Barca confiscata assegnata alla Lega navale,

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«Oggi è una bella giornata di riscatto della società civile nei confronti della criminalità organizzata. Non potevo e non dovevo mancare a un’iniziativa di altissimo valore sociale e simbolico come questa, per più di un motivo. Oggi, infatti, c’è una sorta di risarcimento danni per le azioni criminali subite dalla nostra regione: un bene sottratto alla mafia viene inserito nel contesto sociale e soprattutto a favore dei disabili».

Lo ha detto il presidente della Regione Siciliana Renato Schifani, intervenendo presso la sede della Lega navale italiana alla Cala a Palermo alla presentazione della nuova imbarcazione “Our dream: quando il sogno diventa realtà”. All’iniziativa erano presenti tra gli altri anche il prefetto di Palermo Maria Teresa Cucinotta e il presidente della Lega navale di Palermo, Giuseppe Tisci.

La barca a vela è stata confiscata alla criminalità organizzata dalla Guardia di finanza nell’ambito di un’operazione tesa al contrasto internazionale di stupefacenti e affidata alla Lega navale per i propri fini istituzionali. L’imbarcazione già sottoposta ai primi lavori urgenti di manutenzione straordinaria, nei prossimi mesi, dopo un importante restyling per abbattere le barriere architettoniche, sarà totalmente accessibile a tutti, anche alle persone diversabili, assicurando così una navigazione a vela in sicurezza. «Il mio governo – ha aggiunto Schifani – non farà mai mancare il proprio concreto sostegno a iniziative sociali come queste. E per questo motivo la Regione interverrà da subito per finanziare l’acquisto della pedana automatizzata per consentire ai disabili di poter scendere sottocoperta in perfetta autonomia. Ma non solo, vogliamo favorire anche i momenti di aggregazione e inclusione sociale dei nostri giovani attraverso lo sport. E lo faremo con apposite norme inserite nella legge di stabilità regionale che da domani inizierà il suo iter in Aula all’Ars, ovvero attingendo a capitoli di spesa già esistenti e attinenti a iniziative altamente sociali».

Comune di Napoli: 6 Progetti di valorizzazione di beni confiscati nell’ambito del PNRR

 

Assunzioni al Comune di Napoli, ecco tutti i profili per 970 posti a  concorso

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Napoli,

Il Comune di Napoli si aggiudica 6 Progetti di valorizzazione di beni confiscati finanziati nell’ambito del PNRR, Missione 5 – Inclusione e coesione – Componente 3 – Interventi speciali per la coesione territoriale – Investimento 2 – Valorizzazione dei beni confiscati alle mafie finanziato dall’Unione europea – Next Generation EU Sei immobili confiscati, situati in tre diverse Municipalità (III, VI, X)…

 Aggiudicati i finanziamenti del PNRR , diventeranno una rete diffusa di case di accoglienza per donne vittime di violenza che vi saranno supportate con servizi diversificati, dall’accoglienza all’alloggio temporaneo, al supporto psicologico, sanitario, giuridico e amministrativo, all’inserimento in percorsi lavorativi o di autoimprenditoria, con l’obiettivo di favorire processi di inclusione sociale.

Il Comune di Napoli, in conformità alle finalità del Decreto Legislativo 6 settembre 2011, n. 159, – informa di promuovere  la valorizzazione ed il riutilizzo dei beni immobili confiscati alla criminalità organizzata, acquisiti al proprio patrimonio indisponibile, come strumento utile alla diffusione della legalità e della cultura dell’etica, di rafforzamento della giustizia sociale, della solidarietà e del sostegno all’inserimento sociale e lavorativo. In tal senso il PNRR ha offerto un’opportunità unica, raggiungendo contemporaneamente un duplice scopo: la realizzazione di interventi di ristrutturazione edilizia dei beni e di riqualificazione urbana dell’area, insieme all’utilizzo a fini di pubblica utilità. Case di accoglienza saranno realizzate in via VIA TIBERIO 46b NAPOLI (per un importo pari a € 270.007,30) CORSO SIRENA 115 NAPOLI (€ 282.017,41) VIA COMUNALE OTTAVIANO 58 NAPOLI (€218.408,36) VIA FONTANELLE 124 NAPOLI (151.163,51). In VICO VI DUCHESCA 12 NAPOLI (€ 160.152,50) il progetto di recupero già in itinere sarà integrato con l’acquisto di arredi e servizi per la realizzazione di un bistrot sociale e di servizi socio sanitari.

In via Montagna Spaccata 510 (€ 446.698,45) sarà demolito l’immobile abusivo non sanabile, costruito nell’area di sedime, per realizzare un orto giardino solidale nel quale troveranno inserimento lavorativo le donne vittime di violenza per il loro reinserimento sociale. “Un risultato veramente eccellente – ha dichiarato l’assessore alla Legalità Antonio De Iesu – di grande valore non solo dal punto di vista dell’accessibilità al finanziamento del PNRR. Abbiamo voluto dare un segno concreto di sostegno alle donne vittime della violenza; nel progetto ci sono alcuni alloggi ristrutturati in via Duchesca per ospitare donne vittime di violenza in condizioni di emergenza. Ci sono anche degli ambulatori non sanitari, ma di prevenzione, e infine un valore aggiunto costituito da un piccolo ristorante sociale nel quale le donne vittime di violenza possano essere impegnate nella gestione. Siamo molto orgogliosi di questo progetto che è un segno tangibile e concreto di attenzione al fenomeno della violenza di genere per dare sostegno e supporto alle donne che hanno il coraggio e la determinazione di uscire fuori dalla loro angoscia”.

“Il Comune di Napoli ha vinto il bando PNRR per un progetto davvero eccezionale – ha sottolineato l’Assessore alle Pari Opportunità Emanuela Ferrante – che si è classificato primo nella graduatoria di merito e che prevede la riqualificazione di sei immobili di cui quattro saranno adibiti a case di accoglienza delle donne vittime di violenza e due centri invece saranno, il primo un hub di servizi, di cultura e di accoglienza delle donne durante la giornata, e l’altro sarà un giardino/orto sociale dove comunque le donne potranno ritrovarsi insieme loro figli trascorrere delle giornate utili e costruttive. E’ una grande vittoria dovuta soprattutto alla forte sinergia che c’è stata tra gli assessorati alla legalità, all’urbanistica e alle pari opportunità”.

Valorizzazione beni confiscati alla mafia, Schifani: «Finanziati tre progetti della Regione»

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Palermo,

«Tre beni immobili confiscati alla mafia saranno ristrutturati e valorizzati grazie un finanziamento di quasi dieci milioni di euro ottenuto dalla Regione Siciliana attraverso i fondi del Pnrr».
Ad annunciarlo il governatore Renato Schifani, che ha appena avuto notificato il provvedimento da parte dell’Agenzia per la coesione territoriale.
I tre progetti, presentati attraverso il dipartimento regionale delle Finanze dell’assessorato all’Economia, riguardano: il feudo di Verbumcaudo a Polizzi Generosa, che ha ottenuto 5,3 milioni di euro; Palazzo Alicò di via delle Croci a Palermo, attuale sede dell’assessorato dei Beni culturali, con 2,5 milioni di euro; la Masseria di Contrada vecchia a Salemi, che avrà 2 milioni di euro.
«È un importante traguardo – sottolinea il presidente Schifani – raggiunto dalla Regione sul tema della valorizzazione dei beni confiscati alla criminalità organizzata. Un progetto avviato dal precedente governo e che adesso ha avuto un nuovo impulso. Un risultato che è stato possibile raggiungere grazie a un’estesa rete di collaborazione istituzionale tra soggetti pubblici e privati e che dà il senso della forza dello Stato contro la mafia. Sottrarre i beni illeciti alla criminalità e restituirli alla collettività per fini sociali rappresenta un grande esempio di civiltà».
Il progetto riguardante l’immobile di Polizzi Generosa (ex feudo dei fratelli Michele e Salvatore Greco, dal 2016 affidato al Consorzio madonita legalità e sviluppo e gestito dalla Coop “Verbumcaudo”) prevede la creazione di laboratori di trasformazione e magazzini, oltre ad attività collaterali per l’inserimento socio-lavorativo di soggetti svantaggiati.
Palazzo Alicò (confiscato all’ex imprenditore Vincenzo Piazza) sarà oggetto, invece, di una profonda ristrutturazione che prevede tra l’altro il restauro dei prospetti, la manutenzione straordinarie delle coperture e l’adeguamento dell’impianto antincendio.
A Salemi, nel Trapanese, verrà riqualificato un caseggiato di contrada Masseria Vecchia a circa 9 chilometri dal centro abitato, appartenuto ai coniugi Miceli e definitivamente confiscato nel 1987. Prevista la realizzazione di un magazzino per il deposito delle attrezzature agricole e la costruzione di un edificio per le sementi e parte dei raccolti provenienti dalle coltivazioni dei terreni gestiti dalla Coop “Rita Atria-Libera Terra”.

Confisca disposta dal Tribunale di Catania a persone che avevano valori sproporzionati ai redditi dichiarati

I costi della criminalità organizzata Ruba il 20% del Pil - Antimafia365

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Catania,

Su delega della Procura Distrettuale della Repubblica di Catania, i Finanzieri del Comando Provinciale etneo, in collaborazione con il Servizio Centrale Investigazione sulla Criminalità Organizzata della Guardia di finanza (SCICO), hanno dato esecuzione a una sentenza del locale Tribunale, con cui il Giudice ha disposto la confisca del patrimonio, direttamente o indirettamente, riconducibile a 3 soggetti, condannati definitivamente, rispettivamente, per i reati di: – associazione a delinquere finalizzata alla commissione di più delitti, tra i quali l’esercizio abusivo di attività di gioco e scommesse, la truffa ai danni dello Stato, il riciclaggio e l’intestazione fittizia di beni (due soggetti); – esercizio abusivo di attività di gioco e scommesse, aggravato dall’aver agevolato un clan, favorendone l’infiltrazione occulta di “Cosa nostra catanese” nel peculiare settore economico (un soggetto).

Si tratta del primo esito dell’attività sinergica sviluppata in attuazione del memorandum operativo del 6 aprile 2022, stipulato tra la Procura catanese, il Comando Regionale Sicilia della Guardia di finanza e il predetto Servizio Centrale, volto a introdurre forme di collaborazione per la più completa applicazione dei provvedimenti di confisca in fase di esecuzione delle sentenze passate in giudicato, mediante l’effettuazione di ogni utile approfondimento finalizzato all’accertamento economico-finanziario della posizione dei condannati.

Nel dettaglio, nell’ambito di tale progettualità, è stata individuata la predetta sentenza con cui il Giudice ha altresì disposto la confisca nei confronti: – del soggetto condannato con l’aggravante mafiosa, di denaro, beni e altre utilità di cui lo stesso non possa giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato ai redditi dichiarati;

– degli altri due condannati, dei beni che costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo del reato, anche nella forma “per equivalente”, di cui i medesimi hanno disponibilità, anche indirettamente o per interposta persona, fino a concorrenza della somma di circa € 592.000 per il primo e € 606.000 per il secondo.

Al fine di  dare effettiva e piena attuazione al dispositivo di confisca, le unità specializzate del GICO del Nucleo PEF e dello SCICO hanno effettuato specifici accertamenti economico-finanziari sul conto dei condannati, sulla scorta dei quali è stato possibile individuare sia i patrimoni direttamente riconducibili agli interessati sia i beni mobili e immobili di cui gli stessi risultano essere comunque titolari o averne la disponibilità per interposta persona.

Nel complesso, alla luce degli approfondimenti investigativi svolti, i citati finanzieri, sotto la direzione della Procura etnea, hanno sottoposto a misura ablativa definitiva: – n. 7 immobili, di cui 2 situati in ciascuna delle province di Catania, Siracusa e Messina e 1 in quella di Palermo; – n. 3 società, due delle quali con sede a Catania e una a Siracusa, operanti, rispettivamente, nei settori della rivendita bar, del commercio al dettaglio di confezioni per bambini e della raccolta di scommesse;– n. 7 tra autovetture e motoveicoli;

– i saldi attivi, in corso di verifica, dei rapporti bancari e postali individuati (in totale 9 c/c), comprese 2 cassette di sicurezza, riconducibili ai condannati.

L’attività dei Finanzieri di Catania si inquadra nel più ampio quadro delle azioni svolte dalla locale Procura, dalla Guardia di Finanza etnea e dallo SCICO, volte al contrasto, sotto il profilo economico-finanziario, di tutte le forme di criminalità, anche di tipo organizzato, nonché dei tentativi, sempre più pericolosi, di inquinamento del tessuto imprenditoriale con i proventi illecitamente accumulati per effetto di condotte delittuose.

 

Confiscati 20 milioni di euro all’imprenditore Sergio Leonardi “che agevolava il Clan mafioso etneo dei Mazzei”

 

Catania,

Confisca di beni mobili e immobili, denaro, preziosi e compendi societari nella disponibilità di un noto imprenditore siciliano,(Sergio Leonardi, nella foto sopra) già oggetto di decreto di sequestro in materia di prevenzione antimafia, .    Confisca disposta dalla Procura della Repubblica di Catania , dal Tribunale -Sez Prevenzione  ed eseguita dal  Comando Provinciale di Catania della Finanza

Si tratta, in particolare, di un patrimonio del valore di circa 20 milioni di euro,costituito da 6 attività imprenditoriali, 3 fabbricati, 1 motociclo, denaro contante e diversi preziosi.

L’indagine di prevenzione da cui origina il citato provvedimento si collega all’operazione “VENTO DI SCIROCCO”, condotta dai finanzieri del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Catania della Guardia di finanza e dai Carabinieri del Nucleo Investigativo etneo, all’esito della quale il predetto imprenditore è stato tratto in arresto, unitamente a 22 persone, in quanto ritenuto responsabile dei reati di associazione di tipo mafioso, associazione per delinquere, estorsione in concorso, intestazione fittizia di beni, impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, falsità commessa dal privato in atto pubblico, emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, occultamento o distruzione di scritture contabili, con l’aggravante di aver agito al fine di agevolare il clan mafioso etneo dei “Mazzei” (cd. “Carcagnusi”).

I successivi approfondimenti svolti da unità specializzate del GICO del predetto Nucleo PEF volti all’applicazione delle misure di prevenzione, hanno permesso di inquadrare il proposto quale soggetto caratterizzato da “pericolosità qualificata” che avrebbe vissuto abitualmente con i proventi di attività delittuose, essenzialmente consistenti nella perpetrazione continuata di articolate frodi fiscali e di contrabbando aggravato.

Sotto il profilo soggettivo, la carriera criminale del proposto avrebbe avuto inizio nel 2007 sotto l’egida mafiosa dello zio della moglie, all’epoca, capo del clan “SCIUTO-TIGNA”. Dopo la carcerazione di quest’ultimo capo clan, l’imprenditore siciliano, tra il 2009 e il 2011, sarebbe finito sotto l’ala protettrice dei Mazzei, i quali si sarebbero avvalsi del suo operato per il contrabbando di prodotti petroliferi.

Il proposto, al di là delle sue stabili frequentazioni con soggetti gravati da rilevanti precedenti penali e di polizia, è risultato inoltre coinvolto in molteplici vicende giudiziarie per reati edilizi, furto continuato, associazione a delinquere finalizzata alla sottrazione di pagamento dell’accisa sul gasolio da autotrazione e al contrabbando di prodotti petroliferi immessi nel mercato nazionale in evasione d’imposta (Accise e IVA), utilizzo ed emissione di fatture per operazioni inesistenti, falso ideologico, frode in commercio e turbata libertà del commercio, riciclaggio e autoriciclaggio.

Al descritto profilo soggettivo del proposto è, tra l’altro, corrisposta una rilevante e costante “sproporzione” nel periodo considerato (2007-2017) tra le attività economiche possedute, dal medesimo e dal suo nucleo familiare, e i redditi dagli stessi dichiarati.

Sulla base dei descritti plurimi elementi indiziari, il Tribunale etneo ha ritenuto il proposto “socialmente pericoloso” e che i beni e le attività economiche acquisite dal 2007 al 2017 abbiano rappresentato il frutto e/o il reinvestimento dei proventi della attività illecite, disponendone, con il provvedimento del 2020, il relativo sequestro.

Con la recente decisione, eseguita dal Nucleo PEF di Catania della Guardia di finanza, il giudice ha confermato la bontà della ricostruzione effettuata dai finanzieri etnei nell’ambito delle indagini coordinate dalla Procura etnea, disponendo la confisca del patrimonio nella disponibilità del soggetto proposto e, in particolare, di:

– 4 società e 2 ditte individuali, operanti nel settore del commercio di prodotti petroliferi aventi sede tra Catania, Augusta e Sant’Agata Li Battiati (CT);   (Lbs Trading Srl con sede ad Augusta, Lubricarbo Srl con sede a Catania e deposito commerciale ad Augusta,  Petrol Sel Srl  ed Esse Elle Petroli srl  con sede a Catania), 2 ditte individuali  (La Leonardi Sergio e la Fg Oil di Falspaerla con sede aventi sede a Sant’Agata Li Battiati),- 3 immobili, di cui 2 siti a Catania e 1 in Giardini Naxos (ME); – diversi beni mobili (un motociclo, denaro contante e diversi preziosi), per un valore di circa 20 milioni di euro.

L’attività dei Finanzieri di Catania si inquadra nel più ampio quadro delle azioni svolte da questa Procura e dalla Guardia di Finanza di Catania, volte al contrasto, sotto il profilo patrimoniale, della criminalità economica, al fine di evitare i tentativi, sempre più insidiosi, di inquinare il tessuto imprenditoriale della provincia, anche profittando delle difficoltà legate al periodo di contrazione economica.

 

 

Decreto di confisca a pericolosi pregiudicati (15 milioni di euro)

 

Roma,

Finanzieri del Comando Provinciale di Roma hanno eseguito un decreto di confisca emesso dalla Sezione Specializzata Misure di Prevenzione del Tribunale di Roma – confermato per l’intera totalità dei beni dalla Corte di appello capitolina e divenuta definitivo a seguito della pronuncia della Suprema Corte di Cassazione – avente a oggetto beni mobili e immobili, oltre a disponibilità finanziarie, per un valore di circa 15 milioni di euro, riconducibili a quattro pluripregiudicati, dediti alla commissione di plurimi reati anche in forma associativa quali furto, truffa, riciclaggio, ricettazione e lo spaccio di sostanze stupefacenti.

Gli accertamenti economico-patrimoniali svolti dalle Fiamme Gialle del Gruppo di Frascati, avevano evidenziato, oltre alla pericolosità sociale dei proposti, la rilevante sproporzione tra i redditi dichiarati e l’ingente patrimonio nella loro disponibilità, che hanno consentito di pervenire al sequestro nel 2019 e alla confisca di I grado a luglio del 2020.

I pregiudicati manifestavano tutti un elevato tenore di vita, con la frequentazione di esclusivi club della Capitale e delle più rinomate località marittime, raggiunte a bordo di una imbarcazione a vela, anch’essa colpita dal provvedimento con cui lo Stato ha incamerato definitivamente nel suo patrimonio 30 unità immobiliari (ville, appartamenti e terreni), 90 autovetture, conti correnti, quote societarie e l’intero patrimonio di 9 società, tra le province di Roma e Latina, nonché un noto locale della movida romana in zona Tiburtina.

Confiscato anche denaro contante per circa 100 mila euro, trovato in possesso di uno dei membri della famiglia, di cui lo stesso non era stato in grado di giustificarne la legittima provenienza.

L’operazione – che assume un rilevante valore “sociale”, venendo restituiti alla collettività beni illecitamente accumulati dalla c.d. “criminalità da profitto” – si inquadra nell’azione della Guardia di Finanza, in sinergia con l’Autorità Giudiziaria, volta all’individuazione e alla conseguente aggressione dei patrimoni illecitamente accumulati.

 

 

 

“Operazione Aemilia”: confiscati beni e quote societarie

 

 

Concorso Guardia di Finanza 2019: 965 allievi finanzieri - Simone Concorsi

 

Beni immobili, mobili registrati e quote societarie per circa 4,5 milioni di euro sono stati confiscati dai militari del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Cremona, con il supporto delle fiamme gialle di Roma, Catanzaro e Crotone, in esecuzione di un provvedimento di confisca emesso dalla Corte d’Appello di Bologna e confermato dalla Corte di Cassazione, tra Verona, Reggio Emilia, Bologna, Parma, Catanzaro, Crotone e Roma, scaturito dalla vicenda giudiziaria denominata “AEMILIA” che ha visto coinvolta una nota compagine ‘ndranghetista.

L’azione dei finanzieri di Cremona, svolta nell’ambito dell’operazione “DEMETRA”, poi confluita nell’operazione AEMILIA diretta dalla D.D.A di Bologna, ha preso spunto da un episodio di usura perpetrato ai danni di un imprenditore cremonese da parte di un usuraio piacentino, proseguita con gli approfondimenti ed analisi dei flussi finanziari, che hanno consentito di portare alla luce ulteriori episodi delittuosi commessi ai danni di imprenditori emiliani. Nel corso dell’indagine è stato ricostruito un apposito sistema criminale attraverso il quale la consorteria ‘ndranghetista, anche grazie allo strumentale utilizzo di società fasulle appositamente costituite da professionisti conniventi, riusciva a reinvestire nel circuito legale ingenti risorse frutto della sua azione delittuosa.

I proventi dell’associazione criminale sono stati quindi riciclati attraverso molteplici investimenti: in complessi immobiliari, in strutture turistico-alberghiere, in società agricole, in società edili ed immobiliari, in imprese di trasporti e logistica. Il provvedimento patrimoniale eseguito oggi, che si aggiunge alle confische da oltre 57 milioni di euro già operate negli scorsi anni, consentirà di acquisire in via definitiva al patrimonio dello Stato:

  • 36 immobili ubicati nelle provincie di Crotone, Reggio Emilia, Parma, Roma e Verona.
  • 17 società di capitali operanti nel settore dell’edilizia, logistica, consulenza alle imprese e ristorazione, nelle provincie di Bologna, Modena, Parma, Catanzaro, Roma e Reggio Emilia;
  • 8 automezzi;

per un valore complessivo stimato di circa 4,5 milioni di euro.

 

 

La Finanza scopre a Napoli, Avellino, Roma, “società”per il traffico di carburanti di contrabbando

Scoperto ad ardea traffico di carburanti di contrabbando - Sequestri per oltre 4 milioni di euro

Roma,

Un’organizzazione dedita al contrabbando di gasolio, con base ad Ardea e ramificazioni in tutta Italia, è stata scoperta dai Finanzieri del Comando Provinciale di Roma, che hanno sequestrato beni mobili e immobili per oltre 4 milioni di euro. Il provvedimento – emesso dal G.I.P. presso il Tribunale di Velletri, su richiesta della locale Procura Repubblica – costituisce l’epilogo di indagini svolte dalle Fiamme Gialle della Compagnia di Pomezia, coordinate dal II Gruppo di Roma e scaturite da un controllo di routine ad un deposito commerciale di carburanti.

Dagli accertamenti è emersa l’immissione sul mercato di circa 4,5 milioni di litri di prodotti petroliferi e l’evasione di oltre 4 milioni di euro tra imposte sui redditi, IVA ed accise. Registi della colossale frode due pregiudicati per fatti analoghi – uno romano e l’altro napoletano – che avevano costituito diverse società “cartiere” con sede nelle province di Napoli ed Avellino. Queste ultime emettevano falsi documenti di trasporto comprovanti l’avvenuto versamento delle accise e recanti, quale destinatario, un deposito di Ardea che rivendeva, a sua volta, i prodotti a clienti dell’hinterland napoletano, i quali potevano così praticare prezzi estremamente competitivi sbaragliando la concorrenza, grazie al consistente credito di imposta vantato verso l’Erario. Le imprese “cartiere” – prive di qualsivoglia struttura operativa e di personale alle dipendenze – venivano interposte solo formalmente nella compravendita delle partite di merce, con lo scopo di assumersi l’integrale debito IVA, che non veniva mai versata all’Erario.

La misura cautelare reale – finalizzata alla successiva confisca “per equivalente” per un valore corrispondente all’ammontare delle imposte evase – ha riguardato appartamenti, autovetture e quote societarie riconducibili agli amministratori delle società, nelle province di Roma, Napoli e Avellino. Nove persone dovranno rispondere dei reati di sottrazione al pagamento delle accise, irregolarità nella circolazione di prodotti energetici, falso e omessa presentazione della dichiarazione dei redditi, dell’IVA e dell’IRAP. Allo stato delle attuali acquisizioni probatorie e in attesa di giudizio definitivo vale la presunzione di non colpevolezza degli indagati. L’operazione si inserisce nel più ampio dispositivo di controllo economico del territorio predisposto dalla Guardia di Finanza della Capitale per il contrasto ai traffici illeciti, a tutela dell’Erario e degli imprenditori onesti

 

Finanza, Palermo:Misure di prevenzione antimafia – Confisca di beni per 150 milioni di euro

 

Misure di prevenzione antimafia - Confisca di beni per 150 milioni di euro

 Palermo,

Il Tribunale di Palermo – Sezione Misure di Prevenzione, su richiesta della locale Procura della Repubblica – DDA, ha emesso un decreto di confisca del patrimonio di L. C., cl. ‘66, noto imprenditore operante nel settore della grande distribuzione alimentare, per un valore complessivo di circa 150 milioni di euro, eseguito dai finanzieri del Comando Provinciale di Palermo.

Oggetto della confisca di primo grado sono, tra le altre cose, le quote societarie e il compendio aziendale della G. G. srl, che all’epoca del sequestro (eseguito dalle Fiamme Gialle nel febbraio 2021) gestiva 13 supermercati tra Palermo e provincia (Bagheria, Carini, Bolognetta, San Cipirello e Termini Imerese).

Gli esercizi commerciali sono stati nel frattempo ceduti a terzi dall’amministratore giudiziario nell’ambito delle linee guida approvate dal Tribunale e pertanto oggetto della confisca è il ricavato della vendita.

Sulla base degli accertamenti svolti dagli specialisti del Nucleo di Polizia Economico Finanzaria – G.I.C.O. di Palermo, l’Autorità giudicante – valorizzando l’analisi e il riscontro di puntuali dichiarazioni rese da collaboratori di giustizia, nonché la rilettura orientata in chiave economico – finanziaria degli esiti di diversi procedimenti penali, ha ritenuto che l’imprenditore, seppure non organicamente inserito nell’organizzazione criminale, sia da ritenersi “colluso” al sodalizio mafioso, posto che il medesimo ha operato almeno dal 2004 sotto l’ala protettiva di Cosa Nostra, in particolare la famiglia di Bagheria, traendone vantaggio per:

  • scoraggiare la concorrenza anche con atti di danneggiamento; acquisire imprese concorrenti;
  • risolvere le problematiche insorte nella gestione delle sue imprese, comprese quelle relative ai rapporti di lavoro con i dipendenti; dirimere controversie con i propri soci, ottenendo in loro pregiudizio la possibilità di rilevare l’impresa contesa e beneficiando di una dilazione dei pagamenti; evitare il pagamento del pizzo nella zona di Bagheria e, grazie alla mediazione della locale famiglia mafiosa, contrattare la “messa a posto” con altre articolazioni palermitane del sodalizio mafioso.

In coincidenza temporale con i più significativi interventi di Cosa Nostra in proprio favore, l’imprenditore ha registrato una crescita esponenziale del fatturato dell’azienda, trasformata da piccola impresa familiare in un impero economico, arrivando a fatturare oltre 90 milioni di euro nel 2020.

L’indagine testimonia inoltre le nuove e sempre più sofisticate modalità con cui gli imprenditori in affari con la mafia tentano di “proteggere” il proprio patrimonio.

Nel corso degli accertamenti è infatti emerso che l’impero imprenditoriale era stato devoluto a un trust. Grazie a questo strumento giuridico, le possidenze societarie e immobiliari dell’imprenditore sono state formalmente trasferite a un professionista (c.d. trustee), incaricato di gestirle come se ne fosse proprietario, assumendo cioè le principali decisioni relative alla vita dell’azienda e degli altri beni.

Tuttavia, dall’approfondimento della documentazione acquisita, dalle evidenze raccolte dai finanzieri nell’ambito di diversi procedimenti penali è emerso che il trust in questione era un mero espediente fittizio per schermare la titolarità delle proprietà.

In altri termini, il proposto aveva trasferito solo sulla carta tutti i poteri gestori sui beni al trustee, ma nella realtà non ne aveva mai perso il controllo e la disponibilità.

Solo negli ultimi 18 mesi all’esito di indagini penali o di prevenzione condotte dalle Fiamme Gialle palermitane sono stati confiscati beni per oltre 400 milioni di euro nei confronti di imprenditori “collusi” con Cosa Nostra,

Oltre al provvedimento ora eseguito nei confronti di Carmelo Lucchese, si ricordano, tra le altre, la confisca:

  • definitiva di prevenzione per un valore stimato di oltre 100 milioni di euro (aprile 2022) del patrimonio di un imprenditore leader in provincia di Palermo nel settore della grande distribuzione e dei prodotti per la casa e l’igiene;
  • di primo grado in sede penale disposta dal Tribunale di Palermo per circa 46 milioni di euro (febbraio 2022) nei confronti degli indagati dell’operazione “ALL IN”, che ha fatto emergere le modalità di infiltrazione mafiosa nel settore della gestione dei giochi e delle scommesse;
  • definitiva di prevenzione per 3,5 milioni di euro (maggio 2021) nei confronti di due imprenditori del settore del commercio, coinvolti in indagini per usura;
  • definitiva di prevenzione per oltre 100 milioni di euro (dicembre 2020) nei confronti di uno storico imprenditore del settore immobiliare.

 

BENI CONFISCATI AI BOSS SANTAPAOLA-ERCOLANO,CESAROTTI,ALTRI, PER CIRCA 7.700 MILA EURO

 

Catania Bicocca - Visita della UIL nella Casa Circondariale - La relazione
Il carcere di Bicocca

 

Il Tribunale di Catania-si apprende – ha applicato la misura di prevenzione patrimoniale della confisca di beni nei confronti di Benedetto Santapaola, Aldo Ercolano, Giuseppe Mangion, Giuseppe Cesarotti e Mario Palermo, 

I militari del Ros hanno eseguito la confisca. Il provvedimento scaturisce dagli esiti del procedimento penale, indagine “Samael”, nel corso del quale era stato possibile individuare parte del patrimonio occulto direttamente riconducibile ai vertici della famiglia Santapaola Ercolano,  gestito mediante prestanome e imprenditori contigui all’associazione mafiosa (Palermo, Cesarotti).

L’indagine ha vissuto una prima fase esecutiva lo scorso 3 dicembre 2019, quando le aziende ed i beni immobili, oggetto dell’odierno provvedimento giudiziario, sono stati sottoposti a sequestro preventivo: Tropical Agricola Srl con sede legale in Catania; GR Transport Logistic Srl con sede legale a Mascali (CT); LT logistica e Trasporti Srl con sede legale a Mascalucia (CT); nr. 12 immobili siti in Mascali (CT) ed in Massannunziata frazione di Mascalucia (CT). Il valore complessivo dei beni confiscati ammonta a circa 7.700.000 euro.

Benedetto Santapaola - WikiMafia

Nella foto d’Archivio Benedetto Santapaola. Oggi ovviamente, è anziano, e -si apprende -molto malato.

Note informative biografiche sul Boss che dominò a Catania per oltre un trentennio , che proveniva dalle scuole Salesiane, che teneva ogni notte tra le mani la Bibbia, e nel suo giardino aveva pure una chiesetta con la Madonna dove pregava.

Nitto Santapaola, il cui vero nome è Benedetto, nasce il 4 giugno del 1938 a Catania, nel quartiere di San Cristoforo, in una famiglia di umili origini. Dopo aver frequentato una scuola salesiana, intraprende fin da giovane la strada della criminalità, dedicandosi a rapine. Nel 1962 viene denunciato per la prima volta, per associazione a delinquere e furto. Dopo essere stato affiliato nella “Famiglia di Catania”, dove è vicecapo di Giuseppe Calderone, viene costretto al soggiorno obbligato nel 1970; cinque anni dopo è denunciato per contrabbando di sigarette, anche se nel frattempo è stato (almeno ufficialmente) venditore di oggetti da cucina e titolare di una concessionaria di automobili della Renault. Alla fine degli anni Settanta Nitto Santapaola, in accordo con i Corleonesi, uccide Calderone, per  assumere il comando di Cosa Nostra in città. Nell’agosto del 1980, egli viene ritenuto uno dei responsabili dell’omicidio del sindaco di Castelvetrano Vito Lipari: fermato dai carabinieri in macchina insieme con Rosario Romeo, Francesco Mangion e Mariano Agate, viene arrestato ma immediatamente scarcerato (senza essere sottoposto al guanto di paraffina).

Nel 1982, dopo l’omicidio a giugno di Alfio Ferlito, nemico di Nitto Santapaola (ucciso insieme alla scorta che lo sta portando da Enna al carcere di Trapani, nella cosiddetta “strage della circonvallazione”), a settembre va in scena l’agguato aL GENERALISSIMO  Carlo Alberto Dalla Chiesa,, in servizio a Palermo da pochi mesi, che rimane ucciso nella strage di via Carini insieme con l’agente Domenico Russo e la moglie Emanuela Setti Carraro.
Indagato per l’omicidio, Santapaola inizia la sua lunga  latitanza. Nello stesso periodo il suo clan inizia ad allargare i propri interessi nel Nord Italia: riesce, tra l’altro, a far assegnare la gestione del casinò di Campione d’Italia al presidente della Pallacanestro Varese Ilario Legnaro, rappresentante del gruppo di imprenditori che si appoggia a lui. Nel frattempo, la rivista “I Siciliani”, fondata dal giornalista Giuseppe Fava rende noti i rapporti tra il clan di Santapaola e i cosiddetti “quattro cavalieri dell’apocalisse mafiosa” (in questo modo vengono definiti sul primo numero del giornale, in copertina, del mese di gennaio del 1983): si tratta di Mario Rendo, Gaetano Graci, Francesco Finocchiaro e Carmelo Costanzo, cavalieri del lavoro impegnati nella gestione dell’imprenditoria edile siciliana di quel periodo. Fava viene ucciso il 5 gennaio del 1984, a Catania, davanti al Teatro Stabile: quasi vent’anni dopo Nitto Santapaola verrà condannato come mandante dell’assassinio.

Il boss catanese è anche ritenuto uno degli organizzatori della strage di via D’Amelio, che il 19 luglio del 1992 costa la vita al giudice Paolo Borsellino e agli agenti che compongono la sua scorta (Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Claudio Traina, Eddie Walter Cusina ed Emanuela Loi).

Nel 1993, il 18 maggio, Nitto Santapaola viene arrestato nel corso dell’operazione denominata “Luna piena”, nelle campagne di Mazzarrone, da parte degli uomini del Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato: a favorire la sua cattura sono intercettazioni telefoniche delle conversazioni dei suoi figli. I poliziotti che lo catturano si trovano davanti un uomo che non reagisce in maniera scomposta, ma anzi si mostra sereno e flemmatico: non sorpreso dalla venuta degli agenti, chiede di poter fare colazione insieme con la moglie Grazia; quindi, esce dalla villa con le manette ai polsi, dopo aver preso in mano e baciato la Bibbia che tiene in camera da letto, sul comodino. Gli agenti scoprono, con sorpresa, che nel giardino della villa in cui latitava si era costruito un altare di piccole dimensioni, con una chiesetta, una statua della Madonna, alcune panche e addirittura un campanile.

In seguito all’arresto, Mario Tornabene e Natale D’Emanuele diventano reggenti del clan Santapaola: verranno catturati a loro volta nel 1995 (anno in cui la moglie di Nitto, Maria Grazia Minniti, verrà uccisa in un agguato). Nel frattempo nel 1994 Maurizio Avola, pentito autoaccusatosi di oltre settanta assassinii, svela che Santapaola aveva organizzato l’omicidio di Claudio Fava, ma era contrario all’uccisione di Giovanni Falcone per non acuire la lotta contro  lo Stato. Sempre secondo Avola, Santapaola avrebbe avuto frequentazioni con Saro Cattafi e Marcello Dell’Utri: con il tramite di quest’ultimo, avrebbe addirittura investito denaro nelle attività Fininvest.  Dellì’Utri verrà poi assolto, definitivamente nel 2021 e prosciolto da ogni accusa di natura mafiosa.

Il 12 maggio del 1995 Benedetto Santapaola viene condannato a diciotto mesi di isolamento diurno per associazione mafiosa, mentre il 26 settembre del 1997 viene condannato all’ergastolo per la strage di Capaci in primo grado: la sentenza viene confermata in appello due anni e mezzo più tardi, il 7 aprile del 2000. Nel frattempo, nel 1998 Santapaola era stato condannato all’ergastolo, nel 1998, anche per la morte di Giuseppe Fava, in appello: la sentenza sarà confermata il 14 novembre del 2003 in Cassazione. Infine, il 9 dicembre del 1999 egli viene condannato all’ergastolo nel corso del processo Borsellino-ter, a Caltanissetta, insieme con altri 17 boss mafiosi (tra cui Raffaele Ganci e Giuseppe Calò) in primo grado: in appello, il 7 febbraio del 2002, la condanna viene ridotta a venti anni.