaggio.

Alla luce del complesso delle evidenze investigative raccolte, il Giudice per le indagini preliminari presso il locale Tribunale – su richiesta della Procura della Repubblica catanese – ha pertanto disposto:

  • la custodia cautelare in carcere nei confronti dei due imprenditori e gli arresti domiciliari a carico del referente per la rete di prestanome;
  • il sequestro delle quote sociali di 25 attività commerciali (13 società e 12 ditte individuali), site nelle province di Catania (n. 5), Enna (n. 1), Mantova (n. 1), Napoli (n. 1), Milano (n. 13), Roma (n. 3), Verona (n. 1), operanti nel settore della logistica e dei trasporti, delle ricerche di mercato, della commercializzazione di prodotti petroliferi e metalliferi nonché della compravendita di autoveicoli;
  • il sequestro di beni e altre utilità nella disponibilità degli indagati e comunque agli stessi riconducibili fino a concorrenza del valore complessivo di 86 milioni di euro.

L’attività dei Finanzieri di Catania si inquadra nel più ampio quadro delle azioni svolte dalla Procura della Repubblica di Catania e dalla Guardia di finanza volte a contrastare sotto il profilo economico-finanziario ogni forma di manifestazione criminale e ad evitare i tentativi, sempre più insidiosi, di inquinamento del tessuto imprenditoriale, mediante partecipazione al capitale di imprese sane, e di distorsione della concorrenza.

 

Operazione dei Carabinieri per sgominare il traffico di droga

Sniffare Droga - Foto e Immagini Stock - iStock

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 Catania, Palermo, Siracusa 

Vasta operazione dei Carabinieri nelle prime ore del mattino.. Su delega della Procura Distrettuale della Repubblica, i Carabinieri della Compagnia di Acireale (CT) e del Comando Provinciale di Catania, supportati dai reparti specializzati dell’Arma presenti nella Regione siciliana (Compagnia di Intervento Operativo del XII Reggimento “Sicilia” e  Nucleo Cinofili), hanno eseguito, nelle Province di Catania, Palermo, Siracusa e L’Aquila, un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip del Tribunale di Catania nei confronti di 13 soggetti (di cui 8 in carcere e 5 agli arresti domiciliari) gravemente indiziati, a vario titolo, dei reati di “associazione finalizzata al traffico ed allo spaccio di sostanze stupefacenti”. Nei confronti di altri 6 individui, invece, è stato notificato l’avviso di conclusione delle indagini.
L’indagine, coordinata da questa Procura Distrettuale e condotta dai militari della Compagnia Carabinieri di Acireale tra il febbraio e il luglio 2021, attraverso complesse attività tecniche e dinamiche, ha consentito di evidenziare la sussistenza di un grave quadro indiziario, relativamente all’esistenza di una associazione criminale finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, operante nei paesi etnei.
Nell’attuale fase del procedimento, in cui non è stato ancora instaurato il contraddittorio tra le parti, le attività tecniche e i relativi approfondimenti investigativi hanno consentito sia d’individuare il movimento di un considerevole quantitativo di sostanza stupefacente nei pressi di un bar ubicato nel Comune di Aci Bonaccorsi, sia di ricostruire la rete dei pusher e il sistema di gestione dello spaccio, acclarando le modalità di approvvigionamento e cessione degli stupefacenti (cocaina, marijuana) nei Comuni di Aci Sant’Antonio, San Giovanni La Punta, Viagrande, Pedara e Aci Bonaccorsi.
L’opportuna azione investigativa, basata sul monitoraggio di quotidiani spostamenti e incontri di vari personaggi, avrebbe quindi registrato un’intensa attività di compravendita di cocaina, che sarebbe stata venduta, all’ingrosso, dall’associazione criminale al costo di 38 € al grammo. Le persone coinvolte, alcune disoccupate e molte gravate da pregiudizi di polizia, al fine di ottenere illecito profitto economico, anche per il mantenimento delle loro famiglie, avrebbero pertanto predisposto incontri finalizzati alla cessione della droga, che sarebbero avvenuti presso le proprie abitazioni e in un noto bar di Aci Bonaccorsi.
Allo stato degli atti, le investigazioni hanno consentito di definire le posizioni e i ruoli degli indagati nell’ambito del sodalizio criminale. L’associazione, infatti, costituita in parte da soggetti contigui al clan “Laudani” di Catania, grazie alla rudimentale ripartizione dei ruoli tra venditori e fornitori di sostanza stupefacente, avrebbe ideato un preciso modus operandi volto a commettere ripetute azioni delinquenziali attraverso l’utilizzo di un linguaggio allusivo, parole (come “africa” o “stella” per indicare la qualità della cocaina) e frasi in codice (che alludessero a prodotti di gastronomia venduti nel bar), non solo per organizzare incontri con gli acquirenti, ma anche per indicare le sedi deputate alle riunioni fra gli associati.
La manovra investigativa, inoltre, ha fatto emergere come i principali membri dell’associazione, si sarebbero occupati, in particolare, della vendita di partite di cocaina quali grossisti, intrattenendo contatti con soggetti appartenenti ad altre organizzazioni criminali. Nello specifico mentre B.G. avrebbe assunto il ruolo di “capo promotore”, impartendo direttive e controllando l’operato dei propri collaboratori, M.D., suo “uomo di fiducia”, sarebbe stato incaricato della gestione della contabilità relativa all’attività di compravendita della sostanza stupefacente. D’altro canto, V.F., detto “Ciccio pesce o mangioglio”, avrebbe curato i contatti con gli acquirenti e le consegne della merce, ricevendone il relativo corrispettivo. Infine, S.S. e S.A. sarebbero emersi quali corrieri, incaricati dal V. di svolgere la materiale consegna dello stupefacente agli acquirenti.
In conclusione, nel corso dell’attività d’indagine, a riscontro delle condotte criminose attribuite a vario titolo agli odierni indagati, non solo si è proceduto, in flagranza di reato per detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti, all’arresto di 3 persone e alla denuncia in stato di libertà di altre 3, ma è stato, anche, ricostruito un giro d’affari di almeno 380.000 (trecentottanta mila) euro immesse nel mercato della droga.
Ai 13 destinatari della misura cautelare, si aggiungono 6 soggetti nei confronti dei quali sarà notificato l’avviso di conclusione delle indagini.
L’ipotesi investigativa prospettata dalla  Procura Distrettuale è stata condivisa dall’ufficio del Gip che ha emesso le misure cautelari di seguito specificate. In esito alle catture verrà attivato il contraddittorio procedimentale, nel corso del quale gli indagati avranno la facoltà di fornire la loro versione dei fatti e indicare eventuali prove a discolpa.

 

Operazione “Terra bruciata”: decapitata dai Carabinieri la cellula del Clan Laudani

 

 

Con un blitz a sorpresaI carabinieri sono riusciti a mettere le mani e decapitare la cellula mafiosa del clan Laudani – il gruppo Sangani – che opera nel territorio etneo. 

Oltre 30 gli indagati coinvolti: sono accusati di “associazione di tipo mafioso”, “estorsione”, “associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti”, “detenzione illegale di armi e munizioni” e “concorso in violazione di domicilio aggravata da violenza sulle cose a mezzo di incendio”. La Procura ha contestato anche l’aggravante mafiosa.

L’inchiesta della Dda – denominata Terra Bruciata – ha condotto  ad un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip che i carabinieri – si apprende oltre 200 in questa operazione – stanno eseguendo nelle province di Catania, Cagliari e Rimini.

 

Dalle indagini sono emerse anche ipotesi di scambio politico-mafioso. Le comunali del 2018 a Randazzo potrebbero essere state inquinate dalle infiltrazioni mafiose: «Sono emerse interferenze degli appartenenti al sodalizio mafioso sull’Amministrazione Comunale e, in particolare, su tre rappresentanti, attuali e passati, di quel Comune». 

Il traffico  di cocaina, hashish e marjuana nelle mani del gruppo Sangani viene fermato.    Si apprende pure che , nel corso degli anni, gli indagati  avrebbero esercitato «un asfissiante e capillare controllo del territorio ai danni di attività economiche della zona, i cui titolari venivano intimiditi con minacce e danneggiamenti per sottostare al pagamento del pizzo».

I carabinieri hanno scoperto pure  un arsenale costituito da pistole, fucili e numerose munizioni. Tutto sotterrato in campagna. Forse una rivelazione di indagato.

 

DISCO ROSSO DELLA FINANZA AGLI INVESTIMENTI DELLA “MAFIA IMPRENDITORIALE” IN SICILIA,LOMBARDIA E VENETO-17 SOCIETA’ E 48 IMMOBILI PER UN VALORE DI OLTRE 50 MLN DI EURO

CATANIA,

Duro colpo alle articolazioni mafiose dei Clan Scalisi-Laudani .Nell’ambito di articolate attività di indagine coordinate dalla Procura della Repubblica di Catania – Direzione Distrettuale Antimafia, i Finanzieri del Comando Provinciale della Guardia di finanza di Catania, con la collaborazione e il supporto dello SCICO (Servizio Centrale Investigazione Criminalità Organizzata), hanno ricostruito gli investimenti degli illeciti proventi del capo del clan SCALISI – articolazione della famiglia mafiosa LAUDANI – in attività imprenditoriali gestite dal nipote nonché da due imprenditori catanesi: questi, a loro volta, utilizzavano diversi prestanome per la costituzione di numerose società.

Il Giudice presso il Tribunale di Catania, su richiesta della Procura Distrettuale, ha condiviso la configurabilità del concorso esterno a carico dei due imprenditori ed emesso ordinanze cautelari personali e reali nei confronti di 26 persone indagate, a vario titolo, per associazione a delinquere di tipo mafioso e trasferimento fraudolento di valori al fine di eludere la normativa antimafia. Nel dettaglio, sono state seguite dai militari del Nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di finanza di Catania ordinanze di custodia cautelare in carcere nei confronti di 5 indagati e il sequestro preventivo nei confronti di tutti i 26 indagati delle quote societarie e dei compendi aziendali di 17 società aventi sede in Sicilia, Lombardia e Veneto, di 48 beni immobili tra terreni e appartamenti situati tra Catania e Messina, oltre che di conti correnti e disponibilità finanziarie per un valore complessivo di 50 milioni di euro.

Inoltre, nel corso delle attività di perquisizione domiciliare nei confronti degli arrestati sono stati rivenuti e sottoposti a sequestro oltre 1 milione di euro in contanti, orologi, preziosi e auto di lusso, tra cui una Ferrari modello F458 del valore di 200 mila euro, due Porsche e un’Audi Q8.

La complessa attività d’indagine, condotta dal Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Catania, ha riguardato soggetti appartenenti o contigui al clan SCALISI di Adrano e ha permesso di accertare la forte capacità del gruppo mafioso di inserirsi nel tessuto economico-sociale e di infiltrarsi in strutture produttive attive sull’intero territorio nazionale e con sede nel Nord-Est, dalle quali traeva poi finanziamento. In particolare, l’indagine ha evidenziato come il capo clan, anche dal carcere (ove è sottoposto al regime del “carcere duro”), abbia continuato a rappresentare il punto di riferimento dell’associazione criminale, dirigendo – anche nel corso dei “colloqui” presso l’istituto di reclusione – l’attività della consorteria criminale e ciò grazie soprattutto al nipote, al quale è stato riconosciuto un ruolo di assoluto rilievo nell’ambito del sodalizio quale portavoce dello zio sul territorio e supervisore degli investimenti.

Le investigazioni, condotte dalle unità specializzate del GICO del Nucleo PEF di Catania, hanno poi posto in luce il “concorso esterno” nell’associazione mafiosa di due imprenditori catanesi, i quali hanno sistematicamente operato a favore del capo clan, riuscendo in questo modo:

  • da un lato, a “occultarne” il relativo patrimonio, grazie a plurime intestazioni fittizie di beni e società illecitamente acquisiti nel tempo;dall’altro, a incrementare in maniera costante e considerevole le loro disponibilità economiche e finanziarie, potendo contare sugli ingenti e illeciti apporti di capitale derivanti dalle attività della consorteria criminale e sulla protezione offerta loro dallo stesso clan.

Si è appreso anche che i predetti imprenditori – inizialmente operanti nel settore della logistica e dei trasporti nella zona di Adrano – potendo contare sulla copertura anche finanziaria fornita dall’associazione mafiosa oggetto di indagine hanno progressivamente esteso sull’intero territorio nazionale le loro illecite attività imprenditoriali, gradualmente diversificandole e rilevando anche società operanti nel settore della commercializzazione dei prodotti petroliferi in Veneto e Lombardia.

È emersa altresì la figura di un altro sodale, quale importante riferimento dell’associazione criminale nel territorio di Adrano, Paternò e Biancavilla, attivo in particolar modo nel settore dei trasporti. In esito alla complessa e articolata attività di indagine del Nucleo PEF della Guardia di finanza di Catania e dello SCICO, il Giudice per le indagini preliminari presso il locale Tribunale, su proposta di questo Ufficio, ha quindi disposto misure cautelari personali e reali nei confronti degli appartenenti all’associazione mafiosa.

Disposta la custodia cautelare in carcere nei confronti di 5 soggetti, sottoposti a indagine a vario titolo per associazione a delinquere di tipo mafioso e trasferimento fraudolento di valori, poiché hanno fittiziamente attribuito la titolarità di altrettante imprese a svariati prestanome, con la duplice finalità di eludere la normativa antimafia e di favorire il clan SCALISI.

È stato inoltre sottoposto a sequestro, nei confronti di 26 indagati, il rilevante patrimonio del clan SCALISI – per un valore allo stato stimato in circa 50 milioni di euro – costituito da:

  • quote societarie e relativi compendi aziendali di 17 società aventi sede in Sicilia (province di Catania e Enna), Lombardia (Varese e Mantova) e Veneto (Verona), attive nel settore della logistica e della commercializzazione del carburante; 48 immobili, di cui 15 fabbricati e 33 appezzamenti di terreni, tutti situati tra la provincia di Catania e Messina.