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Catania,
Documenti falsi e dichiarazioni non veritiere per rientrare nell’istituto del Reddito della cittadinanza. Scoperta inevitabile prima o poi. Carabinieri del Comando Provinciale di Catania, al termine di una complessa attività investigativa intrapresa congiuntamente alla Direzione Provinciale dell’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale (I.N.P.S.), hanno denunciato alla Procura Distrettuale della Repubblica di Catania 267 indebiti percettori del Reddito di Cittadinanza, distribuiti su tutta la provincia etnea.
Le indagini, partite da soggetti che non avevano dichiarato di essere già riscossori dell’“Indennità di disoccupazione agricola”, hanno poi accertato altri escamotage per ottenere il beneficio. Oltre infatti alle false attestazioni su composizione e redditi dei nuclei familiari, i militari dell’Arma e il personale dell’INPS hanno scovato anche diversi extracomunitari che incassavano il sussidio, pur non residenti in Italia da almeno 10 anni. Tra questi, emblematico il caso di un 44enne di Gravina di Catania, che pur vivendo con il padre in una casa popolare (per la quale il genitore non versa il canone da quasi 30 anni), ha falsamente asserito di dover pagare 500 euro mensili d’affitto, al fine di ottenere una quota maggiorata del beneficio.
Nei 267 deferiti, figurano numerosi soggetti gravati da pregiudizi per gravi reati come “associazione per delinquere finalizzata al traffico di droga e all’immigrazione clandestina”, “estorsione”, “rapina”, “riciclaggio”, “maltrattamenti in famiglia” e “atti persecutori”. Presenti inoltre anche alcuni parcheggiatori abusivi e ben 11 appartenenti alla etnia semi-nomade dei “Camminanti di Adrano”.Il recupero della somma indebitamente percepita a oltre 1,3 Milioni di Euro.
Oltre agli odierni indagati, il Comando Provinciale di Catania, sin dal 2021, ha già deferito ulteriori 640 persone che godevano senza diritto del “Reddito di Cittadinanza”, per un danno alle casse dello Stato, nel triennio 2020 – 2022, di complessivi 5 Milioni di Euro circa.
Nella tarda mattinata di ieri, 19 marzo, la Centrale Unica del Soccorso della Valle d’Aosta ha attivato la procedura di preallarme per il distacco di una valanga in Val Veny – Courmayeur, in relazione alla quale sono accorsi sul posto i militari della Stazione S.A.G.F. di Entreves e gli uomini del Soccorso Alpino Valdostano.
Dai primi rilievi effettuati dai militari operanti, ai quali la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Aosta ha affidato le indagini volte alla ricostruzione del drammatico evento, è emerso come la valanga, che ha percorso un dislivello di circa 600 metri, ha coinvolto quattro giovani sciatori di nazionalità svedese, provenienti da Chamonix, mentre stavano sciando fuori pista nella zona sottostante la funivia di Youla.
Nella giornata di ieri sono stati recuperati due ragazzi del gruppo, portati a valle in discrete condizioni, e constatato il decesso di una delle due ragazze coinvolte nell’incidente; le ricerche, sospese per condizioni metereologiche avverse e instabilità del manto nevoso, hanno infine condotto, nella mattinata odierna, al recupero dell’altra ragazza risultata dispersa. I due giovani sono stati sentiti dai militari del S.A.G.F. nell’ambito dell’indagine avviata per chiarire le dinamiche dell’evento.
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Palermo,
I finanzieri del Comando Provinciale di Palermo- informa un Comunicato – hanno dato esecuzione a un provvedimento con cui il G.I.P. del Tribunale di Termini Imerese, su richiesta della Procura Europea (EPPO – European Public Prosecutor’s Office) – sede di Palermo, ha disposto nei confronti di 6 persone fisiche e di una società di capitali il sequestro preventivo, anche nella forma per equivalente, di somme e beni per un valore complessivo di oltre 7,2 milioni di euro, quale profitto delle condotte delittuose ipotizzate.
I reati contestati, allo stato, sono a vario titolo, truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di fatture per operazioni inesistenti ed emissione di fatture per operazioni inesistenti.
Le indagini condotte dagli specialisti del Nucleo di polizia economico finanziaria di Palermo – Gruppo Tutela Spesa Pubblica, hanno riguardato i contributi a fondo perduto, di origine europea e nazionale, per un ammontare complessivo di circa 5,5 milioni di euro, concessi a una società dalla Regione Siciliana nell’ambito del PSR (Programma di Sviluppo Rurale) 2007/2013 per la realizzazione di un complesso zootecnico, con annesso mattatoio.
Gli elementi acquisiti allo stato delle indagini hanno consentito di ipotizzare un complesso meccanismo fraudolento consistito nella sovrafatturazione delle spese oggetto dei contributi pubblici e nella falsa attestazione circa la data di conclusione dei relativi programmi di investimento.
Con riguardo alla sovrafatturazione delle spese, gli indagati avrebbero fatto ricorso a plurimi schemi contrattuali e relative fatturazioni tra società formalmente distinte tra loro, ma di fatto riconducibili a un unico gruppo imprenditoriale, finalizzati a far aumentare il costo dei beni rendicontati alla Regione Siciliana ai fini dell’ottenimento delle pubbliche sovvenzioni.
In pratica le forniture oggetto di pubblica contribuzione avrebbero subito dei “passaggi” meramente cartolari tra più società riconducibili agli indagati, in modo tale da fare aumentare artificiosamente il costo finale dell’investimento documentato alla Regione Siciliana.
L’ammontare complessivo delle fatture che si ipotizzano “gonfiate” è pari a circa 13 milioni di euro. Per tale motivo il sequestro preventivo disposto dal GIP del Tribunale di Termini Imerese ha riguardato l’ammontare complessivo del presunto profitto sia dei reati di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (5,5 milioni di euro) sia dei reati fiscali contestati (1,7 milioni di euro tra IRES e IVA che si ipotizzano evase).
L’odierna operazione di servizio testimonia la stretta sinergia operativa tra la Procura Europea e la Guardia di Finanza a tutela degli interessi economico – finanziari dell’Unione Europea e dei bilanci nazionali, nonché per il contrasto delle gravi forme di evasione fiscale.
Si evidenzia che il provvedimento in parola è stato emesso sulla scorta degli elementi probatori acquisiti in fase di indagine preliminare, pertanto, in attesa di giudizio definitivo, sussiste la presunzione di innocenza.
Alle prime ore dell’alba di oggi, nelle città di Palermo, Riesi (CL) e Rimini, i militari del Nucleo Investigativo del Reparto Operativo del Comando Provinciale di Palermo hanno dato esecuzione a 7 provvedimenti cautelari (5 in carcere e 2 degli arresti domiciliari), emessi dal G.I.P. presso il Tribunale di Palermo su richiesta della locale Direzione Distrettuale Antimafia, per i reati di associazione di tipo mafioso ed estorsioni, consumate e tentate, con l’aggravante di aver commesso il fatto al fine di agevolare l’attività mafiosa e di essersi avvalsi della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva.
L’operazione si incardina in una più ampia manovra investigativa, condotta all’unisono dalle articolazioni territoriali e speciali dell’Arma dei Carabinieri sotto l’egida della Procura della Repubblica di Palermo, tesa a disarticolare cosa nostra nel suo complesso – colpendone tanto l’assetto militare quanto i cospicui patrimoni illeciti – nell’intento di neutralizzarne l’impatto sul tessuto socio-economico nonché di scardinare quella rete di omertà e connivenza grazie alla quale, ancora oggi, l’associazione mafiosa fornisce supporto alla latitanza di suoi esponenti di spicco.
L’attività odierna, in particolare, costituisce l’esito di un articolato impegno in direzione del mandamento mafioso palermitano di Pagliarelli, che ha consentito di acquisire un grave quadro indiziario in ordine all’appartenenza a cosa nostra dei membri della famiglia mafiosa di Rocca Mezzomonreale, alcuni dei quali, posti in posizione di vertice, già condannati in passato in via definitiva per il reato associativo mentre altri, considerati uomini d’onore riservati, rimasti ad oggi immuni da attenzioni investigative a causa delle cautele adottate nei loro confronti dal sodalizio.
Grazie all’importante dispositivo di contrasto di cui si è dotato il Comando Provinciale Carabinieri di Palermo, nonché al ricorso sistematico alle più sofisticate tecnologie di captazione, è stato possibile superare le continue accortezze poste in essere dagli indagati al fine di sottrarsi alle investigazioni, arrivando ad ottenere acquisizioni di elevatissimo pregio ed assoluta genuinità che hanno confermato, ancora una volta, la piena operatività dell’associazione nel suo complesso, nonché il costante richiamo della stessa alle più arcaiche regole mafiose.
L’indagine, condotta sotto il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo, ha consentito di acquisire un grave quadro indiziario, sostanzialmente accolto nella suindicata ordinanza cautelare e che dovrà trovare in seguito conferma nel corso dell’iter processuale, in ordine ai gravi reati ipotizzati in capo agli indagati. In sintesi, le investigazioni hanno permesso di:
– smantellare la famiglia mafiosa di Rocca Mezzomonreale, inquadrata nel mandamento palermitano di Pagliarelli, nonché di confermarne, ancora una volta, le storiche figure di vertice, già in passato protagoniste di episodi rilevantissimi per la vita dell’associazione mafiosa, quali, ad esempio, la gestione operativa della trasferta in Francia del capomafia deceduto Bernardo PROVENZANO per sottoporsi a cure mediche o la tenuta dei contatti con l’allora capomafia trapanese latitante Matteo MESSINA DENARO;
– svelare l’esistenza, in seno alla predetta famiglia mafiosa, di uomini d’onore riservati rimasti ad oggi del tutto estranei alle cronache giudiziarie, i quali, pur dimostrando una piena adesione al codice mafioso universalmente riconosciuto da cosa nostra, godrebbero di una speciale tutela e verrebbero chiamati in causa soltanto in momenti di particolare criticità dell’associazione;
– intercettare completamente, mediante il ricorso a complessi servizi di pedinamento e a certosine attività tecniche di intercettazione, una riunione della famiglia mafiosa di Palermo – Rocca Mezzomonreale al completo, tenutasi per estrema prudenza in una casa nelle campagne della provincia di Caltanissetta; in quel contesto si è registrato il costante richiamo degli indagati al rispetto di regole e dei principi mafiosi più arcaici che – compendiati in un vero e proprio “statuto” scritto dai “padri costituenti” – sono considerati, ancora oggi, il baluardo dell’esistenza stessa di cosa nostra. Nell’ambito della conversazione captata, definita dallo stesso G.I.P. “di estrema rarità nell’esperienza giudiziaria”, si è più volte fatto esplicito richiamo all’esistenza di citato “codice mafioso scritto”, custodito gelosamente da decenni e che regola, ancora oggi, la vita di cosa nostra palermitana;
– scongiurare l’attuazione di un proposito omicidiario, una vera e propria sentenza di morte, emessa nel contesto della predetta riunione di mafia quale suggello della ritrovata armonia tra i membri della famiglia mafiosa e, in seguito, riattualizzata nel corso delle successive captazioni tecniche, nei confronti di un architetto ritenuto responsabile di una serie di mancanze nello svolgimento della propria opera professionale;
– ricostruire il compimento di diversi episodi estorsivi – posti in essere al fine di alimentare le casse dell’associazione mediante la richiesta del cd. pizzo o l’imposizione di ditte riconducibili al sodalizio mafioso – uno dei quali caratterizzato dal ricorso ad una metodologia particolarmente inquietante quale l’apposizione, sul cancello di una privata abitazione, di una bambola recante un proiettile conficcato nella fronte.
Comunicazione finale : “È doveroso rilevare che gli odierni destinatari della misura restrittiva sono, allo stato, solamente indiziati di delitto, seppur gravemente, e che la loro posizione verrà vagliata dall’Autorità Giudiziaria nel corso dell’intero iter processuale e definita solo a seguito dell’eventuale emissione di una sentenza di condanna passata in giudicato, in ossequio al principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza.
L’assessore regionale all’Economia, in qualità di ex assessore alle infrastrutture, Marco Falcone, l’ex vicepresidente del governo siciliano Gaetano Armao sono indagati dalla Procura di Catania in un’inchiesta sulla Società degli Interporti siciliani Spa, azienda a totale partecipazione pubblica.
Nell’ambito della stessa indagine i carabinieri hanno arrestato e posto ai domiciliari l’ex deputato regionale Nino D’Asero, di Biancavilla, di 71 anni, l’imprenditore Luigi Cozza, catanese di 70 anni, l’amministratore unico della società, Rosario Torrisi Rigano, catanese di 69 anni e una dipendente dell’azienda, Cristina Sangiorgi, catanese di 52 anni. Tra i reati ipotizzati, a vario titolo, peculato e corruzione. Le misure sono state firmate dal gip del Tribunale di Catania. I quattro arrestati sono accusati a vario titolo di induzione indebita a dare o promettere utilità, peculato, corruzione per un atto contrario ai propri doveri d’ufficio e contraffazione e uso di pubblici sigilli.
L’indagine ha preso il via dopo un esposto, redatto da diversi dipendenti con funzioni apicali della “Società degli Interporti Siciliani S.p.a.”, circa le false attestazioni e le dichiarazioni prodotte da una dipendente, Cristina Sangiorgi, finita ai domiciliari, in merito al possesso di un titolo di laurea.
Le indagini hanno messo in luce le interferenze illecite che avrebbe esercitato l’ex deputato Nino D’Asero, su Rosario Torrisi Rigano, amministratore Unico della Società, attraverso alcuni politici regionali, finalizzate prima alla revoca del licenziamento della Sangiorgi e poi a garantirle una posizione lavorativa alla stessa gradita nell’ambito dell’azienda e, infine, ad omettere l’avvio di doverose procedure disciplinari dopo il rifiuto di svolgere gli incarichi affidatile, così come per il rifiuto della donna di lavorare in smart-working durante la prima fase della pandemia da Covid 19.
Secondo gli investigatori D’Asero si è rivolto a Marco Falcone, attuale assessore regionale all’Economia e all’epoca dei fatti assessore regionale delle infrastrutture e della mobilità a Gaetano Armao, ex assessore regionale all’Economia e vicepresidente della Regione, Giuseppe Li Volti, ex assistente parlamentare e coordinatore della segreteria particolare di Marco Falcone, i quali avrebbero esercitato pressioni su Torrisi Rigano per far revocare il licenziamento della dipendente.
Si è pure scoperto un accordo corruttivo che sarebbe intercorso tra Torrisi Rigano e Luigi Cozza, titolare della “LCT”, società operante nel settore dei trasporti titolare dell’affidamento in concessione della gestione funzionale, operativa ed economica oltreché della manutenzione ordinaria per nove anni del Polo Logistico dell’Interporto di Catania.
Torrisi Rigano avrebbe concesso l’area in questione alla “LCT S.p.a.” in uso gratuito per svariati mesi prima che venisse formalizzato il contratto, avvisando Cozza e altri manager e dipendenti della società dei controlli che la medesima avrebbe potuto subire da parte dell’Ispettorato del Lavoro e dei Vigili del Fuoco e della necessità di ottenere le varie certificazioni essenziali per poter occupare gli spazi e i locali del Polo Logistico e stipulare il contratto di concessione. Torrisi Rigano, avrebbe omesso o comunque ritardato l’invio di diffide ufficiali alla “LCT S.p.a.” concernenti la liberazione e sgombero o la regolarizzazione della documentazione prima della stipula del contratto di concessione, e avrebbe consentito alla predetta società di concludere un contratto con una terza società in violazione della concessione stessa. In cambio Torrisi Rigano avrebbe ottenuto da Cozza l’assunzione della propria nuora nella LCT, e accettato la promessa di ulteriori utilità.
Cappellino bianco di lana, occhiali scuri, un giubbotto marrone con pellicciotto bianco, Matteo Messina Denaro era in day hospital alla clinica Maddalena di Palermo quando è stato arrestato. Il boss mafioso, latitante da 30 anni, non ha opposto resistenza al momento della cattura
Messina Denaro era in clinica in day hospital per sottoporsi a terapie, cure contro il cancro. Si scopre che era malato dal 2020.. Il boss mafioso, non ha opposto resistenza al momento della cattura. Giunto in clinica alle 8, si era presentato sotto falso nome ma di fronte ai carabinieri ha subito ammesso la sua vera identità: “Sono Matteo Messina Denaro”
Oltre 100 gli uomini dei carabinieri del Ros che hanno partecipato alla cattura del boss mafioso, insieme al quale è stato arrestato anche il suo autista, Giovanni Luppino.
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Palermo,
Notificati già 39 provvedimenti cautelari (14 in carcere, 17 domiciliari e 8 dell’obbligo di presentazione alla P.G.) emessi dall’Ufficio Giudice per Indagini Preliminari di Palermo su richiesta della locale Direzione Distrettuale Antimafia.
La notifica è stata eseguita dai militari del Nucleo operativo della Compagnia Carabinieri di Palermo.Le indagini hanno fatto emergere gravi indizi di colpevolezza in ordine ai reati di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti aggravata dalla disponibilità di armi e spaccio di sostanze stupefacenti.
Le investigazioni hanno consentito di acquisire un grave quadro indiziario, sostanzialmente accolto dal G.I.P., secondo il quale sarebbe emersa l’esistenza di un’organizzazione criminale dedita al traffico di sostanze stupefacenti, operante nel quartiere Sperone di Palermo, consentendo l’individuazione della struttura, delle dinamiche organizzative e delle relative strategie criminali.
Stando a quanto riportato nell’ordinanza cautelare, sussistono gravi indizi con riguardo a quanto segue:
− l’attività di spaccio avveniva nei pressi del piazzale Ignazio Calona in favore di innumerevoli acquirenti che accorrevano dall’intera provincia. Si è accertato come lo spaccio di cocaina, crack, hashish e marijuana abbia rappresentato, sovente, una delle principali fonti di sostentamento per intere famiglie, i cui membri risulterebbero integralmente partecipi alle attività delittuose;
− l’organigramma dell’associazione sarebbe stato strutturato su due vertici che gestivano il rifornimento, l’organizzazione della piazza di spaccio e raccoglievano i proventi dell’attività con cadenza settimanale. Le indagini hanno inoltre consentito di acquisire gravi indizi in ordine alla disponibilità da parte del gruppo di armi da fuoco tanto che,nel corso delle attività, è stata sequestrata una pistola clandestina cal. 7.65 perfettamente funzionante;
− un ruolo fondamentale sarebbe stato riconosciuto anche alle donne, parenti dei capi, le quali avrebbero collaborato nella direzione delle attività criminali e nel tenere la contabilità degli introiti, occupandosi, talvolta, anche di custodire lo stupefacente;
− i pusher operativi su strada per conto della delineata associazione, sarebbero stati organizzati su turni di 12 ore per garantire la piena attività, anche in orario notturno, della piazza di spaccio. Ciascuno aveva compiti ben definiti, per i quali era prevista una specifica retribuzione: 100 euro al giorno per gli spacciatori e 50 per le vedette.
Le indagini consentono di stimare che la piazza di spaccio avrebbe garantito al sodalizio consistenti profitti, valutati nell’ordine di 1,8 milioni di euro su base annua. Nel corso dell’attività sono stati già operati alcuni arresti in flagranza di reato, segnalate alla locale Prefettura numerosi acquirenti e sequestrati circa 1 kg di stupefacente e oltre 5000 euro in contanti circa.
Agli indagati sono stati contestati oltre 1.650 singoli episodi di spaccio, ma le emergenze investigative consentono di stimare il numero di cessioni in oltre 500 giornaliere.
È obbligo rilevare – informano i Carabinieri – che gli odierni indagati sono, allo stato, solamente indiziati di delitto, pur gravemente, e che la loro posizione sarà definitivamente vagliata giudizialmente solo dopo la emissione di una sentenza passata in giudicato in ossequio al principio costituzionale di presunzione di non colpevolezza.
Catania,
Confisca di beni mobili e immobili, denaro, preziosi e compendi societari nella disponibilità di un noto imprenditore siciliano,(Sergio Leonardi, nella foto sopra) già oggetto di decreto di sequestro in materia di prevenzione antimafia, . Confisca disposta dalla Procura della Repubblica di Catania , dal Tribunale -Sez Prevenzione ed eseguita dal Comando Provinciale di Catania della Finanza
Si tratta, in particolare, di un patrimonio del valore di circa 20 milioni di euro,costituito da 6 attività imprenditoriali, 3 fabbricati, 1 motociclo, denaro contante e diversi preziosi.
L’indagine di prevenzione da cui origina il citato provvedimento si collega all’operazione “VENTO DI SCIROCCO”, condotta dai finanzieri del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Catania della Guardia di finanza e dai Carabinieri del Nucleo Investigativo etneo, all’esito della quale il predetto imprenditore è stato tratto in arresto, unitamente a 22 persone, in quanto ritenuto responsabile dei reati di associazione di tipo mafioso, associazione per delinquere, estorsione in concorso, intestazione fittizia di beni, impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, falsità commessa dal privato in atto pubblico, emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, occultamento o distruzione di scritture contabili, con l’aggravante di aver agito al fine di agevolare il clan mafioso etneo dei “Mazzei” (cd. “Carcagnusi”).
I successivi approfondimenti svolti da unità specializzate del GICO del predetto Nucleo PEF volti all’applicazione delle misure di prevenzione, hanno permesso di inquadrare il proposto quale soggetto caratterizzato da “pericolosità qualificata” che avrebbe vissuto abitualmente con i proventi di attività delittuose, essenzialmente consistenti nella perpetrazione continuata di articolate frodi fiscali e di contrabbando aggravato.
Sotto il profilo soggettivo, la carriera criminale del proposto avrebbe avuto inizio nel 2007 sotto l’egida mafiosa dello zio della moglie, all’epoca, capo del clan “SCIUTO-TIGNA”. Dopo la carcerazione di quest’ultimo capo clan, l’imprenditore siciliano, tra il 2009 e il 2011, sarebbe finito sotto l’ala protettrice dei Mazzei, i quali si sarebbero avvalsi del suo operato per il contrabbando di prodotti petroliferi.
Il proposto, al di là delle sue stabili frequentazioni con soggetti gravati da rilevanti precedenti penali e di polizia, è risultato inoltre coinvolto in molteplici vicende giudiziarie per reati edilizi, furto continuato, associazione a delinquere finalizzata alla sottrazione di pagamento dell’accisa sul gasolio da autotrazione e al contrabbando di prodotti petroliferi immessi nel mercato nazionale in evasione d’imposta (Accise e IVA), utilizzo ed emissione di fatture per operazioni inesistenti, falso ideologico, frode in commercio e turbata libertà del commercio, riciclaggio e autoriciclaggio.
Al descritto profilo soggettivo del proposto è, tra l’altro, corrisposta una rilevante e costante “sproporzione” nel periodo considerato (2007-2017) tra le attività economiche possedute, dal medesimo e dal suo nucleo familiare, e i redditi dagli stessi dichiarati.
Sulla base dei descritti plurimi elementi indiziari, il Tribunale etneo ha ritenuto il proposto “socialmente pericoloso” e che i beni e le attività economiche acquisite dal 2007 al 2017 abbiano rappresentato il frutto e/o il reinvestimento dei proventi della attività illecite, disponendone, con il provvedimento del 2020, il relativo sequestro.
Con la recente decisione, eseguita dal Nucleo PEF di Catania della Guardia di finanza, il giudice ha confermato la bontà della ricostruzione effettuata dai finanzieri etnei nell’ambito delle indagini coordinate dalla Procura etnea, disponendo la confisca del patrimonio nella disponibilità del soggetto proposto e, in particolare, di:
– 4 società e 2 ditte individuali, operanti nel settore del commercio di prodotti petroliferi aventi sede tra Catania, Augusta e Sant’Agata Li Battiati (CT); (Lbs Trading Srl con sede ad Augusta, Lubricarbo Srl con sede a Catania e deposito commerciale ad Augusta, Petrol Sel Srl ed Esse Elle Petroli srl con sede a Catania), 2 ditte individuali (La Leonardi Sergio e la Fg Oil di Falspaerla con sede aventi sede a Sant’Agata Li Battiati),- 3 immobili, di cui 2 siti a Catania e 1 in Giardini Naxos (ME); – diversi beni mobili (un motociclo, denaro contante e diversi preziosi), per un valore di circa 20 milioni di euro.
L’attività dei Finanzieri di Catania si inquadra nel più ampio quadro delle azioni svolte da questa Procura e dalla Guardia di Finanza di Catania, volte al contrasto, sotto il profilo patrimoniale, della criminalità economica, al fine di evitare i tentativi, sempre più insidiosi, di inquinare il tessuto imprenditoriale della provincia, anche profittando delle difficoltà legate al periodo di contrazione economica.