Vaccino anticancro: nel futuro – e speriamo presto- “una nuova opzione terapeutica per molti pazienti”

 

 Alfredo, di 71 anni  è il primo paziente italiano a ricevere il vaccino anticancro sperimentale a mRna per la cura del melanoma. La dose gli è stata somministrata questa mattina all’Istituto dei tumori Pascale di Napoli, dove l’uomo è seguito dallo scorso settembre dall’oncologo Paolo Ascierto. Alfredo, un medico di base molisano, partecipa allo studio di fase 3 sul vaccino di Moderna, l’ultimo step prima che il prodotto possa essere approvato dalle autorità regolatorie.

Sposato con due figli, due anni fa scopre che dietro a una neoformazione cutanea si nasconde un melanoma. Dopo le prime cure ad Isernia arriva poi a Napoli, nel reparto del Pascale di Paolo Ascierto.

A settembre dello scorso anno ha una comparsa di metastasi linfonodali inguinali. Operato a novembre da Alfonso Amore dell’equipe di Corrado Caracò, inizia il 15 dicembre il trattamento con Pembrolizumab nell’ambito dello studio V904. Quasi in contemporanea con l’inizio dell’immunoterapia arriva la proposta di aderire alla fase III del primo vaccino a mRNA di Moderna…

La comunicazione di un vaccino anticancro  supera i confini nazionali. Tutti gli ambienti scientifici attendono risposte dalla sperimentazione in atto. Poi ,in un futuro che si prevede veloce, si vedrà se il vaccino rappresenta la soluzione idonea per i pazienti attaccati dal tumore.
Vaccino contro il melanoma, al Pascale la prima dose italiana   RIPRODUZIONE RISERVATA
La sperimentazione contro il cancro avrà presto una risposta

“Oggi è un grande giorno”, dichiara Ascierto (nella foto d’ag,sopra).  “la nostra speranza è quella di poter dare una nuova e più efficace opzione terapeutica a quanti più pazienti possibili”.

Il vaccino anti-melanoma dell’americana Moderna, ricorda Ascierto, “si basa sulla stessa tecnologia adottata per quelli contro il Covid. Utilizza cioè mRna sintetici progettati per ‘istruire’ il sistema immunitario a riconoscere specifiche proteine, chiamati neoantigeni, che sono espressione di mutazioni genetiche avvenute nelle cellule malate. Il suo scopo non è quello di prevenire la malattia, ma di aiutare e supportare il sistema immunitario dei pazienti a riconoscere e ad attaccare più efficacemente il tumore. Certo, essendo una sperimentazione in doppio cieco – puntualizza lo specialista – potremmo trovarci di fronte a una dose di placebo. Secondo protocollo, infatti, né il paziente né l’oncologo sanno cosa è stato iniettato. Lo sapremo alla fine della sperimentazione”.

Autismo, 8 milioni per migliorare la qualità della vita alle persone con disturbo dello spettro autistico.

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Oltre otto milioni di euro dalla Regione Siciliana per la realizzazione di progetti che migliorino la qualità della vita delle persone con disturbo dello spettro autistico e delle loro famiglie. 

«Abbiamo pubblicato quattro importanti avvisi, a valere sul fondo per l’Inclusione delle persone con disabilità – dice l’assessore della Regione Sicilia alla Famiglia e alle politiche sociali Nuccia Albano – che rafforzeranno i servizi per le persone autistiche e permetteranno a chi soffre di questi disturbi di gestire in maniera più adeguata le difficoltà quotidiane, favorendone al contempo la partecipazione sociale. Per la prima volta, infatti, il programma definito dall’assessorato regionale prevede non solo interventi sanitari, ma anche di integrazione sociale, con progetti da svolgere in ambiente esterno attraverso attività quali lo sport, la musica, l’arte, il teatro».

L’avviso relativo alla realizzazione di progetti finalizzati alla creazione di percorsi di assistenza alla socializzazione, dedicati ai minori e all’età di transizione fino ai 21 anni (tramite voucher), il cui importo totale è di 1.800.000 euro, è rivolto ai Comuni, mentre quello relativo a percorsi di socializzazione con attività da svolgere in ambiente esterno (gruppi di cammino, attività musicale, attività sportiva), per un importo totale di 2.500.000 euro, è rivolto oltre che ai Comuni anche alle organizzazioni del Terzo settore iscritte al Registro unico nazionale (Runts), che abbiano maturato un’esperienza sui disturbi dello spettro autistico e che si avvarranno delle indicazioni dei Centri Autismo per minori e adulti delle Aziende sanitarie provinciali dell’Isola.

Gli altri due avvisi, che riguardano progetti per favorire l’inclusione, attraverso attività sociali (sport, tempo ricreativo, mostre), per un importo di 2.840.000 euro, e gli interventi volti alla formazione dei nuclei familiari che assistono persone con disturbo dello spettro autistico, per un totale di un milione di euro, sono destinati esclusivamente alle organizzazioni del terzo settore iscritte al Runts.

«Si tratta di una svolta importante – conclude Albano – per un approccio innovativo che consentirà di migliorare lo stile di vita di queste persone, attraverso l’acquisizione di autonomia personale, lo sviluppo di competenze sociali ed emotive, il miglioramento del benessere fisico e psicologico, lo sviluppo delle abilità motorie, lasciando emergere le potenzialità che ogni soggetto autistico è in grado di sviluppare».

 

Napoli: bimba affetta da atrofia muscolare spinale salvata in virtù del farmaco più costoso al mondo

Napoli, bimba di 6 mesi salvata dall’atrofia muscolare spinale con il farmaco più costoso al mondo

Un grande lavoro di squadra ha consentito ad una  bimba di 6 mesi, affetta da atrofia muscolare spinale (Sma), a sottoporsi per la prima volta nel nostro Paese a una terapia genica estremamente innovativa all’ospedale pediatrico Santobono di Napoli. La terapia è stata autorizzata in Europa a maggio scorso e in Italia recentemente. lo scorso 17 novembre. Si tratta quindi del primo trattamento di questo tipo effettuato nel nostro Paese.

L’Atrofia muscolare spinale di tipo 1 – si sa-  è una gravissima malattia genetica neuromuscolare, insorge subito dopo la nascita e causa una progressiva debolezza muscolare che compromette la respirazione e la deglutizione, causando la morte entro i due anni di vita. Il farmaco somministrato al Santobono di Napoli, considerato il più costoso al mondo (1,9 milioni di euro per singolo trattamento), corregge il problema genetico, determinando la completa regressione della malattia.

Anche chi è guarito da coronavirus – affermano gli studiosi- avrebbe i polmoni a rischio per 6 mesi..

 

Novità dalla Medicina ufficiale nel settore Coronavirus. Chi è stato colpito dal Covid -I9  avrebbe i polmoni a rischio per almeno 6 mesi dopo essere guariti , mentre il 30% dei pazienti avrà problemi respiratori cronici.

 

Varese - terapia intensiva Covid - foto di Maurizio Borserini

Secondo gli esperti, infatti, l’infezione potrebbe lasciare strascichi a lungo termine sulla funzionalità respiratoria e talvolta comprometterla in modo irreversibile, soprattutto nei pazienti usciti dalla terapia intensiva. E’ il preoccupante scenario che arriva dal convegno digitale della Società italiana di pneumologia (Sip), durante il quale sono stati messi a confronto i primi dati di follow-up raccolti nel nostro Paese e dai medici cinesi con gli esiti di pazienti colpiti da Sars nel 2003.

Da questo confronto emerge che l’infezione polmonare da coronavirus può lasciare un’eredità cronica sulla funzionalità respiratoria: si stima che in media in un adulto possano servire da 6 a 12 mesi per il recupero funzionale, che per alcuni però potrebbe non essere completo. Dopo la polmonite da Covid-19 potrebbero perciò essere frequenti alterazioni permanenti della funzione respiratoria, ma soprattutto segni diffusi di fibrosi polmonare: il tessuto respiratorio colpito dall’infezione perde le proprie caratteristiche e la propria struttura normale, diventando rigido e poco funzionale, comportando sintomi cronici e necessità, in alcuni pazienti, di ossigenoterapia domiciliare. La fibrosi polmonare potrebbe diventare perciò il pericolo di domani per molti sopravvissuti a Covid-19 e rendere necessario sperimentare nuovi approcci terapeutici come i trattamenti con cellule staminali mesenchimali.

Non abbiamo al momento dati certi sulle conseguenze a lungo termine da polmonite da Covid-19. E’ trascorso ancora troppo poco tempo dall’inizio dell’epidemia a Wuhan, dove tutto è cominciato – spiega Luca Richeldi, membro del Comitato tecnico e scientifico per l’emergenza coronavirus, presidente della Sip e direttore del Dipartimento di Pneumologia del Policlinico Gemelli di Roma -. Tuttavia le prime osservazioni rispecchiano da vicino i risultati di studi di follow-up realizzati in Cina a seguito della polmonite da Sars del 2003, molto simile a quella da Covid-19, confermando il sospetto che anche Covid-19 possa comportare danni polmonari che non scompaiono alla risoluzione della polmonite”.

“In molti pazienti Covid-19 che sono stati ricoverati o intubati – riferisce Richeldi – osserviamo dopo la dimissione difficoltà respiratorie che potrebbero protrarsi per molti mesi dopo la risoluzione dell’infezione, e i dati raccolti in passato sui pazienti con Sars mostrano che i sopravvissuti a 6 mesi di distanza avevano ancora anomalie polmonari ben visibili alle radiografie toraciche e alterazioni restrittive della funzionalità respiratoria, come una minor capacità respiratoria, un minor volume polmonare, una scarsa forza dei muscoli respiratori e soprattutto una minor resistenza allo sforzo, con una diminuzione netta della distanza percorsa in 6 minuti di cammino. Ma, soprattutto – precisa l’esperto – il 30% dei pazienti guariti mostrava segni diffusi di fibrosi polmonare, cioè grosse cicatrici sul polmone, con una compromissione respiratoria irreversibile: in pratica, potevano sorgere problemi respiratori anche dopo una semplice passeggiata”.

Questi problemi- spiegano altri studiosi-  si sono verificati anche in pazienti giovani, con un’incidenza variabile dal 30 fino al 75% dei casi valutati – – E i primi dati riferiti dai medici cinesi su Covid-19 e i nostri dati osservazionali parlano di molti pazienti sopravvissuti nei quali viene diagnosticata proprio una fibrosi polmonare, ovvero una situazione in cui parti di tessuto dell’organo sono sostituite da tessuto cicatriziale non più funzionale”.

“Reliquati polmonari purtroppo ci sono,-avvertono gli esperti – per questo avremo una nuova categoria di pazienti con cicatrici fibrotiche a livello polmonare da Covid con insufficienza respirtatoria, che rappresenterà certamente un nuovo problema sanitario”…

Al Policlinico Gemelli di Roma è stato attivato Day hospital post-Covid. E “a Pavia un ambulatorio post-Covid, dedicato ai pazienti dimessi dal San Matteo è attivo dal 27 aprile scorso – aggiunge Corsico – In accordo con le linee guida della British Thoracic Society Guidance on Respiratory ‘Follow Up of Patients with a Clinico-Radiological Diagnosis of Covid-19 Pneumonia’, i pazienti vengono sottoposti a esame radiografico del torace, prove di funzionalità respiratoria, test del cammino di 6 minuti, ecografia toracica e cardiaca e, se necessario, a Tac toracica per indagare la presenza di una pneumopatia interstiziale diffusa o di una embolia polmonare. I dati preliminari – conclude – sembrano confermare le prime osservazioni cinesi su Covid-19: diversi pazienti dimessi, purtroppo, presentano ancora insufficienza respiratoria cronica, esiti fibrotici e bolle distrofiche. Appare necessario attivare i programmi di riabilitazione polmonare”.

Una nuova terapia apre una speranza alle donne che lottano contro il tumore del seno

In Italia vivono più di 37.000 donne con diagnosi di tumore della mammella metastatico

Una terapia potrebbe dare una nuova speranza alle donne colpite da tumore del seno e migliorare significativamente la sopravvivenza globale, fino al 70%   L’Italia- si apprende – ha avuto un ruolo importante, perchè ha valutato la molecola ribociclib, in associazione alla terapia endocrina come trattamento iniziale in donne in pre e peri-menopausa con tumore della mammella avanzato o metastatico HR+/HER2- (positivo per i recettori ormonali e negativo per il recettore 2 del fattore umano di crescita epidermica

Dalla ricerca emerge “che tassi di sopravvivenza globale nella popolazione a 42 mesi erano pari al 70,2% con ribociclib in associazione alla terapia endocrina, rispetto al 46% per la sola terapia endocrina. Al momento del ‘cut-off’ dei dati, il 35% delle donne che assumevano ribociclib in associazione alla terapia endocrina ha proseguito il trattamento. Non è stata rilevata nessuna nuova segnalazione relativa alla sicurezza. La molecola non è indicata per l’utilizzo in associazione a tamoxifene“…..

“In Italia vivono più di 37.000 donne con diagnosi di tumore della mammella metastatico – spiega Lucia Del Mastro, responsabile della Breast Unit dell’Irccs Ospedale Policlinico San Martino di Genova -. Di queste, 3.700 hanno un’età compresa fra i 40 e i 49 anni. Si tratta di donne giovani, nel pieno della loro vita familiare e professionale, come madri, mogli e lavoratici. In questi casi, la malattia ha un impatto profondo sull’intera famiglia”.

“Da qui – la necessità di opzioni terapeutiche innovative che garantiscano quantità e qualità di vita.    Le nuove speranze alle giovani pazienti: ribociclib infatti è un trattamento caratterizzato, da un lato, da un’efficacia superiore rispetto alle terapie anti-ormonali standard, dall’altro da una bassa tossicità, consentendo di condurre una vita normale pur continuando le cure per la neoplasia metastatica”.

Sezione trasversale grafica del seno femminile

 

“Il beneficio di sopravvivenza globale è considerato il ‘gold standard’ negli studi clinici, ma rappresenta una sfida nel tumore mammario metastatico HR+/HER2-. Lo studio Monaleesa-7 ha raggiunto questo importante endpoint prima di quanto previsto – ha affermato Sara Hurvitz, MD, Direttore medico del Jonsson comprehensive cancer center clinical research unit e Direttore del Breast cancer clinical trials program all’università della California (Los Angeles). “Risultati importanti come questi con ribociclib sono ciò che desideriamo osservare in ogni studio clinico e ottenere un miglioramento della sopravvivenza in una malattia non guaribile come il tumore della mammella metastatico è veramente un eccezionale avanzamento per le pazienti”.

Susanne Schaffert, ceo Novartis Oncology, ha aggiunto che “Ribociclib è l’unico inibitore CDK4/6 ad ottenere una sopravvivenza globale statisticamente significativa quando somministrato in combinazione con la terapia endocrina e siamo veramente orgogliosi di condividere questi importanti dati con la comunità dei medici. Questi emozionanti risultati si aggiungono alla provata efficacia e al profilo di sicurezza di ribociclib e li consolidano come standard di cura per le donne che vivono con un tumore della mammella metastatico HR+/HER2-“.

Primo trapianto di faccia in Italia: la Medicina si avvicina all’impossibile Lunedì Conferenza stampa al Sant’Andrea

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La Medicina si avvicina sempre più all’impossibile.    Primo trapianto di faccia in Italia.     La novità proviene dall’Azienda ospedaliera Sant’Andrea di Roma  dove è stato eseguito l’intervento  su una paziente di 49 anni, affetta da neurofibromatosi di tipo I, una malattia genetica che interessa manifestazioni a livello cutaneo, oculare e nervoso. Una donatrice di 21 anni ha reso possibile la sperimentazione scientifica. Sì perchè si tratta di un protocollo sperimentale, autorizzato dal Cnt dopo l’acquisizione del parere positivo del Consiglio superiore di sanità.

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Le équipe per il prelievo del tessuto facciale da donatore deceduto e per il successivo trapianto sono dirette dal professor Fabio Santanelli di Pompeo, responsabile dell’Unità operativa di Chirurgia plastica del Sant’Andrea, e dal dottor Benedetto Longo, della stessa unità operativa. Lunedì alle 14.30 i medici spiegheranno l’evento scientifico in una una conferenza stampa al Sant’Andrea.

Si ridurranno i viaggi della speranza da Sud a Nord

 

PATOLOGIE NEUROMUSCOLARI, NeMO SUD RADDOPPIA

Da 10 a 20 posti letto, nuovi ambulatori e una palestra per persone affette da SLA, SMA
e distrofie muscolari: così verrà potenziato il polo d’eccellenza sanitario del Sud Italia

 

Un importante passo avanti per la sanità siciliana e di tutto il Sud Italia: il NeMO di Messina, centro d’eccellenza multidisciplinare e polo di riferimento per la presa in carico di persone affette da patologie neuromuscolari, a cinque anni dalla sua apertura raddoppia i posti letto e potenzia l’offerta.

Questo significa minori tempi di attesa per i ricoveri, nuove stanze per gli utenti, un’ampia palestra, nuovi colori e soprattutto una significativa riduzione dei viaggi della speranza da Sud verso Nord.

In Italia vi sono attualmente 4 Centri NeMO – Messina (presso il padiglione B del Policlinico “G. Martino”), Milano, Arenzano e Roma – ed è in apertura quello di Torino: «NeMO è un modello vincente di buona sanità che ha dimostrato di essere replicabile in territori anche differenti tra loro – sottolinea Alberto Fontana, presidente dei Centri Clinici NeMO – oggi infatti i NeMO sono una rete di centri clinici dedicati alle malattie neuromuscolari. Il territorio siciliano ci ha dato grande fiducia e generosità: ogni nuova stanza è stata donata da aziende o da privati che hanno voluto così testimoniare la loro vicinanza a NeMO e ai suoi pazienti. La promessa è che non ci fermeremo qui. Vogliamo fare sempre di più e meglio per essere sempre più vicini alle persone con malattia neuromuscolare e alle loro famiglie, certi che il percorso intrapreso sia quello giusto».

NeMO SUD coniuga assistenza e ricerca, identificando – attraverso un approccio multidisciplinare – metodi diagnostici e strategie terapeutiche per persone affette da patologie neuromuscolari quali la SLA, la SMA e le distrofie muscolari. Al suo interno, grazie all’ampliamento, 20 posti lettoun’ampia palestra, day hospital e ambulatori.

Venerdì 16 febbraio, alle 10.15, presso l’Aula Magna padiglione B del Policlinico di Messina, la cerimonia di inaugurazione dei nuovi spazi coinvolgerà non solo operatori e professionisti del settore, ma anche sostenitori e rappresentanti delle istituzioni locali e nazionali. L’appuntamento che darà inizio alla giornata prevede, tra gli altri, gli interventi del sottosegretario Ministero della Salute Davide Faraone, dell’Assessore alla Salute della Regione Sicilia Ruggero Razza e del direttore generale dell’Agenzia Italiana del Farmaco Mario Melazzini (primo presidente Fondazione Aurora Onlus).

 

Alla scoperta della vita: miracolo della medicina, un esame del sangue può captare tutti i tipi di tumore

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Altro miracolo consentito da Dio all’uomo per  captare tutti i tipi di tumore attraverso un semplice esame del sangue. Il team della Johns Hopkins University di Baltimora sta infatti testando un metodo in grado di scoprire la presenza, per ora, di otto forme della malattia, che potrebbe essere eseguito, una volta messo a punto definitivamente, una volta l’anno come screening di massa. E salvare veramente tante vite, riporta ‘Science’.

I tumori – si apprende  – rilasciano piccolissime tracce del loro Dna mutato nel flusso sanguigno, oltre ad alcune proteine. L’innovativo esame, chiamato ‘The CancerSeek’, va a verificare la presenza di mutazioni in 16 geni su cui normalmente i tumori vanno a influire e su 8 proteine che la malattia stimola. Il test è stato applicato su 1.005 pazienti affetti da cancro all’ovaio, al fegato, allo stomaco, al pancreas, all’esofago, al colon, al polmone e al seno, non diffusi ad altri organi.

 L’analisi – è qui il dato sorprendente –  ha scovato il 70% delle neoplasie, e fra l’altro con un costo molto limitato, circa 500 dollari a paziente, equivalente al prezzo di una colonscopia. Cristian Tomasetti, uno dei ricercatori, ha spiegato alla Bbc che questo test potrebbe avere davvero “un enorme impatto sulla riduzione della mortalità per cancro. Fra queste neoplasie, infatti, ve ne sono alcune che non dispongono di programmi di screening precoce. Si pensi al cancro del pancreas, che dà luogo a pochi sintomi e per questo viene scoperto sempre in fase avanzata”. CancerSeek sarà ora testato su persone sane.