Operazione “FOX”. Carabinieri -Sequestro patrimoniale

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 Trapani – Marsala (TP),
La Procura della Repubblica di Marsala e i Carabinieri della locale Compagnia hanno dato esecuzione ad un decreto di sequestro preventivo di beni mobili ed immobili riconducibili ad un cittadino marsalese classe ‘75, già arrestato lo scorso 9 maggio nell’ambito dell’operazione “Fox” che ha portato all’esecuzione di un’ordinanza applicativa di misure cautelari nei confronti di 11 indagati, gravemente indiziati dei delitti di traffico e spaccio di sostanze stupefacenti (cocaina) sull’asse Catania-Marsala. 
Il nuovo provvedimento trae origine dagli accertamenti disposti dalla Procura di Marsala ed affidate ai Carabinieri della Sezione Operativa della locale Compagnia che, attraverso indagini patrimoniali, ritengono che i beni oggetto di sequestro siano il provento del lucroso traffico di cocaina o comunque abbiano un valore sproporzionato rispetto al reddito dichiarato dall’indagato.
L’uomo infatti, disoccupato e percettore del reddito di cittadinanza, secondo la ricostruzione degli inquirenti, avvalendosi di prestanome o parenti stretti per eludere le indagini patrimoniali, avrebbe avuto la diretta disponibilità, insieme alla moglie, di due immobili, una casa su tre livelli e un chiosco adibito a bar, peraltro costruiti abusivamente, e vari beni mobili (due auto e due ciclomotori), di valore non giustificabile rispetto ai redditi dichiarati.
L’ipotesi investigativa è che l’indagato si sia procurato i beni mobili ed abbia costruito gli immobili con il provento della lucrosa attività di traffico di droga, intestandoli a persone a lui vicine per rapporti di parentela o di amicizia proprio per non destare sospetti. 

Stop alle infiltrazioni alla “ndrangheta” e associazioni mafiose

Confiscati beni per un valore di circa 160 milioni di euro

La Guardia di Finanza confisca beni per un valore di circa 160 milioni di euro 

 

Reggio Calabria,

Militari dei Comandi Provinciali della Guardia di Finanza e dei Carabinieri di Reggio Calabria, unitamente a personale della D.I.A. e dello S.C.I.C.O., con il coordinamento della locale Procura della Repubblica – Direzione Distrettuale Antimafia, diretta dal Dott. Giovanni Bombardieri, stanno dando esecuzione a un provvedimento emesso dalla Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria che dispone l’applicazione della misura di prevenzione patrimoniale della confisca di beni – per un valore complessivo stimato in oltre 160 milioni di euro – riconducibili ad un imprenditore reggino, operante nel settore edile.

Secondo quanto emerso dalle indagini, il proposto, dalla metà degli anni ’80 al 2017, avrebbe avviato e consolidato nel territorio reggino il suo ruolo di imprenditore nel settore edile, facendo leva sul sostegno di storiche locali di ‘Ndrangheta, dapprima su quella dei L. e dagli anni 2000 in avanti su quella dei D.

Tali evidenze erano emerse, tra le altre, nell’ambito delle operazioni “Monopoli” e “Martingala”.

La prima, eseguita dal Comando Provinciale dei Carabinieri di Reggio Calabria, ha fatto luce su un sistema di cointeressenze criminali coltivate da imprenditori reggini che, sfruttando l’appoggio di cosche cittadine, sarebbero riusciti ad accumulare, in modo del tutto illecito, enormi profitti prontamente riciclati in fiorenti e diversificate attività commerciali. Le indagini sono culminate, nel 2018, con l’esecuzione di provvedimenti restrittivi personali nei confronti di 4 soggetti per i reati – tra gli altri – di cui all’art. 416 bis c.p. (associazione per delinquere di tipo mafioso), 12 quinquies D.L. 306/92 (oggi 512 bis c.p.) (trasferimento fraudolento di valori) e art. 648 ter 1 c.p. (autoriciclaggio) aggravati dall’agevolazione mafiosa di cui all’art. 7 D.L. 152/1991 (oggi 416 bis 1 c.p.), nonché reali su compendi aziendali di imprese/società, beni mobili e immobili, per un valore complessivo stimato in 50 milioni di euro.

In tale ambito, il proposto – allo stato e fatte salve successive valutazioni in merito all’effettivo e definitivo accertamento della responsabilità – è stato condannato in primo grado alla pena di anni 12 di reclusione e alla misura di sicurezza della libertà vigilata per anni 3, in ordine al reato di concorso esterno in associazione mafiosa.

Tra l’altro, l’attività investigativa avrebbe consentito di appurare come il citato imprenditore avesse stretto un patto sinallagmatico con l’organizzazione criminale e, in particolare, con la cosca De Stefano, in base al quale egli aveva espanso le sue attività economiche a carattere speculativo immobiliare, imponendosi come uno dei principali imprenditori cittadini in tale settore e consentendone l’infiltrazione alla ‘ndrangheta.

La seconda è stata, invece, condotta dal locale Centro Operativo della D.I.A. e dal G.I.C.O. del Nucleo di Polizia Economico Finanziaria di Reggio Calabria nei confronti di un articolato sodalizio criminale dedito alla commissione di gravi delitti tra cui, a vario titolo, quelli di associazione mafiosa, riciclaggio, autoriciclaggio e associazione a delinquere finalizzata all’emissione di false fatturazioni, con l’aggravante, per alcuni di essi, del metodo mafioso. L’attività è stata conclusa nel 2018 con l’esecuzione di provvedimenti restrittivi personali nei confronti di 27 persone, nonché di provvedimenti cautelari reali nei confronti di 51 società – anche estere – partecipazioni sociali, beni mobili e immobili e disponibilità finanziarie per un ammontare complessivo stimato in circa € 119.000.000.

In tale ambito, in relazione al proposto, sarebbero emersi indizi in ordine alla commissione di reati tributari posti in essere mediante un indebito risparmio d’imposta che avrebbe consentito all’imprenditore di produrre illeciti profitti da reinvestire anche nelle proprie attività aziendali.

Alla luce delle richiamate evidenze, la locale Direzione Distrettuale Antimafia – sempre più interessata agli aspetti economico-imprenditoriali legati alla criminalità organizzata – ha delegato il Gruppo Investigazione Criminalità Organizzata (G.I.C.O.) della Guardia di Finanza, il Nucleo Investigativo dei Carabinieri ed il locale Centro Operativo D.I.A. a svolgere apposita indagine a carattere economico/patrimoniale finalizzata all’applicazione, nei confronti del citato imprenditore, di misure di prevenzione personali e patrimoniali.

L’attività in rassegna, anche valorizzando le risultanze delle pregresse indagini, ha consentito di ricostruire le acquisizioni patrimoniali effettuate dall’anno 1985 all’anno 2017 e di rilevare, attraverso una complessa e articolata attività di riscontro, anche documentale, il patrimonio direttamente e indirettamente nella disponibilità dell’imprenditore, il cui valore sarebbe risultato sproporzionato rispetto alla capacità reddituale manifestata.

Nel mese di ottobre 2019 la Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria, ha disposto, di conseguenza, il sequestro del patrimonio riconducibile al citato imprenditore e, successivamente, riconoscendo la validità dell’impianto indiziario, con il provvedimento in esecuzione ha decretato – allo stato del procedimento ed impregiudicata ogni diversa successiva valutazione nel merito – l’applicazione della misura di prevenzione patrimoniale della confisca dell’intero compendio aziendale di 7 tra imprese e società commerciali attive nel settore edile/immobiliare – comprensivo, altresì, di 99 immobili e 16 veicoli – quote di partecipazione al capitale di 2 società attive nei settori edile e turistico, 234 tra terreni e fabbricati, beni mobili, nonché disponibilità finanziarie per un valore complessivamente stimato in oltre 160 milioni di euro.

Con il medesimo provvedimento, il locale Tribunale ha sottoposto l’imprenditore alla misura personale della sorveglianza speciale di Pubblica Sicurezza per la durata di anni 3, con obbligo di soggiorno nel comune di residenza o di dimora abituale.

L’attività di servizio in rassegna, frutto di una sinergica collaborazione tra Forze di Polizia, efficacemente coordinate dalla Procura Distrettuale reggina, testimonia l’elevata attenzione rivolta all’individuazione e alla conseguente aggressione dei patrimoni e delle disponibilità finanziarie illecitamente accumulati dalle consorterie criminali di stampo mafioso, allo scopo di arginare l’inquinamento del mercato e della sana imprenditoria, con l’intento di ripristinare adeguati livelli di legalità, trasparenza e sicurezza pubblica.

La Guardia di Finanza sequestra beni a un noto penalista per un valore di oltre dieci milioni di euro

 

I Finanzieri del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Bari stanno dando esecuzione a un decreto di sequestro preventivo – emesso, su richiesta della  Procura della Repubblica, dal competente G.I.P. del locale Tribunale – di beni, fra i quali prestigiosi immobili ubicati a Bari, nonché cospicue disponibilità finanziarie, del valore complessivo di oltre 10,8 milioni di euro.

Nel provvedimento è stata riconosciuta l’esistenza di un concreto quadro indiziario (accertamento compiuto nella fase delle indagini preliminari che necessita della successiva verifica processuale nel contraddittorio con la difesa) a carico di un noto avvocato penalista( nominativo non citato nel comunicato) del Foro di Bari, in relazione all’ipotesi di reato di dichiarazione infedele dell’i.v.a. e delle imposte sui redditi dovute all’Erario.

L’operazione odierna costituisce l’epilogo di articolate e complesse investigazioni svolte dal Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza di Bari – su delega di questa Procura della Repubblica – in seguito all’esecuzione di una misura cautelare personale nei confronti del predetto legale disposta dal Tribunale di Lecce per vari episodi di corruzione in atti giudiziari e al contestuale rinvenimento, presso l’abitazione del figlio, della somma pari a circa 1,1 milioni di euro in contanti, contenuti in tre zaini e in parte sigillati all’interno di buste sottovuoto.

Nel corso dell’interrogatorio di garanzia l’indagato ha riconosciuto come proprie tali somme di denaro, indicandole come i risparmi di vent’anni derivanti dai pagamenti dei clienti per l’attività professionale prestata. In tale contesto, alla presenza del Procuratore della Repubblica e del Presidente dell’Ordine degli avvocati di Bari, le Fiamme Gialle baresi hanno perquisito lo studio legale del penalista, ubicato in questo capoluogo, rinvenendo e acquisendo copiosa documentazione (tra cui 239 fascicoli processuali) utile all’identificazione della sua clientela e alla quantificazione del volume dei compensi professionali effettivamente percepiti.

Considerato che tra i numerosi assistiti vi erano anche soggetti divenuti collaboratori di giustizia, si è proceduto ad acquisirne le pertinenti dichiarazioni, secondo le quali l’onorario del penalista – per il solo studio del procedimento – ammontava a 10 mila euro, per raggiungere l’importo di 100 mila euro per il patrocinio in Cassazione a fronte di un’accusa per omicidio.

Pagamenti, questi, effettuati tutti per contanti, in violazione della normativa antiriciclaggio e senza il rilascio di alcun documento fiscale. Le dichiarazioni, tutte convergenti (allo stato, salvo la verifica successiva in fase dibattimentale con il contraddittorio della difesa), sono state riscontrate dalla documentazione in atti.

I conseguenti approfondimenti hanno, quindi, permesso di appurare la dichiarazione al Fisco di compensi per importi largamente inferiori rispetto a quanto dichiarato dai collaboratori di giustizia e rispetto ai parametri indicati nelle cosiddette “tabelle professionali”.

In esecuzione di una specifica delega di indagine emessa da questa Procura della Repubblica, il Gruppo Tutela Mercato Capitali del Nucleo PEF di Bari ha poi eseguito anche accurate indagini patrimoniali finalizzate a ricostruire l’effettiva capacità di spesa del nucleo familiare dell’indagato, risultata – nonostante i modesti redditi dichiarati, oscillanti nel periodo 2016-2019 tra i 60 e i 26 mila euro – particolarmente elevata, come dimostrato dall’acquisto e dal possesso di auto di lusso, di gioielli e di consistenti disponibilità finanziarie derivanti da titoli di credito, obbligazioni, depositi e conti correnti.

Secondo l’impostazione accusatoria accolta dal competente G.I.P. presso il Tribunale di Bari (fatta salva la valutazione nelle fasi successive con il contributo della difesa), come emerso dall’incrocio delle risultanze degli approfondimenti investigativi svolti, alla cui esecuzione hanno partecipato anche consulenti tecnici nominati da questa Procura della Repubblica, il penalista – tra il 2014 e il 2019 – avrebbe evaso l’i.v.a. e le imposte sui redditi dovute all’Erario per oltre 10,8 milioni di euro.

Tale condotta ha integrato il “fumus” del delitto di dichiarazione infedele, tenuto conto del superamento delle soglie di punibilità previste dalla norma violata. Ciò è risultato corroborato anche dagli esiti delle indagini finanziarie svolte dai Finanzieri di Bari nei confronti del professionista e dei componenti del suo nucleo familiare, che hanno evidenziato il versamento sui conti correnti ispezionati di denaro contante e assegni per un valore di oltre 1 milione di euro.

Il competente G.I.P. del Tribunale di Bari – condividendo l’analoga proposta avanzata dalla Procura della Repubblica, basata sul solido compendio indiziario acquisito dalla p.g. operante – ha ora emesso un decreto di sequestro preventivo di beni, anche nella forma per equivalente, per un importo di oltre 10,8 milioni di euro, pari alle imposte evase.

Contestualmente all’esecuzione del provvedimento di sequestro è altresì in corso la perquisizione dell’abitazione dell’indagato finalizzata all’individuazione di ulteriori beni da sottoporre a vincolo.

Gli esiti dell’attività d’indagine costituiscono un’ulteriore testimonianza del costante presidio economico-finanziario esercitato dalla Procura della Repubblica di Bari – in stretta sinergia con il locale Nucleo PEF Bari – per la repressione del grave fenomeno dell’evasione fiscale, a tutela dei cittadini, degli imprenditori e dei professionisti rispettosi delle regole, al fine di assicurare l’equità sociale quale condizione fondamentale del benessere della collettività, soprattutto nell’attuale periodo di crisi finanziaria correlata all’emergenza sanitaria da Covid 19.

Confiscati i beni del medico Guttadauro al servizio del boss di Brancaccio

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Con un decreto di confisca emesso dal Tribunale di Palermo, Sezione Misure di Prevenzione, notificato dai Carabinieri Ros, nei confronti di Giuseppe Guttadauro, il medico chirurgo condannato quale boss di Brancaccio,i beni confiscati, per un valore stimato pari a circa 600.000 euro, due società che operano nel settore della edilizia, di cui una titolare anche di 19 libretti al portatore , il Clan Brancaccio subisce un altro duro colpo

Il boss Giuseppe Guttadauro- già pluricondannato per il delitto di partecipazione ad associazione mafiosa -si apprende dagli investigatori  “è stato valutato quale soggetto sottoponibile a misura di prevenzione in presenza dei presupposti soggettivi previsti dalla normativa vigente”. Dal punto di vista oggettivo, il Tribunale ha ritenuto inoltre provata “l‘ammissibilità della proposta di confisca, la diretta riconducibilità dei beni al proposto e la sussistenza di sufficienti indizi che hanno indotto a ritenere che i beni siano stati frutto di attività illecite o che ne abbiano costituito il reimpiego e che comunque siano stati sottoposti alla diretta gestione economica e amministrativa da parte di Guttadauro”.

Nel corso delle indagini effettuate dal Ros, Guttadauro “era risultato essere il vertice del mandamento mafioso di Palermo-Brancaccio”. Con riferimento ai dati da cui origina il decreto che ha disposto la confisca, durante le indagini sono stati monitorati, captati e riscontrati i rapporti di Guttadauro con alcuni soggetti (titolari formali delle imprese ma di fatto prestanome dell’esponente mafioso), rapporti questi che hanno chiarito gli interessi diretti e il ruolo direttivo occulto svolto da Guttadauro nella gestione delle società confiscate.

Accertamenti patrimoniali sono stati pure effettuati per conoscere  le disponibilità economiche del proposto e dei congiunti, nonché dei formali intestatari delle imprese. “Gli esiti complessivi delle indagini svolte hanno permesso quindi di individuare l’epoca in cui sono state concretizzate la fittizia intestazione delle due società e il connesso occulto investimento da parte di Guttadauro, elementi questi che hanno infine portato alla emissione del provvedimento di confisca”.