Allarme Mafia della Pubblica amministrazione senza alcun controllo- Capo Commissione Antimafia : Pubblici Uffici nelle mani dei “dirigenti” incontrollati

 

“I CONTROLLI DEI PUBBLICI UFFICI NON ESISTONO E QUELLI PREVISTI DALLA LEGGE SONO RIDOTTI A MERA COSMESI”

 

Allarme Mafia Pubblica amministrazione “Da procuratore nazionale antimafia credo sia doveroso richiamare l’attenzione del dibattito pubblico sullo stato di profondo diffuso condizionamento criminale dei comportanti della pubblica amministrazione.

Basterebbe guardare allo stato delle amministrazioni sciolte in 30 anni per accertati condizionamenti della criminalità mafiosa per toccare la concretezza dei problemi dell’assenza di ogni filtro, controllo, prevenzione”.

  Giovanni Melillo davanti alla Commissione Giustizia della Camera che lo ha ascoltato sulla riforma dell’abuso d’ufficio così si esprime inoltre:.

“Credo che il giusto obiettivo di ridimensionare la paura della firma non può esaurirsi nell’aggravare la frammentazione e l’incoerenza del sistema dell’incriminazione” ha osservato il procuratore a proposito della riforma a cui sta lavorando il governo. “I timori di invasione indebita della sfera di discrezionalità che deve essere riservata all’autorità amministrativa è un tema che avrebbe più credibilità se fosse accompagnato dalla rivendicazione dell’introduzione nel sistema di controlli interni alla pubblica amministrazione, in grado di tenere lontano il rischio dell’intervento giudiziario. E’ invece questo uno dei temi che resta fuori dal dibattito politico – ha evidenziato ancora il magistrato – Occorre riconoscere che i controlli nella pubblica amministrazione non esistono e quelli previsti dalla legge sono ridotti a mera cosmesi”.

Per Melillo, inoltre, con la riforma dell’abuso d’ufficio “iI venir meno della possibilità di sanzionare condotte abusive rappresenterebbe un vulnus agli obblighi internazionali sottoscritti dall’ Italia in tema di corruzione con la convenzione di Strasburgo” . E visto che i clan tendono a entrare sempre più in contatto con la Pa, si sta esponendo l’Italia “al rischio di apparire fonte di indebolimento del sistema di incriminazione”, proprio mentre il Paese con il Pnrr “si appresta a utilizzare ingenti risorse” che sono anche il frutto di “tasse pagate da cittadini di altri Stati europei”.

TANGENTI E MAFIA A BELLALAMPO- MA LA MAFIA -E L’OMESSA TRASPARENZA-INVESTE QUASI TUTTO L’APPARATO PUBBLICO DELLA SICILIA

 

CLAUDIO FAVA : “TANTI INTERESSI PRIVATI SI INCROCIANO CON GLI INTERESSI DEI FUNZIONARI PUBBLICI CORROTTI”

Le tangenti a Bellolampo, l’arresto del direttore tecnico della discarica con due imprenditori  sono il segnale che la Mafia degli Enti pubblici ed organi collegati  è  consistente e radicata in Sicilia   Afferma il Presidente della Commission e regionale Antimafia  Claudio Fava: “L’ottima operazione della DIA  a Bellolampo conferma, ancora una volta, come gli interessi criminali nel ciclo dei rifiuti in Sicilia siano in grado di intercettare, attraverso la corruzione, fiumi di denaro pubblico. Anche a Bellolampo emerge con chiarezza quanto già contenuto nella relazione della commissione regionale Antimafia pochi mesi fa: vi è una forte commistione criminale tra interessi privati e funzionari pubblici corrotti. Quanto emerso nelle ultime settimane, attraverso diverse inchieste che hanno interessato l’intero territorio della regione, rinnova l’urgenza di interventi di natura politica. In questo senso le decisioni della RAP di procedere ad una sorta di commissariamento di Bellalampo e alla sua costituzione di Parte civile sono segni importanti. Alla ripresa dei lavori della Commissione antimafia sarà opportuno valutare l’apertura di una specifica attività di indagine su quanto avvenuto nel e attorno al principale sito pubblico di conferimento e trattamento della Sicilia.”

Interviene a riguardo anche il M5S con la deputata Roberta Schillaci: “È impensabile che una discarica pubblica possa essere scenario e strumento di illeciti arricchimenti di dipendenti corrotti e infedeli e di avidi imprenditori che perpetrando una gestione torbida e non corretta del ciclo dei rifiuti, finisce col ripercuotersi sulla vita dei cittadini in termini di servizi inadeguati, costi elevati e rischio per la salute pubblica”. . “Ancora una volta purtroppo – afferma  la deputata – magistratura e le forze dell’ordine, cui va il nostro plauso, fanno luce su un sistema opaco del ciclo dei rifiuti così come rilevato dalla stessa commissione d’inchiesta sul fenomeno della Mafia dell’Ars, mentre la politica dovrebbe intervenire con azioni concrete per rendere il sistema trasparente ed evitare la costruzione di economie parallele illecite” – ..”

Il GIUDICE BORSELLINO AVEVA RICHIESTO ANCHE UN SEMPLICE COMPUTER E SOLO DOPO TANTO TEMPO ARRIVO’

LOTTARE DA SOLI CONTRO IL SISTEMA E CIRCONDATO DALLA MAFIA

Il giudice Paolo Borsellino, nell’audizione davanti alla Commissione antimafia desecretata, denunciò di essere senza scorta il pomeriggio e la sera . Sono oltre 1.600 i documenti per la prima volta riordinati in un unico sito, materiali e atti dal 1963 al 2001 de-secretati che diverranno accessibili a tutti.

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“Nonostante la mattina con strombazzamenti il magistrato viene accompagnato in auto, poi il pomeriggio non lo può più fare” dice ancora Borsellino. E davanti al deputato che gli parla di “libertà” di andare con la propria auto replica: “La mia libertà la riacquisto, ma poi sono libero di essere ucciso la sera…”.

– E ancora: “Il computer è finalmente arrivato, purtroppo non sarà operativo se non fra qualche tempo. E’ stato messo in un camerino e stiamo aspettando” dice nell’audizione inedita davanti alla Commissione antimafia il giudice Paolo Borsellino. “E’ un computer della Honeywell ed è diventato indispensabile perché la mole dei dati contenuti anche in un solo processo è tale che non è più possibile usare i sistemi tradizionali delle rubrichette”.

 – In una seduta dalla Commissione nazionale antimafia, prima di essere ucciso, Paolo Borsellino denunciò A Palazzo San Macuto la “gravità dei problemi, soprattutto di natura pratica, che dobbiamo affrontare tutti i giorni”, “sottolineando soprattutto che, con il fenomeno della gestione dei processi di mole incredibile, perché un solo processo è composto da centinaia di volumi e riempie intere stanze, è diventato indispensabile l’uso di attrezzature più moderne di queste rubriche e degli appunti”.

 – Il boss poi pentito Tommaso Buscetta, mentre era latitante, incontrava i capimafia in via Ruggero Settimo a Palermo, strada centralissima del ‘salotto’ della città, in pieno giorno. A raccontarlo alla Commissione nazionale antimafia prima di essere ucciso era stato Paolo Borsellino: a Marsala, dove il giudice lavorava, non c’era una volante “che potesse assicurare l’intero arco delle 24 ore”, raccontava Borsellino. “E siccome ricordavo che Buscetta mi aveva detto che gli era stato presentato il capomafia di Bagheria mentre passeggiava in via Ruggero Settimo e io gli chiesi come faceva a passeggiare e lui mi rispose: “Nel nostro ambiente si sapeva che tra le 14 e 16 c’era la ‘smonta’ delle volanti e noi latitanti ci facevamo la passeggiata”.

A Marsala, quando il Procuratore era Paolo Borsellino, mancava una volante; così il magistrato poi ucciso da cosa nostra fece la proposta di dimezzarsi la scorta: “E così facemmo la volante” raccontava lo stesso Borsellino durante l’audizione davanti alla Commissione antimafia. “Io ero molto stanco e volevo andare e dissi di dimezzarmi la scorta e solo così avemmo la volante”.

– “Il fratello di Riina Salvatore abita a Mazara del Vallo da circa 20 anni e, per una certa situazione riguardante le forze di Polizia, pur sapendo che si recava ogni settimana a Corleone, non era mai stato fatto un pedinamento“. Lo racconta il giudice nell’audizione in Antimafia del 12 maggio 1987. Marsala “sospetto, con la mia esperienza e con quello che posso capire, sia una specie di santuario delle organizzazioni criminali mafiose di Palermo”.

– Il mio ufficio “rimanendo identico sia nei magistrati che nei funzionari che nella cancelleria visto che non è arrivata una sola persona in più, ufficio che si occupava di un flusso annuale di 4mila processi, ha visto ora aumentare tale flusso a 30mila processi l’anno ai quali si sono aggiunti i 60mila processi che gli sono stati scaricati dalle preture del circondario in quanto, non essendo stati incardinati con il vecchio rito, sono stati assegnati alla procura della Repubblica affinché li tratti con il nuovo rito. Attualmente nel mio ufficio giacciono circa 100mila processi”. Lo afferma Paolo Borsellino sentito in commissione parlamentare Antimafia a Trapani nell’89, dove parlava anche dell’impatto del nuovo codice di procedura penale sulle condizioni strutturali degli uffici giudiziari impegnati sul versante della lotta alla criminalità organizzata. Nell’audio, reso accessibile dalla Commissione Antimafia, Borsellino sottolinea: “Io comunque non mi arrendo”, spiegava Borsellino dicendo di aver detto all’allora ministro Vassalli “che non alzerò le braccia. Certo bisognerà vedere quale sarà la resistenza fisica mia e dei miei colleghi”.

 – “A Mazara del Vallo operò per un certo periodo una società dal nome tipicamente massonico, la società “Stella d’Oriente”, il cui factotum era Pino Mandalari, certamente massone, amministratore dei beni di Riina, Provenzano, Bagarella… dei Corleonesi”. Racconta così Borsellino e a Violante che gli chiede se ci fossero magistrati nella loggia, Borsellino rispende: “Non credo: quello che ho sentito è che qualche magistrato frequentasse il circolo, non però che fosse aderente alla loggia”.

– “Con riferimento al mio circondario devo dire che provvedimenti giudiziari, e io devo attenermi a procedimenti giudiziari perché sono giudice e non sociologo, che denotino queste commistioni, connivenze e contiguità tra mafia e politica non vanno oltre qualche indizio di reato che recentemente ha anche toccato dei consiglieri comunali con i provvedimenti che ho emesso nel marzo di quest’anno” dice Borsellino. “Dovunque abbiamo indagato, al di sopra della cupola mafiosa, non abbiamo mai trovato niente – sottolinea ancora – Da tante indagini viene fuori invece la contiguità e i reciproci favori, e senza andare lontano basti vedere il caso Ciancimino e il caso Salvo, e tutto ciò di cui parla uno degli ultimi pentiti, il Marsala, in riferimento all’attività delle organizzazioni mafiose a livello elettorale che permetteva quantomeno di rendere favori elettorali, probabilmente con la speranza di averli resi in altro modo”.

– “Non sono uso fare dichiarazioni sui processi in corso, semmai le faccio dopo. Anzi, al riguardo, vorrei dire che sono stato, insieme ai miei sostituti e collaboratori gravemente minacciato mentre si stavano svolgendo le indagini sul processo per Pantelleria”. Il giudice in una delle audizioni in Antimafia desecretate oggi, in cui poi racconta: E’ arrivata una lettera contenente un proiettile che diceva che altri due erano per il maresciallo Canali, altri tre per il mio sostituto Di Gloria e altri cinque per il sottoscritto e i suoi cari: pertanto la persona che scriveva era perfettamente a conoscenza della composizione dei nuclei familiari mio, del maresciallo e del sostituto”.

 – Gli audio pubblicati on line sono stati desecretati, insieme ad atti e documenti dei lavori della stessa Commissione Antimafia, che ha deciso all’unanimità di desecretare tutto il materiale.

Il presidente Nicola Morra ha illustrato il nuovo sito istituzionale che, anche grazie a un motore di ricerca, permetterà a chiunque di consultare i documenti. “Questo è un segnale di ulteriore democratizzazione del Paese” .

COSA NOSTRA E’ DENTRO LA REGIONE SICILIA: DIRIGENTI FAVORIVANO AUTORIZZAZIONI NEL SETTORE..

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TREMANO I DIRIGENTI DEI DIPARTIMENTI DELLA REGIONE SICILIANA: SONO TANTI GLI INFILTRATI DI COSA NOSTRA,TROPPI FAVORITISMI , TROPPA CORRUZIONE, E’ IN GRAN PARTE UNA CASTA CORROTTA CHE VEDE ANCHE IL PRESIDENTE MICCICCHE’ – SECONDO IL GIP -“AVERE UN RUOLO BEN PRECISO…”

Paolo Arata, l’ex deputato di Forza Italia ed ex consulente della Lega per l’energia e il figlio Francesco, accusati dei reati di corruzione, autoriciclaggio e intestazione fittizia di beni, sono finiti stamani in carcere.

 

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Nella foto, Paolo Arata

Le indagini della Dda di Palermo  padre e figlio, rivelano che essi sarebbero soci occulti dell’imprenditore trapanese dell’eolico Vito Nicastri – anche lui in carcere con il figlio Manlio -, vicino al boss latitante Matteo Messina Denaro. Anche la classe dirigenziale della Regione Sicilia ha un ruolo specifico.Agli arresti domiciliari  il dirigente regionale Alberto Tinnirello.

Le perquisizioni dello scorso 17 aprile hanno fornito agli inquirenti  riscontri alle ipotesi d’accusa, rappresentata dal procuratore aggiunto Paolo Guido e dal pm Gianluca De Leo. L’ordinanza è stata emessa dal gip Guglielmo Nicastro. Alcune società che gestiscono impianti eolici sono state sequestrate dalla Dia di Palermo. Negli affari degli impianti eolici tra Arata e l’imprenditore Vito Nicastri ci sarebbe, secondo il gip, un “elevato rischio di infiltrazioni di Cosa nostra”.

 

Intanto, perquisizioni sono in corso negli uffici dell’assessorato Territorio e Ambiente della Regione Siciliana nell’ambito dell’arresto. Gli uomini della Dia cercano riscontri sul dirigente Alberto Tinnirello finito oggi ai domiciliari.

 

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Armando Siri: “destinatario di una tangente da 30 mila euro”secondo l’accusa

SIRI – Prosegue anche il procedimento  della Procura di Roma che vede l’ex consulente della Lega e l’ormai sottosegretario Armando Siri  coinvolto L’indagine era stata avviata a Palermo ma poi trasferita, per la parte riguardante il politico, alla Procura della  Capitale.

Siri sarebbe il destinatario di una tangente da 30 mila euro in cambio di un emendamento nell’ambito di un affare sull’eolico insieme con l’imprenditore Nicastri.            “Tra i fatti di reato sono emersi anche ipotizzati accordi corruttivi raggiunti a Roma nel settembre 2018 da Paolo Arata, dal figlio Francesco e dell’attuale senatore Armando Siri“. E’ quanto scrive il gip nella misura cautelare . Gli atti relativi a Siri sono poi stati inviati a Roma dove la Procura sta proseguendo l’inchiesta. “Ufficio con il quale è in corso pieno e proficuo coordinamento investigativo che ha consentito tra l’altro, lo scorso 18 aprile, l’esecuzione congiunta di attività di perquisizione e sequestro nei confronti di alcuni indagati iscritti sia nell’ambito del presente procedimento che nell’ambito di quello pendente innanzi alla A.G. di Roma“…

” –  Paolo Arata – comunica la Procura -“ha fatto tesoro della sua precedente militanza politica, in Forza Italia, per trovare canali privilegiati di interlocuzione con esponenti politici regionali siciliani ed essere introdotto negli uffici tecnici incaricati di valutare, in particolare, i progetti relativi al ‘bio-metano'”. “Dalle attività di indagine, infine, è emerso che Arata ha portato in dote alle iniziative imprenditoriali con Nicastri gli attuali influenti contatti con esponenti del partito della Lega, effettivamente riscontrati e spesso sbandierati dall’Arata medesimo e di cui informava puntualmente il Nicastri”.

GLI INDAGATI – Ecco chi sono gli altri indagati nell’ambito dell’operazione della Dia: Francesco Paolo Arata, 39 anni, figlio di Paolo; Francesco Isca, 59 anni; Manlio Nicastri, 32 anni; Vito Nicastri, 55 anni; Alberto Tinnirello, 61 anni.

L’indagine ha messo a soqquadro alcuni ambienti della Regione siciliana. Dirigenti sotto inchiesta come il presidente della commissione di valutazione di impatto ambientale (Via) Alberto Fonte, accusato di abuso d’ufficio. Coinvolti anche altri due funzionari Giacomo Causarano, 70 anni, che lavora al Territorio e Ambiente dove sono in corso perquisizioni e Angelo Mistretta, 62 anni, che presta servizio al comune di Calatafimi. Le indagini, spiegano gli inquirenti, “hanno ulteriormente dimostrato che, oltre alla plurima creazione illecita di società dietro cui celarsi e continuare ad operare occultamente, Vito Nicastri, anche attraverso il suo prestanome Arata, intesseva – more solito – una fitta rete di relazioni con dirigenti e politici regionali al fine di ottenere (in un caso anche dietro versamento di denaro) corsie preferenziali e trattamenti di favore nel rilascio di autorizzazioni e concessioni necessarie per operare nel settore”. Così gli inquirenti nell’ambito dell’inchiesta sull’eolico.

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“LA PROCURA: MICCICHE LI HA “INTRODOTTI NEL SISTEMA’” – Secondo il gip, Paolo e Francesco Arata sarebbero stati introdotti negli uffici dell’Assessorato alle Attività produttive della Regione siciliana, guidato dall’assessore Mimmo Turano, dal Presidente dell’Ars Gianfranco Miccichè. Sono gli stessi Arata, parlando con un interlocutore, a spiegare “di essere stati introdotti presso l’Assessore Turano dal Presidente dell’Ars, Miccichè”, scrive il gip. A “Turano – prosegue il gip – gli stessi avevano riferito delle loro co-interessenze con Vito Nicastri, dicendogli di averlo conosciuto come valente ed esperto imprenditore del settore energetico e di ritenere che proprio tale “legame” fosse la ragione della diffidenza mostrata da alcuni Uffici regionali nei confronti dei progetti della Solgesta s.r.l.“.

LE MANI DI COSA NOSTRA SULLE RINNOVABILI – Il settore delle energie rinnovabili “è stato oggetto in tempi recenti di particolari attenzioni da parte di Cosa Nostra e degli imprenditori a questa vicini e/o contigui”. E’ l’ordinanza del Gip di Palermo. Una “confluenza di interessi, da parte di più articolazioni mafiose”, che “è stata plasticamente rappresentata dal suo capo assoluto”, Totò Riina, “il quale durante la sua detenzione nel carcere milanese di Opera, nell’affrontare temi e vicende relative ad altre questioni criminali, commentava già nel 2013 con il suo interlocutore la decisione di speculare nel settore eolico da parte del latitante Matteo Messina Denaro, reo a dire del Riina di tralasciare gli affari tradizionalmente oggetto delle attività criminale di Cosa Nostra e di dedicarsi ai “pali”, figura retorica utilizzata dal boss per indicare l’attività imprenditoriale riferibile al settore dell’eolico”.

“Era assolutamente prevedibile, dunque – sottolineano i magistrati – che in ogni affare che dovesse e potesse interessare tale settore venisse coinvolto proprio Vito Nicastri”.

La “confluenza di interessi, da parte di più articolazioni mafiose” nel settore delle energie rinnovabili “è stata plasticamente rappresentata dal suo capo assoluto”, Totò Riina, noto quale “Capo dei capi””il quale durante la sua detenzione nel carcere milanese di Opera, nell’affrontare temi e vicende relative ad altre questioni criminali, commentava già nel 2013 con il suo interlocutore la decisione di speculare nel settore eolico da parte del latitante Matteo Messina Denaro, reo a dire del Riina di tralasciare gli affari tradizionalmente oggetto delle attività criminale di Cosa Nostra e di dedicarsi ai ‘pali’, figura retorica utilizzata dal boss per indicare l’attività imprenditoriale riferibile al settore dell’eolico”…

Il “re  dell’eolico”: Vito Nicastri

    Gli investigatori, che ne sottolineano l’intuito e le capacità “visionarie”, lo descrivono come un profondo conoscitore della macchina burocratica regionale, uno che sapeva quali ruote ungere per avere concessioni e autorizzazioni. Un corruttore, dunque, come conferma l’inchiesta della dda di Palermo, che l’aveva già arrestato per mafia. Alla Regione Nicastri conosceva tutti. E dove non arrivava lui arrivava il suo socio occulto, Paolo Arata, docente di ecologia
    Arrestato negli anni ’90, tornato in cella nel 2018 in una vicenda relativa all’acquisito i terreni degli esattori di Salemi, i cugini Nino e Ignazio Salvo, già condannato a 4 anni per evasione fiscale, Nicastri, sarebbe al centro di un giro di mazzette che coinvolge anche funzionari della Regione. Sei anni fa gli è stato sequestrato dalla Dia un patrimonio di circa un miliardo di euro. Il pentito Lorenzo Cimarosa, nel frattempo morto, lo ha indicato come uno dei finanziatori della ormai più che ventennale latitanza di Messina Denaro. Il mafioso Giuseppe Sucameli, intercettato, dice che “le cose le faceva per il suo amico di Castelvetrano”, riferimento chiaro al boss latitante Matteo Messina Denaro.
    Cimarosa ha raccontato di una borsa piena di soldi che Nicastri avrebbe fatto avere al capomafia attraverso un altro uomo d’onore, Michele Gucciardi. Ha sempre mantenuto costanti contatti con la politica locale in uno “scenario sconfortante”, scrissero i giudici nel decreto di sequestro, fatto di “impressionanti condotte corruttive”. Partito da una cooperativa agricola, trasformatosi in idraulico ed elettricista per avviare aziende impegnate nella riparazione di impianti si è poi convertito diventando imprenditore leader per le energie alternative. Secondo le accuse fin dagli anni ’90 capì che la protezione della mafia era fondamentale per gli affari. Il suo ruolo è consistito nel fornire una facciata legale ai rapporti inconfessabili tra la grande imprenditoria e le cosche mafiose
   

NICASTRI – Secondo il gip, inoltre, Vito Nicastri “sin dal 2010” si era reso conto “di essere possibile oggetto di iniziative investigative e giudiziarie per i suoi ricostruiti rapporti patrimoniali con l’associazione mafiosa, di talché, anche per l’importante clamore mediatico suscitato dalle iniziative ablative che lo avevano raggiunto, era ben consapevole dei rischi connessi alla prosecuzione della sua attività imprenditoriale e della certezza che, ove fosse comparso in prima persona, ne avrebbe avuto inibita praticamente l’iniziativa, oltre a subire, come già stava accadendo, e come sarebbe poi accaduto per diversi anni, sequestri e confìsche”. E’ proprio all’indomani del primo rilevante provvedimento di sequestro subito, “sino ad arrivare ad oggi, che Nicastri ha costantemente posto in essere condotte dissimulatorie al fine precipuo di continuare a rivestire un ruolo leader nel settore delle energie alternative grazie ai servigi ed alla schermatura di prestanomi nuovi che si sono succeduti nel tempo e a partecipazioni occulte nelle c.d. società ‘veicolo”’. E’ ancora l’ordinanza del Gip di Palermo di applicazione delle misure cautelari nei confronti, tra gli altri di Paolo Arata e Vito Nicastri. Un’ìordinanza giudiziaria che sembra un fiume in piena e travolge tutto e tanti

GIP – Il 31 maggio dello scorso anno, “in occasione dell’occasionale rinvenimento della telecamera installata di fronte l’ingresso della casa di Nicastri, veniva intercettata una conversazione tra Manlio Nicastri e Francesco Arata dalla quale emergeva l’assoluta consapevolezza del gruppo di non poter più interloquire liberamente con Vito Nicastri, in ragione delle prescrizioni di cui erano ovviamente a conoscenza, sia, conseguentemente, la necessità di adottare cautele ancora più rigorose posto che avevano appena scoperto di essere oggetto di investigazioni”. E’ ulteriormente l’ordinanza del Gip di Palermo di applicazione delle misure cautelari nei confronti, tra gli altri di Paolo Arata e Vito Nicastri. Il gruppo Nicastri/Arata “si attivava, inoltre, alla ricerca di eventuali microspie all’interno dell’autovettura, con esito positivo. Difatti, nel pomeriggio del successivo 08.06.2018 a bordo dell’autovettura monitorata, Nicastri Manlio e Arata Francesco si recavano nei pressi di una officina di elettrauto, dove facevano controllare l’abitacolo da una terza persona”. “La ‘brutta notizia’ del rinvenimento della microspia era tempestivamente preannunciata telefonicamente da Arata Francesco ad Arata Paolo. E’ di tutta evidenza, quindi -si legge nel documento- che tutti i protagonisti delle vicende sinora esaminate avevano ben chiaro che erano sottoposti ad indagine e che non potevano in alcun modo con Vito Nicastri (con l’unica eccezione del figlio Manlio). Gli Arata lungi dall’astenersi dal continuare ad essere la longa manus di Nicastri nelle iniziative che li riguardavano, continuavano invece a tessere con il detenuto agli arresti domiciliari fitte comunicazioni e continue interlocuzioni, al punto di essere colti in flagranza della violazione delle prescrizioni della misura cautelare”.

Nicola Morra presidente della COMMISSIONE ANTIMAFIA CONVOCA SALVINI – “Ho richiesto con lettera ufficiale in data 7 maggio 2019 la convocazione del ministro dell’Interno Salvini in commissione Antimafia. Lettera ufficiale che è partita solo dopo numerose sollecitazioni informali per fissare una data di audizione già dalla terza settimana d’insediamento della commissione stessa, ovvero a dicembre 2018”.

“Il rispetto istituzionale avrebbe richiesto una veloce risposta alle interlocuzioni informali anche per dare precedenza a chi è preposto con le sue linee guida alla lotta alla mafia – sottolinea Morra -. La lettera ufficiale è solo l’ultimo passaggio che oggi, anche alla luce dei nuovi arresti in Sicilia, mi vede costretto a renderlo pubblico e ribadire l’urgenza dell’audizione del ministro Salvini”.

Commissione Antimafia: LUMIA ERA L’UOMO CENTRALE DEL SISTEMA DI GOVERNO PARALLELO_DELLA REGIONE SOTTO L’OMBRA DELLA MAFIA

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Nella foto Claudio Fava, Presidente della Commissione regionale Antimafia

PALERMO

Un nuovo scenario siciliano rivela il Presidente della commissione regionale antimafia On Claudio Fava dopo aver ascoltato le audizioni del Musumeci.     “«Audizioni svolte dove sembrerebbe emergere, più che un “sistema Montante”, un “sistema Lumia”, nel quale il primo era garante di interessi particolari e specifici del mondo imprenditoriale, ma era il secondo ad essere appunto al centro del sistema parallelo di governo della Regione. È ovviamente ancora un quadro che si sta delineando e non già una certezza. Un motivo in più per proseguire nel lavoro della Commissione». Ne è convinto Claudio Fava dopo le rivelazioni sorprendenti di Nello Musumeci, nell’ambito delle audizioni per l’indagine conoscitiva sul cosiddetto sistema dell’imprenditore Antonello Montante arrestato per corruzione e indagato insieme a esponenti delle forze dell’ordine, dei servizi segreti e politici. 
«Avremmo voluto ascoltare tutti i presidenti della Regione – ha detto Fava al termine dell’audizione – Abbiamo ascoltato Raffaele Lombardo ed avremmo voluto ascoltare Crocetta, che ha declinato l’invito. Oggi abbiamo ascoltato anche il presidente Musumeci per la sua esperienza di presidente della commissione antimafia e deputato dell’opposizione nella scorsa legislatura. Vogliamo capire quanto di questo “sistema Montante” rischia di sopravvivere come governo parallelo della Regione siciliana». 

 

 MUSUMECI ALL’ANTIMAFIA :   “LUMIA ERA L’UOMO OMBRA DEL GOVERNO PARALLELO DELLA REGIONE SICILIANA”

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Non si lasciano sfiggire l’occasione i deputati del M5 S per i quali restano ancora sul tappeto parecchie perplessità pur confermando l’assunto che dietro Lumia aleggi l’ombra della Mafia e dei favoritismi regionali «Abbiamo appreso dal presidente della regione Musumeci, audito in commissione antimafia, che il senatore Lumia aveva addirittura una propria stanza in presidenza della Regione Siciliana. Musumeci ha parlato addirittura di “sistema Lumia” e non di “sistema Montante”. Ebbene, vorremmo capire però se Lumia era lì in veste di osservatore esterno o se lo stesso, rendesse conto a qualcuno».

«Nulla di nuovo sotto il sole – aggiunge De Luca – ma c’è da comprendere a che titolo Lumia fosse lì e cosa abbia fatto o governato in particolare alla Regione. Secondo Musumeci, Lumia era lì per fare il regista, ma io mi chiedo se piuttosto Lumia facesse da guardiano di una strategia che aveva sede in altri luoghi. Non dimentichiamo, per esempio, che gli interessi in gioco riguardavano anche l’agenzia nazionale dei beni confiscati alla mafia, che in sostanza è la più grande holding dell’intero paese».

«Oggi per me – commenta  Roberta Schillaci – è importante capire se ci sono refluenze di quel sistema nel governo attuale, ecco perché staremo a vigilare sull’attività del governo ed in particolare, su determinati assessorati cardine per l’economia siciliana, come ad esempio quello alle attività produttive e dove le cronache di questi ultimi giorni non lasciano stare sereni».

COSA FARA’ L’ANTIMAFIA NAZIONALE? PARLA NICOLA MORRA PRESIDENTE NAZIONALE COMMISSIONE ANTIMAFIA

Riceviamo e pubblichiamo:

NICOLA MORRA: “I FENOMENI PRESENTI NEL SUD ITALIA POSSONO DIVENTARE PIAGA COMUNE A PIU’ POPOLI…...”

“Quella contro le mafie deve essere una battaglia condotta da tutti. Troppe volte è accaduto che minacce, intimidazioni e ricatti nei nostri territori abbiano prodotto il silenzio. In questo fitto velo di omertà certe trame sono risultate vincenti per far prevalere l’ingiustizia attraverso l’intimidazione mafiosa, strumento meschino di chi, non avendo idee e contenuti da proporre, si impone solo e soltanto con la violenza.

Per il Movimento 5 Stelle la lotta e il contrasto alla criminalità organizzata, alle mafie è sempre stata la priorità politica. Da Presidente continuerò questo impegno, un impegno super partes, che non potrà che essere condiviso da tutti i partiti perché o si lotta contro le mafie o si è complici.

Per questo la nostra comunità non può più consentire che la lotta alla mafia venga condotta da pochi, poiché il rischio che corriamo è che il sacrificio di veri e propri “eroi” non scongiuri la conseguente sconfitta del popolo.
È fondamentale che TUTTI ci si senta coinvolti in quest’azione di contrasto alle mafie: ne va della nostra DEMOCRAZIA!

Quando la forza dell’intimidazione comprime i diritti del singolo, del cittadino, della persona, annichilisce la struttura democratica dell’intero Paese.
In questa battaglia servirà soprattutto un’azione culturale volta a capire come sia un diritto/dovere l’intervento di tutti contro l’intimidazione mafiosa, anche da parte di chi oggi non si sente toccato, per sua fortuna, dal fenomeno mafioso.

Basti pensare alla recente sentenza del Processo Aemilia (1.225 anni di carcere per 125 condannati), esempio tanto recente quanto concreto di come sia folle per un territorio, rimandare l’azione di contrasto ignorando quasi totalmente un problema che nel tempo assumerà proporzioni enormi, ritrovandosi a distanza di anni con il primo comune dell’Emilia Romagna sciolto per infiltrazione mafiosa e con il più grande processo per mafia che si sia svolto nel Nord Italia.

C’è necessità di far comprendere, non solo a chi oggi in Italia sembra quasi disinteressato alla lotta alle mafie, ma anche a quei Paesi che spesso ignorano di avere in casa questo cancro, nonostante si stia diffondendo rapidamente quanto sia decisivo per la sopravvivenza delle Istituzioni democratiche combattere l’intimidazione, l’indifferenza, l’omertà.

Siamo nell’era in cui se i mercati di capitale hanno visto crollare i vincoli nazionali è opportuno comunque che belgi, moldavi, tedeschi o neozelandesi, insomma tutti, inizino ad assumere misure preventive – di cui ora sono del tutto privi – contro mafie da sempre libere di muoversi nello scenario internazionale, ammesso che la tragedia di Duisburg del 15 agosto del 2007 ci abbia insegnato qualcosa. Basti pensare al triste costume, tipicamente italiano, del voto di scambio politico-mafioso per capire quanto possiamo aiutare gli altri Paesi a combattere il rischio che certi fenomeni inizialmente ritenuti presenti solo nel Sud Italia possano diventare piaga comune a più popoli. Per non parlare dei reati economico-societari che consentono tante offese ai diritti di tutti ed in particolare dei più deboli.

L’azione della commissione Antimafia sarà sinergica con le cosiddette agenzie formative come le università e le scuole, senza omettere il ruolo fondamentale che rivestono anche l’informazione e la comunicazione. Lo Stato può combattere le mafie offrendo formazione ed adeguati messaggi educativi, armi vincenti che dimostrano la volontà di contrastare il diffondersi della mentalità mafiosa poiché è importante distinguere la “mafia” da un “ambiente o clima mafioso”. Ovviamente, la mafia attecchiscono e prosperano più facilmente laddove vi sia un ambiente mafioso, una cultura mafiosa, i cui messaggio risultano spesso seducenti.

Combatteremo l’omertà, quell’atteggiamento per cui si volge lo sguardo altrove, si preferisce non denunciare e farsi “gli affari propri”, lavoreremo laddove le Istituzioni dello Stato si siano dimostrate deficitarie o, peggio, colluse affinché vengano sanate e possano offrire la massima tutela ai diritti del cittadino: Procure, Prefetture, Questure e Tribunali dovranno lavorare a fianco del cittadino che denuncia affinché in ogni territorio del nostro Paese si faccia giustizia, si rispetti la legalità.

Dovrà divenire inaccettabile per tutti sopportare il ricatto sottile, psicologico, anche semplicemente accennato e non realizzato dell’intimidazione di stampo mafioso con la minaccia che vi possa essere una ritorsione violenta. Dovrà essere combattuta ogni illegalità, ogni silenzio, in quanto ciò è terreno fertile per quella pianta schifosa che vogliamo estirpare con tutte le nostre forze, al fine di far trionfare definitivamente quel “fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità” (Paolo Borsellino – 23 giugno 1992).”

Nicola Morra

                                                                                        Presidente Nazionale Commissione Antimafia