PER I TERRORISTI AL CROCUS DI MOSCA LA VITA FINISCE QUI: I RUSSI- E DI PIU’ LE FAMIGLIE DELLE VITTIME – VOGLIONO CHIUDERE IL TRISTE CAPITOLO CON LA REINTRODUZIONE DELLA PENA CAPITALE

 

I quattro arrestati oggi in aula - Afp

Volti tumefatti, cicatrici, una guancia gonfia il doppio dell’altra, la benda su un orecchio mozzato e il corpo quasi esanime del più giovane portato in aula in sedia a rotelle, con un catetere e vestito con un camicione bianco da ospedale. Così sono comparsi in tribunale a Mosca i quattro accusati di terrorismo – Dalerjon Mirzoyev, Saidakrami Rachabalizoda, Shamsidin Fariduni e Muhammadsobir Faizov – dopo l’attacco al Crocus City Hall di Mosca. Torturati e pestati fino alla confessione.

Non riferiamo – e non alleghiamo -i video-choc diffusi perchè fanno venire il voltastomaco. I terroristi sono stati sottoposti a torture e a pestaggio violento    E crediamo che Putin abbia espresso consenso alla diffusione delle immagini esclusivamente come deterrente per chi sceglie di mettersi contro la Russia.   Immagini di violenza terroristica contrapposte quindi a una violenza istituzionale espressione della volontà generale. Tant’ è che si parla adesso di revoca della decisione di aver tolto la pena capitale in Russia. Se ne discute ma solo in alte sfere. Non in pubblico certamente.

PER I TERRORISTI E’ FINITA IN OGNI CASO!

O l’ergastolo o pena capitale i terroristi chiudono comunque qui la loro vita.  Forse in carcere avrebbero sofferenze maggiori, probabili pestaggi ed altro, a questo punto-sembra questo il coro generale- la pena di morte chiuderebbe un triste capitolo che la Russia ha attraversato per il vile attentato

Ora come ora gli autori del grave ‘attentato  rischierebbero al massimo l’ergastolo. Non ci stanno le famiglie delle vittime, non ci stanno i russi.

Alcuni politici hanno avanzato la proposta di reintrodurre la pena capitale in Russia, in particolare il leader del gruppo parlamentare di Russia Unita alla Duma, Vladimir Vasilyev, che ha annunciato che la questione della pena di morte per reati terroristici sarà esaminata, per prendere una decisione che — corrisponda alle aspettative della società.

Leonid Slutsky, presidente della Commissione Affari esteri della Duma e capogruppo del Partito liberaldemocratico della Russia, afferma che  dopo l’attacco al Crocus  in casi come questo “può e deve essere fatta un’eccezione alla regola della moratoria.

Medvedev: “Uccideteli tutti”

Ll vice presidente del Consiglio nazionale di sicurezza russo Dmitry Medvedev afferma: “Gli attentatori del Crocus City Hall “vanno uccisi”. Così come bisogna “uccidere tutti coloro che sono coinvolti nell’attacco”

“Tutti mi chiedono. Cosa fare? Sono stati catturati. Complimenti a tutti quelli che li hanno catturati. Dovremmo ucciderli? Dobbiamo. E’ la nostra volontà. Ma ancora più importante è uccidere tutte le persone coinvolte. Tutti. Chi ha pagato, chi ha simpatizzato, chi ha aiutato. Uccideteli tutti

Non ancora garantita la dignità di Ilaria Salis , trascinata in Tribunale in catene come una schiava d’antica storia

 

Ilaria Salis, si muove la premier Meloni. La telefonata a Orbán

 

 

Il presidente del Consiglio Giorgia Meloni interviene telefonicamente col  primo ministro ungherese Victor Orban sul caso di Ilaria Salis. La 39enne cittadina italiana, sotto processo a Budapest, nella giornata di lunedì – come si sa- è stata trascinata nell’aula di tribunale con manette a mani e piedi. Come una vera schiava d’antica storia.

 Il presidente del Consiglio,  si apprende, ha altresì, nel pieno rispetto dell’indipendenza e dell’autonomia della magistratura ungherese, ha posto in luce al  primo ministro Orban il caso di Salis, dopo la diplomazia già avviata  dal 22 gennaio del vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri Antonio Tajani con il suo omologo ungherese Peter Szijjarto.   

Il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani  ha affermato :”La presidente Meloni ha raggiunto al telefono Orban per chiedere rassicurazioni sulle condizioni della nostra connazionale. Ma voglio ricordare che prima ancora aveva agito il ministro degli Esteri Tajani, avevamo convocato l’ambasciatore ungherese sempre per chiedere rassicurazioni sulle condizioni di detenzione della Salis. Abbiamo invocato il rispetto delle leggi internazionali ed europee in questa materia. Continuiamo a seguire gli sviluppi della situazione”…

“. Quello che è certo, è che, per quanto possano essere gravi le contestazioni di natura penale mosse dell’Ungheria alla nostra concittadina, la dignità delle persone deve essere sempre garantita, soprattutto se si appartiene a un Paese europeo”

 

Reggio Calabria, confiscati beni del valore di 400 milioni di euro- Operazione “Galassia”- ad imprenditore del settore dei giochi e delle scommesse on-line

 

 

Reggio Calabria,

I Finanzieri del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Reggio Calabria e dello S.C.I.C.O., di Roma, con il coordinamento della locale Procura della Repubblica – Direzione Distrettuale Antimafia, diretta dal Dott. Giovanni Bombardieri, stanno dando esecuzione – in Calabria, Puglia e Abruzzo – ad un provvedimento emesso dalla Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria che dispone l’applicazione della misura patrimoniale della confisca di compendi societari, trust e disponibilità finanziarie – per un valore complessivamente stimato in circa 400 milioni di euro – riconducibili ad un imprenditore operante nel settore dei giochi e delle scommesse on-line.

La figura criminale dell’imprenditore era emersa nell’operazione “Galassia”, condotta dal Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Reggio Calabria e dallo S.C.I.C.O. di Roma a contrasto dell’infiltrazione della ‘ndrangheta nel settore dei giochi e delle scommesse on-line, che avrebbe permesso di scoprire l’esistenza di un sofisticato ed altamente remunerativo sistema criminale, finalizzato all’illecita raccolta di scommesse on-line, avente base decisionale ed operativa in Reggio Calabria e ramificazioni anche all’estero tramite società con sedi a Malta, in Romania, Austria e Spagna.

Tali società avrebbero agito mediante un sistema di guadagno a “cascata”, dal master, vertice della piramide e promotore dell’organizzazione, all’end user, il giocatore finale. L’associazione in parola avrebbe avuto collegamenti con la ‘ndrangheta, alla quale avrebbe garantito una parte dei proventi in cambio di protezione e diffusione del brand on line e in esercizi commerciali locali. I bookmaker, infatti, avrebbero stipulato accordi con le cosche egemoni sui rispettivi territori di riferimento, al fine di consolidare la propria posizione economica sul territorio calabrese, in particolare nella provincia di Reggio Calabria. Infine, i punti affiliati, avrebbero trasferito le somme incassate alla direzione amministrativa dell’associazione allocata all’estero, sottraendola all’imposizione fiscale italiana.

In tale contesto – allo stato del procedimento e fatte salve successive valutazioni in merito all’effettivo e definitivo accertamento delle responsabilità – emergeva la figura dell’imprenditore, reale dominus di una società con sede legale a Malta, ma di fatto operante in Italia attraverso una stabile organizzazione, costituita da plurimi punti commerciali, distribuiti sul territorio e dediti alla raccolta di puntate su giochi e scommesse nell’ambito del descritto sistema illecito.

Alla luce delle richiamate evidenze, la locale Direzione Distrettuale Antimafia – sempre più interessata agli aspetti economico-imprenditoriali legati alla criminalità organizzata – ha delegato il G.I.C.O. del Nucleo Polizia Economica Finanziaria di Reggio Calabria a svolgere apposita indagine a carattere economico/patrimoniale finalizzata all’applicazione, nei confronti del citato imprenditore, di misure di prevenzione personali e patrimoniali.

L’attività in rassegna, anche valorizzando le risultanze delle pregresse indagini, ha consentito di rilevare, attraverso una complessa e articolata attività di riscontro, il patrimonio direttamente ed indirettamente nella disponibilità del proposto, il cui valore sarebbe risultato sproporzionato rispetto alla capacità reddituale ufficialmente dichiarata.

Alla luce delle risultanze partecipate, la Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria ha prima disposto il sequestro del patrimonio riferibile al citato imprenditore e, successivamente, riconoscendo la validità dell’impianto indiziario, con il provvedimento in esecuzione ha decretato – allo stato del procedimento ed impregiudicata ogni diversa successiva valutazione nel merito – l’applicazione della misura di prevenzione patrimoniale della confisca dell’intero compendio aziendale di 3 società operanti nel settore dei giochi e delle scommesse on-line, nr. 2 trust radicati a Malta comprensivi dei rispettivi portafogli finanziari, nonché rapporti bancari, finanziari assicurativi e relative disponibilità, per un valore complessivamente stimato in circa 400 milioni di euro.

Con il medesimo provvedimento, inoltre, il locale Tribunale ha sottoposto l’imprenditore alla misura personale della Sorveglianza Speciale di Pubblica Sicurezza per la durata di anni 2 e mesi 6, con obbligo di soggiorno nel comune di residenza o di dimora abituale.

L’attività di servizio in rassegna testimonia, ancora una volta, l’elevata attenzione della Guardia di Finanza e della Procura della Repubblica – Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, che continua a essere rivolta all’individuazione e alla conseguente aggressione dei patrimoni e delle disponibilità finanziarie illecitamente accumulati dalle consorterie criminali, allo scopo di arginare l’inquinamento del mercato e della sana imprenditoria, con l’intento di ripristinare adeguati livelli di legalità, trasparenza e sicurezza pubblica.

 

Napoli, sgominata un’associazione criminale finalizzata alle truffe assicurative, certificati medici falsi, finti testimoni, falsi sinistri. Interdetti 6 medici, due avvocati e 23 indagati

 

Ordinanza di misure cautelari

 

 Napoli
Dalle prime luci dell’alba a Napoli, Aversa (CE), Minturno (LT), Melito di Napoli (NA), Curti (CE), Piano di Sorrento (NA) e Servigliano (FM) i Carabinieri della Compagnia Vomero stanno eseguendo un’ordinanza applicativa di misure cautelari (n.1 in carcere, n. 3 ai domiciliari e n. 8 interdittive nei confronti di due avvocati e sei medici)  emessa dal Tribunale di Napoli su richiesta della locale Procura della Repubblica.
I destinatari di misura, assieme ad altri 23 indagati in stato di libertà, sono gravemente indiziati, a vario titolo, di associazione per delinquere finalizzata alle truffe assicurative con fraudolento danneggiamento di beni assicurati e ricorso a certificati medici falsi rilasciati da medici compiacenti, riciclaggio, indebita percezione del reddito di cittadinanza e furto aggravato.
Le attività, coordinate dalla Procura partenopea e condotte dalla stazione Carabinieri di Napoli Marianella sono frutto di approfondimento su materiale già sequestrato nel corso dell’esecuzione di una prima ordinanza applicativa di misure cautelari per associazione a delinquere finalizzata a furti, rapine e truffe assicurative, eseguita lo scorso 1 marzo, permettendo di raccogliere indizi a carico degli odierni indagati e di rivelare l’operatività di un’associazione criminale che, da oltre un decennio, opera nel territorio campano.
In particolare, le indagini hanno consentito di delineare il modus operandi del sodalizio, all’interno del quale erano ben definiti i ruoli di capo, promotori e partecipi e tra i quali figurano due avvocati e diversi medici, tra cui quattro in servizio presso i P.S. degli ospedali di Marcianise e San Giovanni di Dio di Frattamaggiore, mentre altri due operavano in centri diagnostici privati.
Il meccanismo prevedeva un’iniziale fase di pianificazione della dinamica del sinistro con l’individuazione delle parti da coinvolgere, dei finti testimoni, del medico e del pronto soccorso di riferimento da cui farsi rilasciare referti per inesistenti lesioni; successivamente, venivano coinvolti i sanitari dei centri diagnostici e dei poliambulatori presso i quali venivano effettuate le visite successive a quelle di pronto soccorso ed i carrozzieri compiacenti che avevano il compito di predisporre la documentazione falsa relativa ai danni subiti dai veicoli coinvolti, in maniera compatibile con le lesioni riscontrate.
A questo punto entravano in gioco gli avvocati che istruivano le pratiche per falsi sinistri stradali e che concordavano le dichiarazioni dei finti testimoni. In almeno due occasioni sono state accertate anche dichiarazioni testimoniali da parte di due soggetti risultati poi inesistenti.
Il profitto del reato della truffa assicurativa, una volta incassato, veniva poi movimentato e prelevato in maniera frazionata, nel tentativo di dissimularne la provenienza illecita.
Dalle attività è stato altresì possibile individuare il presunto autore del furto di un’autovettura avvenuto all’interno di un supermercato della città di Napoli ed eseguito con la tecnica del “finto parcheggiatore” che, con l’inganno e qualificandosi come posteggiatore, si era fatto consegnare le chiavi dell’autovettura, per poi dileguarsi facendo perdere le proprie tracce.
Documentata anche l’indebita percezione del reddito di cittadinanza da parte di due degli indagati, per un ammontare complessivo di € 20.497,47.

 

 

Ordinanza di custodia cautelare in carcere per 25 componenti del clan napoletano “Sangermano”.

Camorra, riciclaggio di denaro: 63 misure cautelari - La Stampa

Archivi -SUD LIBERTA’

Ordinanza di custodia cautelare in carcere per 25 persone appartenenti al clan “Sangermano”.
 Napoli – San Paolo Belsit

Nell’ambito di un’indagine coordinata della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, Carabinieri del Nucleo Investigativo del Gruppo di Castello di Cisterna e personale della Direzione Investigativa Antimafia, articolazione del Dipartimento della Pubblica Sicurezza, hanno dato esecuzione a un’Ordinanza di Custodia Cautelare in carcere, emessa dal Tribunale di Napoli, a carico di 25 soggetti, ritenuti appartenenti al Clan “Sangermano” con operatività nell’agro nolano, gravemente  indiziati, a vario titolo, dei reati di associazione di tipo mafioso, estorsione, trasferimento fraudolento di valori, illecita concorrenza, usura, autoriciclaggio e porto e detenzione illegale di armi comuni da sparo, quest’ultimi reati aggravati dalle finalità e modalità mafiose.
L’attività investigativa, svolta dal 2016 al 2019, coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di  Napoli, ha consentito di evidenziare l’operatività del sodalizio criminale, con base a San Paolo Bel Sito (NA) e con interessi in gran parte nell’agro nolano ed in una parte della provincia di Avellino, tendente ad affermare il proprio controllo egemonico sul territorio di interesse, anche con la disponibilità di una importante quantità di armi comuni da sparo.
Le indagini hanno fatto emergere plurime condotte estorsive poste in essere dal sodalizio attraverso l’imposizione di articoli caseari a numerosi esercizi commerciali della zona, nonché l’induzione degli imprenditori all’acquisto di provviste per l’edilizia da una sola rivendita di riferimento.
Il sodalizio si assicurava importanti profitti economici anche attraverso l’attività di riciclaggio, l’illecito esercizio della professione creditizia e la concorrenza illecita esercitata grazie alla forza di intimidazione promanante dalla perdurante azione associativa sul territorio.
A dimostrazione della pressante presenza del clan sul territorio, nel corso della processione della patrona del paese, l’effigie della Santa era stata fatta “inchinare” innanzi l’abitazione del capo clan.
Nel corso delle attività, i carabinieri hanno dato esecuzione anche ad un decreto di sequestro preventivo, per un valore di circa 30 milioni di euro, su immobili (terreni e fabbricati), società, autovetture e rapporti finanziari.
Il provvedimento eseguito è una misura disposta in sede di indagini preliminari, avverso cui sono ammessi mezzi di impugnazione, e i destinatari di essa sono persone sottoposte alle indagini e, quindi, presunte innocenti fino a sentenza definitiva.

Tribunale Palermo: Misure di prevenzione antimafia – Confisca definitiva di beni per oltre 100 milioni di euro

Misure di prevenzione antimafia - Confisca definitiva di beni per oltre 100 milioni di euro

 

Palermo,

Il Tribunale di Palermo – Sezione Misure di Prevenzione, su richiesta della locale Procura della Repubblica – DDA, ha emesso un decreto di confisca del patrimonio di F. G., classe ’56, divenuto irrevocabile con sentenza della Corte di Cassazione, per un valore stimato di oltre 100 milioni di euro, eseguito dai finanzieri del Comando Provinciale di Palermo.

Il procedimento di prevenzione ha tratto origine dalle risultanze delle indagini eseguite tra il 2006 ed il 2008 dagli specialisti del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Palermo – G.I.C.O, nel cui contesto F. risultava indagato per la sua contiguità a “Cosa Nostra”, in particolare alle famiglie mafiose di Acquasanta e San Lorenzo, a cui si sono aggiunte successivamente dichiarazioni convergenti di numerosi collaboratori di giustizia, nonché le risultanze della corrispondenza sequestrata in occasione degli arresti dei boss.

Assolto nel primo grado di giudizio, il F. veniva condannato in appello alla pena di anni nove di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa (a seguito del ricorso in Cassazione, la Suprema Corte ha rinviato gli atti alla Corte d’Appello, che non si è ancora pronunciata).

Sulla base delle evidenze acquisite veniva quindi instaurato uno specifico procedimento di prevenzione nell’ambito del quale è stata ricostruita la “storia economico – finanziaria” dell’importante gruppo imprenditoriale nella disponibilità del F., leader in provincia di Palermo nel settore della grande distribuzione e dei prodotti per la casa e l’igiene.

Secondo le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, il proposto:

  • avrebbe utilizzato, nella gestione della sua attività di commercializzazione di detersivi, anche risorse finanziarie di C. L. P., figlio del boss S., e di altri esponenti del mandamento di San Lorenzo;
  • si sarebbe interposto nella titolarità di immobili ad uso commerciale, in realtà riferibili alla famiglia mafiosa di Carini;
  • avrebbe immesso nelle proprie società 400 milioni di lire riconducibili alla famiglia dell’Acquasanta;
  • sarebbe stato, fin dagli albori della sua iniziativa imprenditoriale, “a disposizione” di “Cosa Nostra”, garantendo ritorni economici e assunzioni a familiari di uomini d’onore;
  • grazie ai suoi rapporti con le articolazioni territoriali della mafia, avrebbe potuto espandersi economicamente nei territori da esse controllate.

Inoltre, all’atto dell’arresto di P. e dei L. P. furono trovati dei “pizzini” il cui contenuto avrebbe avvalorato la contiguità del F. con la mafia, a cui garantiva posti di lavoro e corrispondeva periodicamente ingenti somme di denaro a titolo di ripartizione degli utili.

Gli approfondimenti economico – patrimoniali hanno fatto emergere, a partire dalla seconda metà degli anni novanta, l’immissione di capitali nelle aziende da parte del proposto e dei suoi familiari per valori sproporzionati rispetto alle loro capacità reddituali dichiarate e uno sviluppo imprenditoriale significativo proprio nelle aree territoriali di riferimento delle famiglie mafiose ritenute “vicine”.

Nel 2012 il Tribunale di Palermo – Sezione Misure di Prevenzione, facendo proprie le ricostruzioni effettuate dai finanzieri, ritenne ricorrenti gli elementi per considerare l’imprenditore soggetto socialmente pericoloso in quanto appartenente, anche se non partecipe, al sodalizio mafioso in ragione delle molteplici e radicate relazioni con esponenti di vertice dell’organizzazione e, per questo, dispose il sequestro dell’intero patrimonio riconducibile al proposto.

All’esito dell’iter processuale, è ora intervenuta la definitività della confisca dei seguenti beni: quote societarie di 6 imprese operanti nel settore della grande distribuzione di detersivi, proprietarie di 4 complessi immobiliari a destinazione commerciale (ipermercati) e industriale (centro distribuzione merci), con sedi a Palermo e Carini; 4 conti correnti; 13 terreni; 16 appartamenti ubicati nella città di Palermo; 2 ville di lusso in località Tommaso Natale e Sferracavallo, per un valore complessivo attualmente stimato in oltre 100 milioni di euro.

 

Droga: operazione ‘’Social Bamba’’ sei arresti in Sicilia

Lo spaccio di droga e stupefacenti: quale pena nel codice penale
Spaccio droga: immagini Archivi Sud Libertà
 Palermo e San Mauro Castelverde ,
Provvedimenti cautelari -sei- notificati dai Carabinieri  del Nucleo Investigativo del Reparto Operativo del Comando Provinciale di Palermo e delle Compagnie di Cefalù e Petralia Sottana..
I sei  provvedimenti cautelari (4 in carcere e 2 degli arresti domiciliari),sono stati  emessi dall’ufficio G.I.P. presso il Tribunale di Palermo su richiesta della locale Direzione Distrettuale Antimafia, per i reati di rapina in concorso, aggravata dal metodo e dalle modalità mafiosedetenzione e spaccio di sostanze stupefacenti, estorsione e rapina.

L’indagine, seguita da un pool di magistrati coordinati dal Procuratore Aggiunto Dottore Paolo GUIDO, costituisce l’esito di una complessa manovra investigativa condotta dal Nucleo Investigativo di Palermo, congiuntamente alle Compagnie di Cefalù e Petralia Sottana, focalizzata nel contesto territoriale del mandamento mafioso di San Mauro Castelverde, che ha consentito di acquistare un grave quadro indiziario in ordine alla presunta commissione di numerosi reati, anche aggravati dal metodo e dalle modalità mafiose, che sarebbero stati perpetrati da alcuni degli odierni arrestati.

L’inchiesta  rappresenta lo sviluppo investigativo di alcuni elementi indiziari di una più ampia attività che aveva già portato all’emissione del provvedimento di fermo d’indiziato di delitto a carico di 11 soggetti ritenuti responsabili, a vario titolo, dei reati di associazione mafiosaestorsionetrasferimento fraudolento dei benicorruzioneviolenza privatafurto aggravato e danneggiamento, emesso dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo ed eseguito nel giugno 2020 (operazione Alastra) che aveva consentito di disarticolare la struttura mafiosa attiva nel mandamento di San Mauro Castelverde e di cristallizzare un’organizzazione dedita al traffico di stupefacenti di vario genere ed operante nell’area della famiglia mafiosa di Santa Maria di Gesù.

Secondo il provvedimento cautelare, sussistono gravi indizi in ordine: all’operatività di una serie di soggetti dediti, mediante la commissione di numerose singole condotte illecite connesse alla cessione di sostanze stupefacenti (principalmente cocaina) e caratterizzate dalla spiccata pervasività ‘commerciale’, con un’attenzione maniacale alla ‘fidelizzazione’ del clienti-assuntore, effettuando anche servizi di consegna ‘a domicilio’ dello stupefacente, in modo da avere una lista particolarmente estesa di acquirenti fidati;

  • alla commissione di specifiche condotte di rapina ed estorsione, messe in atto da più indagati in momenti diversi e finalizzate all’acquisizione di alcuni farmaci veterinari per la cura di bestiame in danno di un agente di commercio (aggravata dal ricorso a metodi e modalità mafiose al fine di agevolare soggetti del mandamento di San Mauro Castelverde) e, in un altro caso, al recupero di somme di danaro da un cliente-assuntore, poiché insolvente verso gli spacciatori che gli avevano fornito lo stupefacente.

L’odierna operazione si inserisce nella forte e concreta risposta delle Istituzioni ai gravi pervasivi fenomeni connessi ai reati di matrice mafiosa e al contrasto allo spaccio di sostanze stupefacenti in numerose aree di Palermo, siano esse periferiche o centralissime, già oggetto nei giorni scorsi di altre importanti operazioni, coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Palermo e condotte dai Carabinieri del Comando Provinciale di Palermo.

 

 

 

 

BENI CONFISCATI AI BOSS SANTAPAOLA-ERCOLANO,CESAROTTI,ALTRI, PER CIRCA 7.700 MILA EURO

 

Catania Bicocca - Visita della UIL nella Casa Circondariale - La relazione
Il carcere di Bicocca

 

Il Tribunale di Catania-si apprende – ha applicato la misura di prevenzione patrimoniale della confisca di beni nei confronti di Benedetto Santapaola, Aldo Ercolano, Giuseppe Mangion, Giuseppe Cesarotti e Mario Palermo, 

I militari del Ros hanno eseguito la confisca. Il provvedimento scaturisce dagli esiti del procedimento penale, indagine “Samael”, nel corso del quale era stato possibile individuare parte del patrimonio occulto direttamente riconducibile ai vertici della famiglia Santapaola Ercolano,  gestito mediante prestanome e imprenditori contigui all’associazione mafiosa (Palermo, Cesarotti).

L’indagine ha vissuto una prima fase esecutiva lo scorso 3 dicembre 2019, quando le aziende ed i beni immobili, oggetto dell’odierno provvedimento giudiziario, sono stati sottoposti a sequestro preventivo: Tropical Agricola Srl con sede legale in Catania; GR Transport Logistic Srl con sede legale a Mascali (CT); LT logistica e Trasporti Srl con sede legale a Mascalucia (CT); nr. 12 immobili siti in Mascali (CT) ed in Massannunziata frazione di Mascalucia (CT). Il valore complessivo dei beni confiscati ammonta a circa 7.700.000 euro.

Benedetto Santapaola - WikiMafia

Nella foto d’Archivio Benedetto Santapaola. Oggi ovviamente, è anziano, e -si apprende -molto malato.

Note informative biografiche sul Boss che dominò a Catania per oltre un trentennio , che proveniva dalle scuole Salesiane, che teneva ogni notte tra le mani la Bibbia, e nel suo giardino aveva pure una chiesetta con la Madonna dove pregava.

Nitto Santapaola, il cui vero nome è Benedetto, nasce il 4 giugno del 1938 a Catania, nel quartiere di San Cristoforo, in una famiglia di umili origini. Dopo aver frequentato una scuola salesiana, intraprende fin da giovane la strada della criminalità, dedicandosi a rapine. Nel 1962 viene denunciato per la prima volta, per associazione a delinquere e furto. Dopo essere stato affiliato nella “Famiglia di Catania”, dove è vicecapo di Giuseppe Calderone, viene costretto al soggiorno obbligato nel 1970; cinque anni dopo è denunciato per contrabbando di sigarette, anche se nel frattempo è stato (almeno ufficialmente) venditore di oggetti da cucina e titolare di una concessionaria di automobili della Renault. Alla fine degli anni Settanta Nitto Santapaola, in accordo con i Corleonesi, uccide Calderone, per  assumere il comando di Cosa Nostra in città. Nell’agosto del 1980, egli viene ritenuto uno dei responsabili dell’omicidio del sindaco di Castelvetrano Vito Lipari: fermato dai carabinieri in macchina insieme con Rosario Romeo, Francesco Mangion e Mariano Agate, viene arrestato ma immediatamente scarcerato (senza essere sottoposto al guanto di paraffina).

Nel 1982, dopo l’omicidio a giugno di Alfio Ferlito, nemico di Nitto Santapaola (ucciso insieme alla scorta che lo sta portando da Enna al carcere di Trapani, nella cosiddetta “strage della circonvallazione”), a settembre va in scena l’agguato aL GENERALISSIMO  Carlo Alberto Dalla Chiesa,, in servizio a Palermo da pochi mesi, che rimane ucciso nella strage di via Carini insieme con l’agente Domenico Russo e la moglie Emanuela Setti Carraro.
Indagato per l’omicidio, Santapaola inizia la sua lunga  latitanza. Nello stesso periodo il suo clan inizia ad allargare i propri interessi nel Nord Italia: riesce, tra l’altro, a far assegnare la gestione del casinò di Campione d’Italia al presidente della Pallacanestro Varese Ilario Legnaro, rappresentante del gruppo di imprenditori che si appoggia a lui. Nel frattempo, la rivista “I Siciliani”, fondata dal giornalista Giuseppe Fava rende noti i rapporti tra il clan di Santapaola e i cosiddetti “quattro cavalieri dell’apocalisse mafiosa” (in questo modo vengono definiti sul primo numero del giornale, in copertina, del mese di gennaio del 1983): si tratta di Mario Rendo, Gaetano Graci, Francesco Finocchiaro e Carmelo Costanzo, cavalieri del lavoro impegnati nella gestione dell’imprenditoria edile siciliana di quel periodo. Fava viene ucciso il 5 gennaio del 1984, a Catania, davanti al Teatro Stabile: quasi vent’anni dopo Nitto Santapaola verrà condannato come mandante dell’assassinio.

Il boss catanese è anche ritenuto uno degli organizzatori della strage di via D’Amelio, che il 19 luglio del 1992 costa la vita al giudice Paolo Borsellino e agli agenti che compongono la sua scorta (Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Claudio Traina, Eddie Walter Cusina ed Emanuela Loi).

Nel 1993, il 18 maggio, Nitto Santapaola viene arrestato nel corso dell’operazione denominata “Luna piena”, nelle campagne di Mazzarrone, da parte degli uomini del Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato: a favorire la sua cattura sono intercettazioni telefoniche delle conversazioni dei suoi figli. I poliziotti che lo catturano si trovano davanti un uomo che non reagisce in maniera scomposta, ma anzi si mostra sereno e flemmatico: non sorpreso dalla venuta degli agenti, chiede di poter fare colazione insieme con la moglie Grazia; quindi, esce dalla villa con le manette ai polsi, dopo aver preso in mano e baciato la Bibbia che tiene in camera da letto, sul comodino. Gli agenti scoprono, con sorpresa, che nel giardino della villa in cui latitava si era costruito un altare di piccole dimensioni, con una chiesetta, una statua della Madonna, alcune panche e addirittura un campanile.

In seguito all’arresto, Mario Tornabene e Natale D’Emanuele diventano reggenti del clan Santapaola: verranno catturati a loro volta nel 1995 (anno in cui la moglie di Nitto, Maria Grazia Minniti, verrà uccisa in un agguato). Nel frattempo nel 1994 Maurizio Avola, pentito autoaccusatosi di oltre settanta assassinii, svela che Santapaola aveva organizzato l’omicidio di Claudio Fava, ma era contrario all’uccisione di Giovanni Falcone per non acuire la lotta contro  lo Stato. Sempre secondo Avola, Santapaola avrebbe avuto frequentazioni con Saro Cattafi e Marcello Dell’Utri: con il tramite di quest’ultimo, avrebbe addirittura investito denaro nelle attività Fininvest.  Dellì’Utri verrà poi assolto, definitivamente nel 2021 e prosciolto da ogni accusa di natura mafiosa.

Il 12 maggio del 1995 Benedetto Santapaola viene condannato a diciotto mesi di isolamento diurno per associazione mafiosa, mentre il 26 settembre del 1997 viene condannato all’ergastolo per la strage di Capaci in primo grado: la sentenza viene confermata in appello due anni e mezzo più tardi, il 7 aprile del 2000. Nel frattempo, nel 1998 Santapaola era stato condannato all’ergastolo, nel 1998, anche per la morte di Giuseppe Fava, in appello: la sentenza sarà confermata il 14 novembre del 2003 in Cassazione. Infine, il 9 dicembre del 1999 egli viene condannato all’ergastolo nel corso del processo Borsellino-ter, a Caltanissetta, insieme con altri 17 boss mafiosi (tra cui Raffaele Ganci e Giuseppe Calò) in primo grado: in appello, il 7 febbraio del 2002, la condanna viene ridotta a venti anni.

A FIRENZE IL GIUDICE DEL LAVORO REVOCA I LICENZIAMENTI, IN SICILIA DOVE VI SONO AFFINITA’ CON I “SILURAMENTI” DEI LAVORATORI DELL’ISTITUTO IPPICO, PROBABILE UNA DECISIONE EGUALE

 

Le I cavalli dell'Istituto senza foraggi Musumeci lancia raccolta fondi BlogSicilia – Quotidiano di cronaca, politica e costume

Licenziamenti GkN  dovranno essere tutti revocati per decisione del Giudice. Il tribunale accoglie il ricorso sindacale della Fiom Cgil..  L’azienda non può più tenere in vita gli atti inerenti l’illegittima procedura di licenziamento collettivo

DI       R.LANZA

Istituto Incremento Ippico, otto dipendenti messi alla porta. La Regione non torna indietro. Cgil: «Impegni non rispettati» - MeridioNews

 Il Tribunale di Firenze accoglie il ricorso sindacale  e condanna la società a “revocare la lettera di apertura della procedura di licenziamento collettivo” del 9 luglio scorso.

Specificatamente il   Tribunale,  condanna Gkn “a porre in essere le procedure di consultazione e confronto previste dall’articolo 9 parte prima del Ccnl e dall’accordo aziendale del 9 luglio 2020 indicato in motivazione; a pubblicare il testo integrale del presenze decreto a sue spese e per una sola volta sulle edizioni nazionali dei quotidiani  omissis omissis’; al pagamento in favore del sindacato ricorrente delle spese di giudizio che liquida in complessivi 9.300 euro oltre Iva, cpa e contributo spese generali”.

Anche in Sicilia la sentenza è stata accolta favorevolmente dai lavoratori in mobilità o licenziamento provvisorio” dell’Istituto Incremento Ippico perchè anche qui sono tutti -compresi i sindacati- in fermento per la decisione del Giudice del lavoro di Catania che fra alcuni giorni si pronuncerà sulla nota  vicenda della “revoca del provvedimento di licenziamento o messa in disponbilità” dei sette dipendenti.      Vi sono affinità giuridiche – è  coro unanime -con la vicenda di Firenze  perchè anche la nota riunione del 13 luglio scorso dei sindacati regionali siciliani e dirigenti generali della Regione Sicilia compreso l’Assessore al ramo Agricoltura Scilla hanno posto in luce il difetto dei necessari requisiti formali di Contrattazione sindacale quali ad esempio il verbale di registrazione e trascrizione dei pareri sindacali.      E, anche se i sindacati- lì per lì forse intimiditi o narcotizzati dai potenti della Regione,e non hanno preventivamente richiesto il verbale di trascrizione, era l’Amministrazione regionale con il suo segretario della seduta, se nominato, che aveva l’obbligo primario  di porre in essere gli adempimenti  contrattuali e rituali. L’omissione , anche se non tempestivamente contestata, non ha consentito  alle forze sindacali presenti di poter vincolare la controparte dirigenziale ,.

AGGIORNAMENTO :  Sul ricorso contro la Regione siciliana della legge n.17 del 2019 che rimodula la pianta organica dell’Istituto Ippico  ,il  Giudice del Lavoro  di Catania – informano  stasera i legali dei dipendenti interessati – si pronuncerà il 15 Dicembre prossimo.   Il  ricorso è quello dell’Avv Buscemi presentato da diversi dipendenti che non hanno aderito alle idee del Sindacato Cgil 

GKN e l'industria italiana a pochi giorni dallo sblocco dei licenziamenti
ILLEGITTIMA LA PROCEDURA DI LICENZIAMENTO DELLA SOCIETA’ GKN

“GLADIATORI E SCHIAVI” IN VENDITA

 

Stasera in tv Spartacus il film di Kubrick: il capolavoro di Stanley Kubrick stasera in tv su Iris Spartacus

Come nel film di Kubrick:   I gladiatori e Spartacus

NEL MARASMA GENERALE L’ISTITUTO INCREMENTO IPPICO DI CATANIA: PERSONALE “IN DISPONIBILITA

 

DI  RAFFAELE  LANZA

 

Il coro è unanime, la conclusione è univoca  L’Istituto Incremento ippico di Catania non è più l’ente museo, cavalli in mostra e carrozze di altri tempi da ammirare: è ,in questo momento, soltanto l’arena in cui  si combatte per il mantenimento del posto o l’ottenimento di vantaggi . L’interesse generale –pur nella nobile presenza della baronessa/principessa Caterina Grimaldi  la cui famiglia si occupa da diverse generazioni dell’allevamento di equini– è da tempo fuori di ogni attenzione. 

  I suoi dipendenti, un tempo veri gladiatori dell’ente,li conosciamo tutti, uno ad uno, ricordiamo che dimostravano di essere davvero valorosi rispetto alla controparte(direzione) oggi malgrado l’  azione di contrasto , l’ente autonomo li ha tramutati in  “schiavi” di un sistema ammalato,che ha mostrato una grave  frattura, difficilmente colmabile, forse del tutto incolmabile al punto  essi sono arrivati.. 

 

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I dipendenti ci telefonano in redazione, in tanti ricordiamo insieme i momenti belli in cui curavamo un impegno sindacale regionale molto comunicativo ed efficace, la direzione dell’ente , prima con il dott. Paladino poi con il dott. Alessandra e Bentivegna,rispettava e riscontrava le nostre richieste sindacali diffuse all’opinione pubblica. Oggi la situazione generale è catastrofica,troppa tensione sociale, e mancanza di coraggio nelle decisioni -oneste- da assumere. 

Come vedete abbiamo pubblicato una foto che ritrae il leggendario  attore statunitense  Kirk Douglas interpretare “Spartacus”     Ma chi  è oggi  l’interprete vero, spontaneo, deciso,altruista,  degli interessi dei lavoratori dell’Istituto Incremento ippico?   Dov’è un uomo come Spartacus, signori mei?   Non  vediamo proprio alcun soggetto capace di  interpretare un interesse generale   Ricorsi, denunce penali per “distrazione provvisoria” delle somme destinate al pagamento dell’Istituto Vacanza contrattuale-oggi quasi interamente pagata, dipendenti intimiditi  dalla direzione,lettere, richieste al Prefetto, ricorso amministrativo d’urgenza, dialogo con diversi e noti avvocati.       Questo ente è divenuto una coda impropria del Tribunale di Catania

 

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Credo che anche i sindacalisti siano d’accordo oggi nel ritenere che le determinazioni dirigenziali che suscitano tanta indignazione siano il prodotto di una politica che vuole-purtroppo- il rilancio dell’ente tramite  tanta, tanta obbedienza cieca.   Da parte di tutti: dal commissario ad acta al direttore fino agli ex stallieri, attuali istruttori direttivi.  Parola d’ordine: “Fate silenzio, via gli striscioni sindacali dai balconi, sotto i tacchi le “contrattazioni sindacali” (francamente neanche poi neanche molto risolute,chiare e contrastanti), ignorate le proteste. Obbedite e basta”      Ricordiamo i punti essenziali  di un recente ‘intervento sindacale a firma della FpCgil, Uil, Sadirs, Ugl.

Eccolo:    “Senza alcun criterio logico, in forza di provvedimenti adottati d’imperio e unilateralmente, l’Istituto Incremento Ippico di Catania ha posto in eccedenza con la illegittima e illogica delibera del Commissario ad acta n. 1 del 9.3.2021 (All.2), i lavoratori che non hanno deciso volontariamente di “ricollocarsi” in categorie inferiori, dalla C di istruttore alla A di operatore, procedendo a declassare anche coloro che hanno confermato la disponibilità a svolgere le mansioni di sempre. Si è proceduto inoltre a mettere in disponibilità quelli che non fossero in possesso di un requisito non meglio definito di adeguata professionalità, rimasto incompreso ai più, dando mandato al direttore dell’Istituto stesso di adottare i provvedimenti attuativi a ciò consequenziali.
Il tutto condito da una informativa sindacale e da una forma di confronto che l’Istituto Ippico ha reso inutile, nulla riferendo in ordine alle reali possibilità di ricollocamento del personale e abbandonandosi a intendimenti generici circa l’eventuale mobilità presso altre amministrazioni regionali, rimasti solo sulla carta, anche a causa della chiusura totale su ogni soluzione del genere da parte dell’Assessorato regionale di competenza.
I dipendenti, abbandonati a un destino inesorabile, hanno proclamato lo stato di agitazione (All.3) oltre che esperire i mezzi legali più idonei (All.4) per bloccare la situazione venutasi a creare che rischia di mettere fine a trent’anni e più di attività lavorativa prestata sempre con massima diligenza e passione verso i fini dell’Istituto.
Da qualche settimana a questa parte, all’interno dello stesso Istituto si è diffuso un clima di incertezza e di precarietà, che sta ulteriormente destabilizzando l’ambiente.
Da qualche giorno, infatti, circola tra i dipendenti una determina dirigenziale (All.5), datata 14.5.2021, a firma del direttore dell’Istituto, non pubblicata all’Albo pretorio, né notificata al personale dipendente interessato o alle organizzazioni sindacali, che ha disposto “d’ufficio” il collocamento nelle categorie A e B, o il mantenimento nella categoria di appartenenza C, di parte dei lavoratori in servizio, in applicazione di criteri assolutamente arbitrari, soggettivi e palesemente discriminatori. Con la stessa determina si è proceduto a collocare in disponibilità una parte del personale con criteri arbitrari, discriminatori, basati perfino su una accertata inidoneità fisica di alcuni di loro, circostanza che dovrebbe piuttosto indirizzare a tutelare il personale interessato per le sue fragilità.
Alla circolazione del predetto provvedimento, non pubblicato sul sito istituzionale dell’Ente, è seguita una riunione col personale dipendente, estromettendo le organizzazioni sindacali, in cui pare che sia stato richiesto a chi interessato dai cambi di profilo di “mettere per iscritto” il proprio consenso, pena la revoca di quanto già disposto!  Veramente, si ritiene che si stia oltrepassando ogni accettabile limite”.

Da questo marasma emergono lucidamente tre perdenti: i dipendenti loro malgrado, in tensione e preoccupazione quotidiana di non ritrovarsi presto il posto pubblico;  i cittadini -offesi ed ignorati- ed i politici nazionali e regionali c he vivono a Catania incapaci di manifestare una volontà.    La partita è molto delicata.   Bisogna provare a stringere un “patto sociale”  -Prefetto  e Assessore regionale alla Funzione pubblica ad es. – per non rischiare di tagliare fuori dal mercato del lavoro, questi dipendenti dell’Istituto incremento ippico-    Superfluo -ricorderemo agli ex gladiatori- presentarsi dal Prefetto senza la presenza di un rappresentante politico regionale.     Si verificherebbe il definitivo tracollo dell’ente autonomo.