Pensionati: dimenticati e presi in giro dai politici

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L’osservatorio dell’Inps comunica una indagine statistica sulle pensioni.  Ecco l’analisi dell’Inps : “Nel complesso al primo gennaio 2018 le pensioni erogate erano 17.886.623 con un calo di circa 143 mila unità rispetto a inizio 2017: di queste 13.979.136 erano di natura previdenziale, mentre le rimanenti 3.907.487 sono di natura assistenziale. La spesa complessiva annua risulta pari a 200,5 miliardi di euro (di cui 179,6 miliardi sostenuti dalle gestioni previdenziali): un dato, spiega l’Istituto, ottenuto moltiplicando per 13 mensilità (12 nel caso delle indennità di accompagnamento) il valore dell’importo mensile di gennaio.

  Per quanto riguarda le pensioni liquidate, nel 2017 sono state 1.112.163 per il settore privato: di queste poco meno della metà (553.105, pari al 49,7%) erano di natura assistenziale (507.177 per gli invalidi civili e 45.928 assegni sociali). L’Inps sottolinea come gli importi annualizzati, stanziati per le nuove liquidate del 2017, ammontano a 10,8 miliardi di euro, un valore che rappresenta circa il 5,4% dell’importo complessivo annuo in pagamento allo scorso primo gennaio.

Le nuove pensioni erogate ai dipendenti privati sono state 335.246, il 30,1% del totale, per un importo annualizzato di 5,44 miliardi (il 50,2% del totale). Le nuove prestazioni erogate agli autonomi sono state invece 215.439. Le pensioni liquidate nelle altre gestioni e assicurazioni facoltative sono state 8.373.

Oltre la metà delle pensioni – spiega l’Inps – è in carico alle gestioni dei dipendenti privati delle quali quella di maggior rilievo (95,6%) è il Fondo Pensioni Lavoratori Dipendenti che gestisce il 48,2% del complesso delle pensioni erogate e il 61,1% degli importi in pagamento. Le gestioni dei lavoratori autonomi elargiscono il 27,5% delle pensioni per un importo in pagamento del 23,9% mentre le gestioni assistenziali erogano il 21,8% delle prestazioni con un importo in pagamento di poco superiore al 10,4% del totale.

Insuccesso -e sospetto allineamento – dei Sindacati nel dialogo con il governo sulla Pensione

Nell’età di pensionamento -a 67 anni -dal 2019 gli anni di contribuzione necessari per poter accedere al beneficio dell’esenzione dallo scatto al pensionamento  scendono da 36 anni a 30 mentre gli anni per i quali i lavoratori dovranno dimostrare di aver esercitato una attività gravosa passano a 7 su 10 rispetto ai 6 su 7 inizialmente previsti.

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Questa,  si apprende, la novità che il governo ha presentato ai segretari confederali di Cgil, Cisl e Uil. Confermate invece le categorie di lavori gravosi esentati dal ritocco dell’età pensionabile, 15 e l’avvio di un nuovo meccanismo di calcolo dell’impatto delle aspettative di vita sull’età pensionabile dal 2021.  Fermo     rimane l’impianto della legge Fornero e non comprendiamo cosa abbiano dialogato i signori sindacalisti con i governanti.

Le categorie esentate dallo scatto dunque resterebbero 15: a quelle individuate per l’accesso all’Ape social, operai dell’industria estrattiva, conduttori di gru, macchine di perforazione, conciatori, macchinisti ferroviari, camionisti, professori di scuola pre-primaria, facchini, addetti alla pulizia, ostetriche infermiere ospedaliere e assistenti per non autosufficienti si aggiungono gli agricoltori, i siderurgici di secondo fuoco, i marittimi e i pescatori. La spesa prevista è da calcolare e studiare ed è stata rinviata dal premier Gentiloni.

 Sarà modificato il meccanismo di calcolo per stabilire quanto la speranza di vita allungherà negli anni il pensionamento dei lavoratori. L’esecutivo, infatti, ha aperto alla possibilità di calcolare dal 2021 la speranza di vita come media del biennio da confrontare con quella del biennio precedente che dunque potrà tenere conto anche dell’eventualità di un calo nelle aspettative di vita anche se in questo caso il nuovo adeguamento all’età pensionabile si ‘scaricherebbe’ sul biennio successivo, cioè 4 anni dopo la rilevazione.    Insomma sono caramelle visto che la richiesta della gente , della popolazione per ridare ossigeno ai giovani disoccupati era la speranza di abbassare l’età pensionabile.   Secondo questo governo “ l”età di pensionamento inoltre non potrà mai scendere, semmai si bloccherebbe sull’età prevista dall’ultimo aggiornamento “.   Insuccesso sindacale quindi e tutto politicamente da rivedere per eliminare l’indecenza dei meccanismi di marca “Fornero”.

  

Pensionamenti: si profila l’uscita dal lavoro a 67 anni – In Sicilia il pensionamento anticipato per la Regione è già attivo

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Cambia la vita cambia l’indicatore di mortalità dell’Istat.”Per il totale dei residenti la speranza di vita alla nascita si attesta a 82,8 anni (+0,4 sul 2015, +0,2 sul 2014) mentre nei confronti del 2013 si allunga di oltre 7 mesi”. La speranza di vita ha recuperato terreno rispetto ai livelli del 2015, anno in cui si registrò un eccesso di mortalità.  Si profila quindi l’uscita dal lavoro a 67 anni, a partire dal 2019.

Come prevede la contestatissima riforma Fornero. Ricorderemo che in Sicilia una immensa fascia di dipendenti regionali è stata avviata al pensionamento anticipato a 62 anni e sette mesi. Ma di più, altra incongruenza la liquidazione del Tfr rinviata fra circa cinque anni.  Un rebus.

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La speranza di vita alla nascita risulta come di consueto più elevata per le donne, 85 anni, ma il vantaggio nei confronti degli uomini, 80,6 anni, si limita a 4,5 anni di vita in più. La speranza di vita spiega ancora l’Istat, aumenta in ogni classe di età. A 65 anni arriva a 20,7 anni per il totale dei residenti, allungandosi di cinque mesi rispetto a quella registrata nel 2013. Nelle condizioni date per il 2016, cioè, spiega l’Istat, questo significa che un uomo di 65 anni può oltrepassare la soglia degli 84 anni mentre una donna di pari età può arrivare a superare il traguardo delle 87 candeline.

 L’aumento della speranza di vita nel 2016 rispetto al 2015, prosegue l’Istat, si deve principalmente alla positiva congiuntura della mortalità alle età successive ai 60 anni. Il solo abbassamento dei rischi di morte tra gli 80 e gli 89 anni di vita spiega il 37% del guadagno di sopravvivenza maschile e il 44% di quello femminile. Rispetto a 40 anni fa, si legge ancora, la probabilità di morire nel primo anno di vita si è abbattuta di oltre sette volte, mentre quella di morire a 65 anni di età si è più che dimezzata. Un neonato del 1976 aveva una probabilità del 90% di essere ancora in vita all’età di 50 anni, se maschio, e a quella di 59 anni, se femmina. Quaranta anni più tardi, un neonato del 2016 può confidare di sopravvivere con un 90% di possibilità fino all’età di 64 anni, se maschio, e fino a quella di 70, se femmina.

Nel 2016 si registra una leggera riduzione delle diseguaglianze territoriali di sopravvivenza, che tuttavia permangono significative. I valori massimi di speranza di vita si hanno nel Nord-est, dove gli uomini possono contare su 81 anni di vita media e le donne su 85,6. Quelli minimi, invece, si ritrovano nel Mezzogiorno con 79,9 anni per gli uomini e 84,3 per le donne.

Disaggregata per genere, la durata media della vita risulta come di consueto più elevata per le donne, 85 anni, ma il vantaggio nei confronti degli uomini, 80,6 anni, si limita a soli 4,5 anni di vita in più (4,8 nel 2013), consolidando quelprocesso di avvicinamento della sopravvivenza di genere che a partire dal 1979 (6,9 anni la differenza uomo-donna in tale anno) non si è mai interrotto.

(Agenzia)

Vertiginoso aumento della spesa per pensioni e salute

Signori, che brivido: 27,2 miliardi in più di spesa sociale

L’Istat formula i dati e in primo piano piano emergono le  spese per pensioni, disoccupazione, salute. La somma delle uscite che rientrano nella voce ‘prestazioni sociali’ è passata da 354,8 miliardi di euro nel 2012 a 382 miliardi nel 2016, con un incremento di 27,2 miliardi. Nello stesso periodo tutte le altre uscite delle pubbliche amministrazioni registrano variazioni contenute, con due eccezioni rilevanti: la seconda riguarda il calo della spesa per interessi passivi che è passata da 83,6 miliardi a 66,4 miliardi (-17,2 mld). La riduzione non eguaglia  l’incremento della spesa sociale, che fa lievitare il totale della spesa di 10,8 miliardi: da 818,9 mld a 829,7 mld. Altri appunti.

Le prestazioni sociali vengono suddivise in due sottocategorie: ‘prestazioni sociali in denaro’ che da 311,4 miliardi salgono a 337,5 mld (+26,1 mld) e ‘prestazioni sociali in natura acquistate direttamente sul mercato’ che da 43,3 miliardi passano a 44,5 miliardi (+1,2 mld). Dalle voci contenute nel conto economico consolidato delle P.a. emerge che la spesa per i redditi da lavoro dipendente, che nel 2012 ammontava a 166,1 miliardi, è scesa gradualmente arrivando a 162 miliardi nel 2015, per risalire lo scorso anno a 164,1 miliardi (-2 mld rispetto al 2012). In lieve crescita la somma destinata ai consumi intermedi, che passa da 87 miliardi a 91,1 miliardi (+4,1 mld). Mentre gli investimenti fissi lordi, che partivano da 41,4 miliardi, si riducono a 34,7 miliardi (-6,7 mld), per effetto di un calo costante registrano nei quattro anni.

 Le entrate totali passano da 771,6 miliardi a 788,9 miliardi (+17,3 miliardi). La voce principale per il finanziamento delle spese, le imposte, passa da 486,5 miliardi a 490,6 miliardi (+4,1 mld), per effetto di un aumento della tassazione diretta che è riuscita anche a compensare la riduzione del gettito da imposte indirette. Dai tributi sul reddito (come Irpef, Ires, Irap) sono stati incassati 239,8 miliardi nel 2012 che sono saliti a 248,4 miliardi nel 2016 (+8,6 mld). Mentre dall’imposizione sul valore aggiunto e sul patrimonio (come Iva e Imu) nel 2012 sono stati incassati 246,7 miliardi nel 2012 che sono scesi a 242,2 miliardi nel 2016 (-4,5 mld). Alcune ‘differenze’ nei risultati sono dovute agli arrotondamenti.
(Agenzia)