MAFIA CATANIA, SI CHIAMA FRANCESCO RUSSO IL NUOVO REGGENTE BOSS “RISERVATO” DELLA FAMIGLIA SANTAPAOLA

FRANCESCO RUSSO ERA DIVENTATO IL REGGENTE DELLA “FAMIGLIA”  SANTAPAOLA

 

Si chiama Francesco Russo il boss  ” riservato”  che preferiva restare sottotraccia, in quell’”Ombra” che ha dato il nome dell’operazione antimafia della Polizia a Catania contro Cosa nostra etnea. Francesco Russo, 51 anni, preferiva avere un ruolo apparentemente delineato nel mondo della criminalità organizzata, mentre, secondo la Dda di Catania era diventato il reggente della “famiglia” Santapaola dopo un riassetto dei ruoli apicali dell’organizzazione. E’ quanto emerge dall’inchiesta dell’operazione “Ombra” di Squadra mobile di Catania e dello Sco che ha portato all’arresto di 23 indagati: 18 in carcere e cinque agli arresti domiciliari. Per due persone il Gip ha disposto l’obbligo di dimora.

RICORSO ALLA VIOLENZA PER AFFERMARSI NEL TERRITORIO

 

Russo, ricostruisce la Dda di Catania, «nonostante il ruolo di vertice che avrebbe ricoperto nel sodalizio, decideva di “operare nell’ombra”, per assicurarsi la riservatezza e la distanza dalle frange più strettamente operative e quindi esposte al rischio di indagini». Nuovi vertici, osserva la Procura, che «manifestavano la certa propensione a ricorrere sistematicamente alla violenza come strumento per ribadire la loro autorità criminale nei territori di loro “competenza” mafiosa». Tanto da fare irruzione, il 26 agosto del 2023, in uno stabilimento balneare di Aci Castello colpendo con violenza e ripetutamente al capo col calcio della pistola alcuni dei presenti, minacciandoli con l’arma puntata al volto.

 

Il successivo 9 settembre, sempre il gruppo della Stazione, avrebbe anche aggredito e minacciato di morte un giovane Santapaola, parente alla lontana della famiglia dello storico capomafia Benedetto, spiegando alla vittima che «nei suoi confronti non erano stati adottati provvedimenti più duri solo in virtù del suo cognome». Il 31 ottobre del 2023 lo stesso reggente Francesco Russo, dismettendo la consueta riservatezza, avrebbe gambizzato un uomo come «ritorsione per avergli mancato di rispetto durante un diverbio in ambito lavorativo».

Il ricorso alla violenza da parte degli esponenti di Cosa nostra catanese come strumento di affermazione sul territorio, ricostruisce ancora la Dda, portava a diversi episodi di fibrillazione con esponenti del contrapposto clan Cappello – Bonaccorsi, uno dei quali sfociava nella sparatoria avvenuta il 21 ottobre del 2023 nella zona del “Passarello” del rione San Cristoforo, storica roccaforte della cosca rivale, quando un esponente del clan Cappello-Bonaccorsi, Salvatore Pietro Gagliano, avrebbe esploso alcuni colpi d’arma da sparo contro alcuni esponenti del gruppo della Stazione. Quest’ultimo avrebbe progetto di uccidere Gagliano nonostante una serie di riunioni mafiose tra gli esponenti di vertice delle due organizzazioni per appianare il contrasto e scongiurare ulteriori e pericolose degenerazioni armate.

MARIO  ERCOLANO COMANDA DAL CARCERE

Indagini particolari non potevano mancare per Il boss ergastolano Mario Ercolano, esponente di spicco della “famiglia” Santapaola-Ercolano legata a Cosa nostra di Catania, avrebbe “continuato, dal carcere a esercitare pieni poteri decisori, mantenendo contatti quotidiani con gli affiliati, a cui impartiva precise disposizioni sulle strategie da adottare». E’ quanto emerge dall’inchiesta. Dalle indagini, osserva la Procura sarebbe emersa «la perdurante operatività dell’ergastolano Mario Ercolano» che avrebbe «deciso il riassetto dei ruoli apicali all’interno dei gruppi a lui riconducibili». Sarebbe stato il boss dal carcere, contesta l’accusa, a «determinare la designazione di Carmelo Daniele Strano come successore di Benito Privitera nel ruolo di responsabile del gruppo della Stazione, mentre Carmelo Fazio avrebbe preso il posto del fratello Salvatore come referente del Gruppo di Cibali».

Provvedimenti cautelari per traffico illecito di rifiuti su richiesta della DDA

La Cina dal 1° gennaio vieta l'importazione di rifiuti. Ma ...
Archivi-Sud Libertà
 – Reggio Calabria e Cosenza,

Nelle province di Reggio Calabria e Cosenza, i Carabinieri Nucleo Operativo Ecologico di Reggio Calabria hanno dato esecuzione ad un provvedimento cautelare reale, emesso dal GIP di Reggio Calabria su richiesta della locale DDA, nei confronti di 7 persone giuridiche e 2 persone fisiche, poiché ritenute responsabili, a vario titolo, di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti in concorso.

Il provvedimento prevede il sequestro preventivo delle quote del patrimonio sociale e dell’intero compendio aziendale di 7 società ubicate nelle province di Reggio Calabria e Cosenza, nonché il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti di due imprenditori reggini, considerati al vertice dell’organizzazione criminale. Il valore complessivo dei beni mobili e immobili da sottopone a sequestro ammonta a circa 20 milioni di euro. È stata documentata l ‘attività di imprenditori reggini che, attraverso società direttamente gestite, sprovviste di autorizzazione al trattamento dei rifiuti nonché alla successiva trasformazione degli stessi in “materia prima seconda”, spedivano agli altri soggetti imprenditoriali rifiuti senza il preventivo trattamento, utilizzando il DDT (documento di trasporto) di modo da farli risultare merci e così eludere i controlli sulla tracciabilità dei rifiuti, consentendo altresì l’abbattimento dei costi derivanti dal loro corretto trattamento.

Mafia, spaccio di droga ed estorsioni,usura e tanti altri reati penali, 25 indagati nel clan Ercolano-Santapaola, Cosa nostra etnea

 

Un’ordinanza di custodia cautelare è stata notificata dalla Polizia di Catania nei confronti di 25 persone indagate nell’ambito dell’inchiesta Ombra della Dda di Catania contro appartenenti della frangia degli Ercolano che con la cosca Santapaola compongono la famiglia di Cosa nostra etnea.

Tra i destinatari anche esponenti di vertice del clan, compreso il nuovo reggente di Cosa nostra di Catania. Il provvedimento ipotizza a vario titolo i reati di associazione mafiosa, estorsioni, traffico e spaccio di sostanze stupefacenti, porto e detenzione illecita di armi da sparo, usura, lesioni personali aggravate dall’uso di armi da sparo. Il provvedimento del Gip, emesso su richiesta della Direzione distrettuale antimafia della Procura distrettuale etnea, è eseguito da personale dello Servizio centrale operativo e della Squadra mobile della Questura di Catania con il coordinamento della Direzione centrale Anticrimine della Polizia. Particolari sull’operazione Ombra saranno resi noti durante un incontro con la stampa  nella sala riunione della Questura di Catania.

L’uccisione di Lorena Quaranta, la studentessa a Furci Siculo, la Corte di Cassazione annulla ergastolo per ex fidanzato: «Stressato dal Covid»

 

Lorena Quaranta, la Cassazione annulla l'ergastolo per il femminicidio: il  fidanzato “era stressato per il Covid”

 

I giudici di merito non avrebbero verificato se la specificità del contesto, il periodo Covid e la difficoltà di porvi rimedio costituiscano fattori incidenti sulla misura della responsabilità penale». È il ragionamento dei giudici della Corte di Cassazione, nelle motivazioni sulla decisione di annullare con rinvio, limitatamente all’applicabilità delle attenuanti generiche, la condanna all’ergastolo per l’infermiere calabrese Antonio De Pace per l’uccisione di Lorena Quaranta, la studentessa di Medicina, originaria di Favara, in provincia di Agrigento. La giovane fu strangolata dal fidanzato, che ha confessato in una villetta di Furci Siculo (Messina), il 31 marzo 2020. Il femminicidio si verificò nella prima fase della pandemia di Covid-19. Ed è proprio a quel periodo particolare che per i giudici bisogna guardare. L’emergenza e le restrizioni, come è stato ricostruito nella sentenza, avrebbero inciso sull’animo dell’infermiere.

«Deve stimarsi –  che i giudici di merito non abbiano compiutamente verificato se, data la specificità del contesto, possa, ed in quale misura, ascriversi all’imputato di non avere efficacemente tentato di contrastare lo stato di angoscia del quale era preda e, parallelamente, se la fonte del disagio, evidentemente rappresentata dal sopraggiungere dell’emergenza pandemica con tutto ciò che essa ha determinato sulla vita di ciascuno e, quindi, anche dei protagonisti della vicenda, e, ancor più, la contingente difficoltà di porvi rimedio costituiscano fattori incidenti sulla misura della responsabilità penale».

 

 

 

Elicotteri dei Carabinieri rinvengono dall’alto quattro piantagioni di marijuana a San Pietro di Caridà, a Reggio Calabria: oltre 2500 piante distrutte, evitata la produzione di 500.000 dosi –

 

elicotteri dei carabinieri Off 63%

 

 

Reggio Calabria

Nell’ambito di un servizio di controllo del territorio finalizzato all’individuazione di piantagioni di canapa indica, i Carabinieri della Compagnia di Gioia Tauro, assieme ai militari del Nucleo Elicotteri di Vibo Valentia, hanno rinvenuto quattro piantagioni di cui una di notevoli dimensioni.
Grazie alla visione dall’alto, infatti, i militari sono stati in grado di individuare le piantagioni, tutte rinvenute in aree rurali, completamente nascoste alla vista e con un sistema di irrigazione ottenuto tramite due metodi diversi. In un caso, l’acqua per annaffiare la piantagione era fornita tramite un articolato sistema idrico che faceva uso di una vasca e di un serbatoio, ciascuno della capienza di circa 500 litri. Da questi la fornitura idrica era ottenuta tramite un tubo interrato collegato abusivamente al sistema idrico comunale. Le altre tre piantagioni, invece, avevano direttamente accesso all’acqua del fiume tramite una serie di tubi che permettevano l’irrigazione.
Tra le piante di canapa rinvenute, i Carabinieri hanno individuato due tipologie distinte: alcuni arbusti raggiungevano altezze variabili tra i 100 e i 250 cm, mentre circa 1200 piante appartenevano alla varietà “nana”, con fusti di circa 70 cm.
Il rinvenimento ha permesso di estinguere quattro luoghi di coltivazione di marijuana che sarebbe stata immessa nel mercato illegale della droga per un illecito guadagno di decine di migliaia di euro.
Questi controlli, che si intensificheranno ancora nei prossimi giorni in tutta la provincia reggina, permettono di mandare un messaggio chiaro di contrasto al mercato illegale della droga. L’Arma continuerà a rappresentare un presidio di legalità e giustizia contro ogni forma di illegalità.
I Carabinieri non solo combattono le attività delittuose ma sono anche impegnati quotidianamente in attività di prossimità. Essi svolgono un ruolo fondamentale nel garantire la sicurezza e il benessere delle comunità locali attraverso incontri con i cittadini, attività educative nelle scuole e iniziative volte a promuovere la cultura della legalità. L’Arma dei Carabinieri continua a lavorare fianco a fianco con i cittadini, ascoltando le loro preoccupazioni e rispondendo alle loro esigenze per costruire insieme una società più sicura e giusta.

 

Nei guai due imprenditori vicini alla Mafia -Sequestrati beni per 5 milioni di euro e perquisizioni tra Roma, Catania, Messina, Firenze, Napoli, Catanzaro.

 

DIREZIONE INVESTIGATIVA ANTIMAFIA – VIS UNITA FORTIOR

 

Scatta l’arresto per due  imprenditori  per «contiguità con un clan di Cosa Nostra» dopo un’indagine della Dia di Milano che ha portato all’esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip di Milano su richiesta della Dda.

I due, secondo gli inquirenti,  «attraverso società principalmente operanti nel settore edilizio a Milano» avrebbero «consentito l’operatività di realtà imprenditoriali riconducibili a Cosa Nostra e ciò con specifico riferimento al sodalizio mafioso dei barcellonesi, operante nella provincia di Messina».

Sequestrati beni per 5 milioni di euro e perquisizioni tra Roma, Catania, Messina, Firenze, Napoli, Catanzaro.

«In particolare – informa  la Dia – i destinatari della misura restrittiva, già colpiti in passato da misure di prevenzione patrimoniali sarebbero responsabili, in concorso con altri soggetti, di condotte fraudolente finalizzate all’intestazione fittizia di diverse società aggiudicatarie di appalti pubblici, sull’intero territorio nazionale, alcuni dei quali di ingente importo e/o finanziati con fondi del Pnrr, senza incorrere nelle misure interdittive delle autorità prefettizie. Una volta ottenuta l’aggiudicazione delle commesse, spesso in associazione temporanea con altre imprese, le società riconducibili agli indagati provvedevano poi a conferire l’esecuzione materiale dei lavori ad altre società, anche con sede in Calabria.

La complessa attività, svolta anche mediante l’ausilio di indagini tecniche e servizi di osservazione e pedinamento, è stata diretta dalla Direzione Distrettuale Antimafia del Tribunale di Milano e coordinata dal II Reparto della Direzione Investigativa Antimafia.

Gli  accertamenti economico-patrimoniali svolti in stretta collaborazione con il Gruppo di Investigazione sulla Criminalità Organizzata (Gico) del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza di Milano  hanno motivato pure  il sequestro preventivo in via d’urgenza di compendi aziendali, beni immobili e conti correnti per un valore complessivo stimato in 5 milioni di euro.

L’esecuzione delle misure insieme a numerose perquisizioni, ha interessato diverse regioni e ha visto la partecipazione dello stesso Gico della Guardia di Finanza di Milano nonché di personale dei centri operativi Dia di Roma, Catania, Messina, Firenze, Napoli, Catanzaro».

Usura, estorsione e abusiva attività finanziaria – Ordinanza del Tribunale di Bari – Misure cautelari personali nei confronti di 6 soggetti

 

 

I  finanzieri del Comando Provinciale di Bari  hanno dato  esecuzione a un’ordinanza, emessa dal G.I.P. del locale Tribunale su richiesta della Procura della Repubblica di Bari, applicativa di misure cautelari personali nei confronti di 6 soggetti (di cui 3 agli arresti domiciliari e 3 destinatari dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria).

Le persone attinte dai provvedimenti restrittivi sono indagate, a vario titolo, per i reati di usura aggravata, estorsione e abusiva attività finanziaria (accertamento compiuto nella fase delle indagini preliminari che necessita della successiva verifica processuale nel contraddittorio con la difesa).

L’odierna operazione costituisce l’epilogo di articolati approfondimenti investigativi, coordinati dall’Ufficio giudiziario – eseguiti dai Finanzieri del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Bari e della Compagnia di Altamura – che hanno consentito di disvelare l’esistenza di una “rete” di prestiti usurari concessi in favore di più soggetti, anche esercenti attività imprenditoriale, nel territorio tra Altamura e Gravina in Puglia.

In particolare, le investigazioni sono state avviate a seguito delle dichiarazioni rese da un imprenditore, in gravi difficoltà economiche, il quale aveva denunciato di essere stato vittima di usura nonché destinatario di gravi e reiterate minacce da parte di un soggetto residente a Gravina in Puglia (BA), conosciuto per il tramite di alcuni mediatori.

I conseguenti riscontri, sviluppati dai Finanzieri mediante intercettazioni telefoniche e ambientali, perquisizioni eseguite nel luglio del 2022 (con sottoposizione a sequestro probatorio di contanti e decine di titoli di credito, tra cui cambiali in bianco), pedinamenti ed escussione di persone informate dei fatti, hanno consentito l’acquisizione di un corposo e grave quadro indiziario risultato funzionale alla puntuale ricostruzione delle condotte illecite e dei differenti profili di responsabilità.

In particolare – secondo l’impostazione accusatoria accolta dal G.I.P. del Tribunale barese (allo stato, fatta salva la valutazione nelle fasi successive con il contributo della difesa) – gli accertamenti svolti avrebbero consentito di dimostrare:

– l’ottenimento, nel 2017 e nel 2019, da parte di un imprenditore altamurano di due prestiti di denaro, per un valore complessivo pari a euro 120.000 euro, con l’applicazione di tassi di interesse annui oscillanti tra il 120% e oltre il 2.000% annui.

In tale contesto, è stato rilevato, altresì, che l’usuraio: avrebbe costretto la vittima a pagare gli interessi anche ricorrendo a violenze e minacce a danno della sua persona nonché dei propri stretti familiari; si sarebbe avvalso di altri soggetti, ognuno con uno specifico ruolo, al fine di riscuotere materialmente le somme oggetto dell’illecito finanziamento, reperire la provvista in contanti necessaria a finanziare i prestiti elargiti, gestire la contabilità, nonché garantire il necessario supporto logistico (autista per recarsi agli appuntamenti con gli usurati, disponibilità di un locale per le riunioni, custodia della contabilità e ricezione dei pagamenti).

– ulteriori episodi posti in essere da alcuni degli odierni indagati nei confronti di altre vittime con l’applicazione di tassi di interesse annui fino al 120% annuo, quindi superiori al tasso soglia previsto dalla legge.

Si precisa, infine, che il procedimento penale pende nella fase delle indagini preliminari e, pertanto, le persone attinte dai provvedimenti cautelari non sono state ancora rinviate a giudizio né condannate per i reati così come a loro contestati.

TRAPANI,TRUFFE AGLI ANZIANI: ARRESTATO UN ALTRO TRUFFATORE CHE SI SPACCIAVA PER CARABINIERE

 

Foto vista posteriore di un uomo in piedi per strada

 

 – Trapani,
I Carabinieri della Compagnia di Alcamo hanno arrestato un pregiudicato 49enne, colto in flagranza all’interno dell’abitazione di un’anziana donna mentre perpetrava una truffa con il “modus operandi” del sedicente Carabiniere/Avvocato.
I militari della Compagnia di Trapani, in servizio perlustrativo nei pressi dell’ospedale, notavano una vettura procedere in senso contrario con a bordo una donna in evidente stato di agitazione. Approfondito il controllo, la donna dichiarava che si stava recando presso il nosocomio trapanese in quanto un sedicente “Carabiniere”, che in quel momento era a casa della madre, l’aveva informata di un incidente stradale occorso al padre e che lo stesso versava in fin di vita presso il pronto soccorso dell’ospedale trapanese.
I Carabinieri di Trapani, insospettiti dalla dinamica poco chiara, verificavano immediatamente che non si era verificato alcun incidente e, congiuntamente ai militari della Compagnia di Alcamo, si recavano presso l’abitazione dell’anziana donna ove fermavano il 49enne mentre tentava di scappare da un’uscita secondaria dell’abitazione.
La successiva perquisizione personale permetteva di rivenire la fede nuziale e un sacchetto contenente numerosi monili in oro che l’uomo si era fatto consegnare dall’anziana donna. Tutta la refurtiva veniva restituita.
A seguito degli ulteriori approfondimenti, anche grazie alla visione delle immagini della videosorveglianza urbana, il 49enne sarebbe risultato presunto autore di analoghi fatti criminosi anche a Trapani dove, qualificandosi quale sedicente “Carabiniere”, si sarebbe fatto consegnare altri monili in oro e contanti da altre vittime.

L’uomo a seguito dell’arresto e dell’udienza di convalida è stato tradotto presso il carcere di Trapani.

L’odierno arresto è il frutto dall’incessante sforzo investigativo dei Carabinieri della provincia di Trapani che, per contrastare il grave fenomeno delle truffe in danno di persone vulnerabili che sta interessando il territorio:
– hanno proceduto, lo scorso mese di giugno, all’arresto di altri due soggetti che avrebbero messo a segno truffe a Trapani con il medesimo “modus operandi”;
– svolgono incontri formativi presso parrocchie, sedi comunali e strutture assistenziali o ricreative, al fine di illustrare il modus operandi di questi individui senza scrupoli fornendo utili consigli su come riconoscere sul nascere un tentativo di truffa e come comportarsi;
Di recente, per sensibilizzare e rafforzare l’attenzione sulla tematica, il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri ha avviato una campagna di comunicazione diretta alla popolazione maggiormente colpita da questo tipo di reati con la partecipazione del celebre attore Lino Banfi.

CAPORALATO E LAVORO IN NERO IN SICILIA – IMPRESE E LAVORATORI IRREGOLARI – SANZIONI 100 MILA EURO- CONTROLLI A TUTTO CAMPO DEI CARABINIERI

 

Sanzioni amministrative | Camera di commercio di Torino

 

 – Palermo,
Nell’ambito del piano nazionale della lotta al lavoro sommerso disposto a livello centrale, i Carabinieri del Nucleo Ispettorato del Lavoro di Palermo, in sinergia con i colleghi dell’Arma territoriale e dell’9° Nucleo Elicotteri Carabinieri, insieme agli Ispettori Nazionali del Lavoro, distaccati presso il Dipartimento Generale del Lavoro in Sicilia dalla scorsa estate e da funzionari ispettivi dell’Ispettorato Territoriale del Lavoro di Palermo, hanno controllato diverse aziende agricole del capoluogo e della provincia.
Il servizio è stato effettuato per contrastare il fenomeno del caporalato e l’abuso del lavoro sommerso, realtà che attingono dal tessuto produttivo ed economico del Paese, reclutando sul territorio individui particolarmente suscettibili allo sfruttamento in quanto, spinti ad accettare anche le peggiori condizioni di lavoro pur di non precludersi la strada verso un regolare permesso di soggiorno, finanche garantirsi, molto più semplicemente, la mera sopravvivenza in ragione delle condizioni di estremo bisogno in cui versano.
Interessate dall’attività ispettiva sono state 4 imprese del settore agricolo, tutte risultate irregolari; le violazioni maggiormente riscontrate sono state la mancata formazione dei lavoratori, l’assenza di sorveglianza sanitaria, così come la mancata nomina del responsabile della sicurezza.
In sede di ispezione è stata accertata anche la presenza di 14 lavoratori irregolari o in nero su un totale di 16 controllati, di cui anche 4 minori extracomunitari senza ancora il permesso di soggiorno.
Sono state elevate sanzioni amministrative per quasi 100.000 euro.
In tutti i casi si è provveduto nei confronti degli imprenditori titolari delle aziende, anche a comminare il provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale, impedendo, così, alle ditte, di continuare a lavorare in circostanze di illegalità riguardanti le posizioni lavorative dei propri dipendenti.

BLATTE E FORMICHE CHE CAMMINAVANO IN UN LABORATORIO- RISTORANTE DI CATANIA ADDETTO ALLA VENDITA DI “KEBAB” -SEQUESTRO E DENUNCIA DEI CARABINIERI

Kebabbaro" da incubo in via Etnea tra sporcizia e blatte ...

Carabinieri nel corso  del controllo sulle condizioni “igieniche” del ristorante

Catania

La cucina e il cibo degli orrori è stato scoperto dai carabinieri della Compagnia di Piazza Dante a seguito di un controllo effettuato insieme ai colleghi del Nucleo Antisofisticazioni e Sanità di Catania e al personale dell’Asp di Catania. Il ristorante specializzato nella produzione e nella vendita di kebab situato nella centrale via Etnea è risultato in pessime condizioni igienico-sanitarie riscontrando la presenza di polvere insetticida sul bancone di lavoro del laboratorio, accanto a circa 5 kg di verdure pronte per essere tagliate.

Ma di più, i Carabinieri hanno riscontrato pure la presenza di blatte e formiche che camminavano su attrezzature sporche e incrostate di unto non rimosso da tempo, nonché fuliggine e ragnatele sui muri.

La zona di cottura degli alimenti era dotata di cappe prive dei filtri per l’aspirazione, pertanto il grasso derivante dalla preparazione dei cibi si era riversato sui muri e sugli oggetti presenti. I militari hanno poi accertato che nei congelatori gli alimenti di diverso tipo, come carne, pesce e verdure, erano ammassati tanto da divenire un unico blocco di ghiaccio del peso di 150 kg. In questi freezer venivano conservati anche i kebab già pronti e, in particolare, ce n’erano 2 da 15 kg ciascuno, ricoperti da cristalli di ghiaccio, perché mal conservati.

In un altro frigorifero, invece, spento, erano stati posizionati vassoi pieni di condimenti come olive, peperoni, wurstel già farciti con maionese e cipolla caramellata, oltre a un vassoio contenente 1,5 kg di verdure già cotte, ovvero tutti cibi che necessitano di essere refrigerati. I carabinieri hanno sequestrato tutta la merce, che verrà destinata alla distruzione, denunciato la titolare dell’attività, una straniera 28enne, e disposto la chiusura immediata dell’attività, con intimazione a non riprendere l’attività sino a che non saranno ripristinate le condizioni igienico sanitarie previste.