Il sindaco di Paternò, Nino Naso, rinviato a giudizio per il reato di voto di scambio politico mafioso, ma lui resiste e non vuol dimettersi

 

Catania

E’ alle corde sul ring con la Procura. Ma il sindaco non vuol dimettersi  e comunica al prefetto di Catania  la volontà  di far controllare il Comune dagli ispettori.      Sono sette anni da primo cittadino, «atto per atto» e per «passare al setaccio» il suo operato certo che “non c’è stata alcuna collusione, tolleranza o accondiscendenza con la mafia”.

Il sindaco di Paternò, Antonino Naso,ha ribadito la sua innocenza a Palazzo Alessi, alla presenza della stampa. Indagato dalla Procura distrettuale di Catania per voto di scambio politico mafioso, reato che, secondo l’accusa, sarebbe stato commesso con esponenti del clan Morabito-Rapisarda legato alla “famiglia” Laudani, durante le elezioni comunali del 2022.

 

«Qualsiasi decisione – ha spiegato il sindaco Naso – l’ho presa sempre ascoltando la città. Non mi nascondo. Ho invitato tutti i consiglieri comunali, opposizione e maggioranza perché tutti siamo a servizio della città. In questo momento particolare ho sentito il calore e ho deciso di metterci la faccia come ho sempre fatto. Perché vivo la mia città e non la rinnegherò mai. Il valore della libertà è incommensurabile, ma ancora più grande è il valore della verità. Vogliamo la verità. Possiamo aprire il comune sotto e sopra, ma vogliamo la verità. Vengano a controllare i conti in banca del sindaco».

Il Tribunale del riesame di Catania, il 30 settembre scorso, ha accolto il ricorso della Procura di Catania contro la decisione del Gip di rigettare la richiesta di emettere un’ordinanza cautelare agli arresti domiciliari nei confronti di cinque indagati nell’operazione Athena, compreso il sindaco Naso, per cui è stato chiesto il rinvio a giudizio assieme ad altri 48 imputati. Il Tribunale ha disposto la sospensione dell’ordinanza agli arresti domiciliari, fino alla decisione della Cassazione.

Nei guai giudiziari l’ex assessore Luca Sammartino rinviato a giudizio per corruzione Accolta dunque la richiesta della Procura dal GUP dr Ottavio Grasso

 

 

 

L’ex assessore regionale  Luca Sammartino, leader della Lega nell’isola,nei guai giudiziari per contestata corruzione,  è stato rinviato a giudizio dalla Procura etnea per due presunti casi di corruzione emersi nell’ambito dell’inchiesta Pandora su presunte infiltrazioni della criminalità organizzata e corruzione al Comune di Tremestieri etneo.

Decisione del  Gup di Catania, dr. Ottavio Grasso, che ha accolto la richiesta della Procura. A processo con Sammartino andranno altri undici imputati. La prima udienza è stata fissata per il 14 marzo del 2025 davanti alla terza sezione penale del Tribunale di Catania.

Due sentenze di non luogo a procedere per l’ipotesi di falso, emesse poi dal dr Grasso perché il fatto non costituisce reato, nei confronti di Ferdinando Smecca, difeso dall’avvocato Carmelo Galati, e di Francesco Scrofani, assistito dal penalista Eugenio De Luca.

Luca Sammartino, indagato per due presunti casi di corruzione, il 17 aprile scorso si è dimesso da vicepresidente della Regione Siciliana e da assessore all’Agricoltura dopo essere stato sospeso dalle funzioni pubbliche dal Gip. Provvedimento poi confermato anche dal Tribunale del riesame. Sammartino si è dichiarato estraneo ai fatti contestati

 

Quali gli atti in mano alla Magistratura?    Secondo l’accusa avrebbe favorito il proprietario di una farmacia a Tremestieri Etneo impegnandosi nell’impedire l’apertura a un suo concorrente in cambio di appoggio elettorale per la candidata alle europee che lui sosteneva nel 2019 per il Pd, Caterina Chinnici, poi eletta e ora in Forza Italia, totalmente estranea all’inchiesta.

Il secondo caso riguarda due carabinieri del nucleo di polizia giudiziaria della Procura che avrebbero fornito notizie su eventuali indagini nei suoi confronti e bonificato da eventuali cimici la sede della sua segreteria. Nell’ambito della medesima  inchiesta hanno chiesto il patteggiamento l’ex consigliere comunale Mario Ronsisvalle, l’allora consulente del sindaco Giuseppe Puccio Monaco e il professionista Paolo Di Loreto. La decisione sarà adottata dal gup all’udienza del 7 ottobre.

 

Previsto il rito abbreviato per  altri dieci imputati. Tra loro l’ex sindaco di Tremestieri Etneo, Santi Rando, e Pietro Alfio Piero Cosentino, e due presunti esponenti di spicco di Cosa nostra: Francesco Santapaola e Vito Romeo, quest’ultimo cognato di Cosentino. I quattro sono accusati di scambio politico-mafioso per le amministrative del 2015. Oltre a loro, all’udienza del 25 novembre, saranno chiamati a comparire davanti al gup anche Antonio Battiato, Salvatore Bonanno, Domenico Cucinotta, Antonino Cunsolo, Giuseppe Ferlito e Giovanni Naccarato

Operazione Feudo – La Finanza segnala alla Corte dei conti danni erariali per milioni di euro

VIDEO G.DI FINANZA

 

Le Fiamme Gialle della “Granda”, in prosecuzione delle indagini di polizia giudiziaria che lo scorso gennaio hanno portato al rinvio a giudizio dell’ex sindaco, del segretario comunale e del responsabile del servizio finanziario del Comune di Santo Stefano Roero (CN) nonché di due architetti ed un geometra, comunicano di aver ultimato gli accertamenti di polizia erariale sulla gestione amministrativo contabile dello stesso Comune, segnalando alla Procura della Corte dei Conti di Torino danni erariali di svariata natura per diversi milioni di euro.

L’operazione FEUDO, iniziata nei primi mesi del 2021 e condotta dal Reparto della Provincia più specializzato in complesse ed impegnative indagini anche nel settore della Spesa Pubblica, cioè il Nucleo di Polizia Economico-finanziaria di Cuneo, aveva portato all’arresto di quattro dei citati imputati (l’ex sindaco, il segretario comunale, un architetto ed un geometra), ed al sequestro per equivalente di beni e valori per un ammontare complessivo di 180 mila euro.

L’articolata indagine, su delega della Procura della Repubblica di Asti, originata proprio da un’attività di polizia erariale intrapresa dal Nucleo di Polizia Economico Finanziaria cuneese su incarico della dott.ssa Letizia Dainelli e del dott. Massimo Valero, Vice Procuratori della Procura Regionale della Corte dei Conti, era volta ad accertare presunti sprechi di denaro pubblico da parte dell’Amministrazione comunale di Santo Stefano Roero (destinataria, negli ultimi 15 anni, di circa 15 milioni di euro di finanziamenti statali), che avevano determinato, nel 2019, un rilevante deficit finanziario nelle casse dell’Ente locale roerino.

L’attività investigativa aveva permesso di accertare molteplici condotte delittuose in capo ai soggetti coinvolti, accusati a vario titolo di truffa ai danni dello Stato, turbata libertà degli incanti e falsità materiale ed ideologica in atti pubblici; al sindaco pro tempore erano stati contestati anche i reati di peculato, minacce e detenzione abusiva di armi.

Dopo il rinvio a giudizio dei 6 responsabili, è stata quindi intrapresa la conseguente attività di Polizia Erariale, con l’esame di un’ingente mole di documentazione contabile-amministrativa, a tratti frammentaria o mancante, relativa agli ultimi 10 anni di amministrazione del citato Comune.

Gli accertamenti eseguiti, contraddistinti da complessi approfondimenti giuridico-normativi, hanno portato alla segnalazione di molteplici tipologie di danno erariale quantificabili in diversi milioni di euro, a conferma delle condotte illecite perpetrate dai protagonisti della vicenda, censurabili sia sotto il profilo penale che amministrativo-contabile, in spregio di tutte le norme in vigore e a scapito della Comunità amministrata, dell’intera collettività e di tutti i cittadini onesti e rispettosi della legge.

L’operazione di polizia economico-finanziaria di cui si parla si inquadra nella costante attività di servizio svolta a contrasto della criminalità economica, finalizzata al soddisfacimento delle legittime pretese creditorie dell’Erario ed al ripristino della legalità, monito per coloro che sono deputati alla gestione della “Cosa Pubblica” nella piena legittimità e trasparenza.

OPERAZIONE BIS DELLA FINANZA- RINVIATI A GIUDIZIO 19 SOGGETTI “ECCELLENTI”, SEGNALATI DANNI ERARIALI PER OLTRE 4 MILIONI DI EURO

 

REGGIO CALABRIA

Ancora una volta la Guardia di Finanza salvaguarda la spesa pubblica.Conclusa con la richiesta di rinvio a giudizio di 19 soggetti, tra cui il Commissario Straordinario, il Direttore Generale e il Direttore Amministrativo dell’A.S.P. di Reggio Calabria, nonché l’assessore regionale pro tempore, una delle attività d’indagine in corso a danno del Servizio Sanitario Calabrese.

Le attività di indagini, che hanno riguardato i doppi pagamenti erogati dalla citata Azienda Sanitaria Provinciale in favore di una clinica privata di Siderno, sono state condotte dai finanzieri del Comando Provinciale di Reggio Calabria – sotto il coordinamento della Procura della Repubblica di Reggio Calabria, diretta dal Procuratore Capo Dott. Giovanni Bombardieri, coordinata dal Procuratore Aggiunto dott. Gerardo Dominijanni e dalle dottoresse Giulia Scavello e Marika Mastrapasqua.

L’azione repressiva è culminata con un provvedimento di sequestro preventivo di disponibilità finanziarie, beni mobili e immobili per un valore complessivo di 4.020.225,75 euro, disposto dal Tribunale di Reggio Calabria, a seguito di articolate e complesse indagini condotte dal Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza di Reggio Calabria, che hanno permesso di constatare una duplicazione di pagamenti, per oltre 4 milioni di euro, corrisposti dall’Azienda Sanitaria Provinciale reggina a favore di uno studio radiologico privato, operante nel settore dell’erogazione di prestazioni diagnostiche ai pazienti in convenzione con il Servizio Sanitario Nazionale.

Le indagini si sono concentrate sul dettagliato esame di un accordo transattivo, concluso nel 2015 tra l’Ente Pubblico ed il privato fornitore, con il quale è stato disposto il pagamento, in favore di quest’ultimo, della somma di € 7.974.219,16 (tra capitale, interessi di mora e spese legali) a saldo di crediti pregressi, presuntivamente vantati come non ancora riscossi. I militari hanno, quindi, analizzato nel dettaglio ciascuna delle quasi cento fatture in questione, relative ad oltre dieci anni di prestazioni sanitarie, appurando che una notevole parte delle stesse, dichiarate non pagate dallo studio radiologico in questione e poste a fondamento di diversi decreti ingiuntivi divenuti esecutivi a seguito della mancata opposizione dell’ASP Reggina, erano state già liquidate per un ammontare complessivo di oltre 4 milioni di euro, compresi interessi.

Dopo gli interrogatori eseguiti nei confronti di coloro che ne hanno fatto richiesta, la Procura ha richiesto il rinvio a giudizio di 19 indagati. I reati contestati sono quelli di falso ideologico e truffa aggravata nei confronti del rappresentante legale e di altri individui riconducibili allo studio radiologico, dei funzionari dell’ASP e di altri 13 soggetti, ritenuti a vario titolo responsabili.

Tra le contestazioni a carico del rappresentante legale e del socio di fatto dello Studio radiologico, figura anche quella per l’ipotesi di reato di autoriciclaggio, per aver trasferito complessivamente € 1.393.094,12, provento del delitto di truffa, al fine di ostacolare concretamente l’identificazione della provenienza delittuosa. Contestato, inoltre, il reato di riciclaggio ai quattro soci dello studio radiologico, per aver percepito i dividendi frutto dei proventi della truffa.

La truffa ai danni del servizio sanitario ed il riciclaggio di denaro sono solo uno degli aspetti posti sotto la lente investigativa della Guardia di Finanza. Infatti, le Fiamme Gialle Reggine, grazie ad un approccio trasversale proprio del Corpo, hanno posto l’attenzione anche sugli aspetti economico-finanziari, riconducendo a tassazione i proventi illeciti percepiti dal legale rappresentante pro tempore dello studio radiologico. L’attività eseguita ha permesso di constatare una base imponibile sottratta a tassazione, ai fini delle imposte sui redditi ed ai fini I.R.A.P., pari ad € 2.300.746,82 ed un I.R.A.P. dovuta pari ad € 110.896,00.

Il cerchio investigativo si è concluso con un’ulteriore attività effettuata a favore della Procura Regionale della Corte dei Conti, alla quale, previo nulla osta dell’A.G. penale, è stato comunicato l’ingente danno erariale scaturito dalle condotte illecite perpetrate dai funzionari dell’ente sanitario, pari ad € 4.020.225,75.

 

La Sicilia corrotta: Rosario Crocetta a giudizio per corruzione e finanziamento illecito al movimento

 

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L’ex Presidente della Regione, personaggio antimafia, è finito ancora nei guai: l’accusa stavolta è pesante,corruzione

PALERMO –

Rosario  Crocetta nei guai giudiziari .Il gup di Palermo ha rinviato a giudizio con l’accusa di corruzione l’ex governatore siciliano . Il procedimento nasce dall’inchiesta sull’armatore trapanese Ettore Morace. Il giudice si è dichiarato incompetente per territorio per tutti gli altri imputati tra cui l’ex sottosegretario Simona Vicari, anche lei indagata per corruzione. 

Il presidente della Regione sarebbe indagato in un filone d’indagine che riguarda un finanziamento di circa 5 mila euro fatto da Morace al movimento Ripartesicilia di Crocetta. Inoltre, il nome di Crocetta, viene fatto pure quando, secondo Morace che parla con un altra persona al telefono, avrebbe avuto pagati dagli armatori un viaggio e un soggiorno in una isole delle Eolie. Circostanza sempre smentita da Crocetta.

Si apprende pure che il presidente Crocetta ha puntualmente  smentito ogni accusa di aver procurato vantaggi a Morace. L’ex presidente della Regione in passato si è sempre chiesto quale potesse essere l’atto amministrativo che avrebbe garantito un vantaggio a Morace, se dai 91 milioni e 500 mila euro del 2013 si è passati ai 66 milioni e 500 mila euro del 2017, facendo risparmiare alle casse regionali circa 78 milioni in cinque anni.

Nel giugno del 2014,Elemento di difesa ma non considerato rilevante dal tribunale   Crocetta, insieme con l’assessore alle Infrastrutture dell’epoca, Nico Torrisi,  presentò un esposto alla Procura della Repubblica di Palermo sui collegamenti marittimi e gare gonfiate..

Non si può chiamare un giornalista “giornalaio”. Fedez rinviato a giudizio per diffamazione

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Definire un giornalista “giornalaio” è reato di diffamazione a mezzo stampa anche se detto scherzosamente o ironicamente.    Il noto cantante Fedez è stato rinviato a giudizio dal Procuratore della Repubblica di Livorno dr. Giuseppe Rizzo, che ne ha firmato il decreto di citazione per aver diffamato via social la giornalista Chiara Giannini.  (  autrice del libro intervista a Matteo Salvini edito da AltaForte, casa editrice vicina a CasaPound)…

La prima udienza è stata fissata il 5 dicembre 2019 e al centro del processo ci saranno alcune frasi scritte dal cantante tramite social indirizzate alla Giannini. In particolare, Fedez, come riporta l’atto di citazione a giudizio, avrebbe definito la giornalista “giornalaia”, indirizzandole la frase “giornalista di Libero dall’inviato di guerra ai finti scoop da Novella 2000 su di me. Brutta fine eh?” e “accusandola – scrive il pm – di aver pubblicato un articolo completamente fasullo su di lui, affermando che in seguito alle contestazioni ella si sarebbe cancellata dai social network, non avendo argomentazioni e facendosi difendere da Salvini“.
Sembrerebbe in apparenza una sciocchezza ma per Fedez si profila un calvario giudizio, di udienze, rinvii,testimonianza, e probabilmente oltre la condanna, per la sussistenza evidente del reato, anche un probabile risarcimento

Traffico illecito di rifiuti: Crocetta, ex Presidente della Regione Sicilia, di fronte ai giudici per un appalto di 3,6 milioni euro

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Rinvio a giudizio, a breve sarà fissata l’udienza preliminare, e una indagine preliminare  in fase di conclusione . L’ex presidente della Regione, Rosario Crocetta,  accusato del reato: “traffico illecito di rifiuti”non ci sta a fare l’imputato.

Un’accusa pesante per uno dei paladini antimafia siciliani .La vicenda riguarda l’autorizzazione firmata nel 2016 per gli impianti della Cisma Ambiente di Melilli (Siracusa),  le discariche della Oikos, nelle contrade Tiritì e Valanghe d’inverno, nel territorio di Motta S. Anastasia, ma vicinissime al centro abitato di Misterbianco (Catania).

La richiesta di rinvio a giudizio sulla Cisma di Melilli coinvolge anche , 12 persone. Al centro dell’inchiesta l’autorizzazione concessa affinché i rifiuti prodotti giornalmente in venti comuni del Siracusano e del Palermitano fossero conferiti nella discarica di Melilli, che riceveva solo rifiuti speciali. Un appalto da 3,6 milioni di euro per il periodo luglio 2016-marzo 2017.

“L’ex presidente della Regione – si apprende – ha firmato le ordinanze dopo aver ricevuto dettagliate relazioni tecniche e anche l’autorizzazione da parte dell’Asp. Crocetta si dichiara estraneo a ogni accusa”. Idem per le discariche di Motta S. Anastasia, parte di una più complessa indagine sulla gestione amministrativa e ambientale della società. Oikos che fu sequestrata al titolare Domenico Proto, arrestato nel 2014 in un’inchiesta per corruzione dei magistrati di Palermo.

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Per un’interdittiva antimafia disposta dall’ex prefetto di Catania, Maria Guia Federico su richiesta dell’Anac, l’azienda è stata per oltre due anni in amministrazione giudiziaria. Tra gli undici indagati vi sono, oltre al figlio di Proto, Orazio, consulenti e funzionari pubblici, anche i tre commissari prefettizi (Stefano Scammacca, Maurizio Cassarino e Riccardo Tenti) che gestirono l’azienda durante il periodo di sequestro, prima che venisse restituita ai proprietari, nel 2017, in seguito ad una sentenza del Consiglio di giustizia amministrativa. Crocetta al Tribunale non ha voluto rilasciare  altre dichiarazioni ma una cosa è certa: i magistrati non si lasciano incantare dalle relazioni tecniche di ingegneri ed architetti a conforto di un appalto milionario.  Si sa, la tentazione in un appalto milionario c’è sempre e qua si parla di oltre 3,6 milioni di euro.   Ora saranno i legali a produrre le eventuali prove per controdedurre alle argomentazioni  del Pubblico Ministero

Metodi illeciti e di Corruzione all’Ispettorato del Lavoro di Catania

 

Ispettorato del Lavoro, ex deputato Forzese rinviato a giudizio con altri 9

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Indagati dell’inchiesta “Black job” su  casi di corruzione all’Ispettorato di Catania: scomparivano  fascicoli o si insabbiavano  richieste di sanzioni in cambio di favori o promozioni alla Regione siciliana

Ispettorato del Lavoro, ex deputato Forzese rinviato a giudizio con altri 9

CATANIA

 Rinvio a giudizio di  10 persone nell’ambito dell’inchiesta ‘Black Job’,emesso dal Gup Giancarlo Cascino in accoglimento della richiesta della Procura.  Le  indagini della Guardia di Finanza, avevano svelato  casi di corruzione all’Ispettorato del Lavoro di Catania. Tra gli imputati l’ex deputato regionale dei centristi Marco Forzese, il direttore dell’Ufficio Territoriale del Lavoro (Utl) di Catania, Domenico Amich, 65 anni, la responsabile dell’Ufficio Legale dell’Ispettorato Maria Rosa Trovato, e l’ex consigliere comunale di Forza Italia Antonino Nicotra, 59 anni.

Quest’ultimo deve rispondere del reato di abuso d’ufficio. La prima udienza del processo è stata fissata per il 10 gennaio 2019 davanti la terza sezione penale del Tribunale.

Gli altri imputati sono il direttore sanitario dell’Asp di Catania Franco Luca, Ignazio Maugeri,rappresentante legale dell’Enaip, Giovanni Patti, Salvatore Calderaro, Anna Maria Catanzaro e Giovanni Franceschino. Sarà invece giudicato col rito abbreviato Orazio Emmanuele, 54 anni, rappresentante legale di alcuni stabilimenti balneari a Giarre.

Le autorità spiegano il sistema. Scomparsa dei  fascicoli, come svelano le telecamere nascoste dalle Fiamme gialle che inquadrano Forzese mentre è con Salvatore Calderaro, gestore di una tabaccheria: prelevano l’incartamento dall’Ispettorato e Calderaro lo nasconde sotto il giubbotto. Nel corso di una perquisizione la pratica venne            trovata  poi dalle Fiamme Gialle a casa dell’imprenditore sotto inchiesta. 

Caltanissetta: rinviati a giudizio Antonello Montante e ” Personaggi eccellenti siciliani:………ecco i nomi”

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Rinvio a giudizio per Antonello Montante l’ex potente industriale accusato di aver messo in piedi un serie di relazioni per gestire una antimafia di facciata e finito nei guai giudiziari insieme ad altri potenti siciliani

Fra le richieste di giudizio spiccano i nomi dell’ex Presidente del Senato Renato Schifani ma anche quello dell’ex capo dei servizi segreti Arturo Esposito. Si prosegue con Diego Di Simone, ex investigatore della squadra mobile di Palermo diventato il capo della security di Confindustria; del colonnello Giuseppe D’Agata, ex capo centro della Dia di Palermo; Marco De Angelis, sostituto commissario in servizio prima alla questura di Palermo, poi alla prefettura di Milano; Ettore Orfanello, ex comandante del nucleo di polizia tributaria della Finanza di Caltanissetta, e l’imprenditore Massimo Romano, titolare della catena di supermercati Mizzica-Carrefour Sicilia. Indagato a piede libero, il professore palermitano Angelo Cuva, accusato di aver agito con mafiosità  con Schifani.

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Renato Schifani, ex presidente del Senato, si è avvalso della facoltà di non rispondere davanti ai pm di Caltanissetta. Il senatore di Forza Italia ha altresì depositato ai magistrati una richiesta di trasferimento degli atti alla Procura di Palermo, visto che, secondo i suoi legali, i presunti reati di cui il forzista è accusato avrebbero avuto luogo  nel capoluogo siciliano. Anche Arturo Esposito, ex capo dell’Aisi, e Angelo Curva, docente universitario, entrambi indagati per gli stessi reati, si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. L’ex direttore dello Sco della polizia, Andrea Grassi, e Andrea Cavacece, capo reparto dell’Aisi, hanno invece risposto alle domande dei magistrati, rimandando però le accuse al mittente.

Ma non è finita L’ inchiesta  ruota intorno ad altri nomi eccellenti come l’ex governatore Rosario Crocetta, gli ex assessori alle Attività produttive Linda Vancheri e Mariella Lo Bello, l’ex presidente di Sicindustria Giuseppe Catanzaro e molti altri che ancora non si conoscono.

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Bagheria: rinvio a giudizio del sindaco Cinque per “turbativa d’asta, falso,problema rifiuti ed abusivismo”

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Rinvio a giudizio del sindaco di Bagheria Patrizio Cinque (nella foto) del Movimento 5 stelle. La richiesta proviene dalla Procura di Bagheria per l’ipotesi di reato di  turbativa d’asta, falso, abuso d’ufficio, rivelazione di segreto d’ufficio e omissione di atti d’ufficio.

L’udienza preliminare è stata fissata per l’11 aprile.    Immediatamente è scattata l’autosospensione dal Movimento 5 stelle secondo le regole interne.

Oggetto dell’’inchiesta che ha iscritto cinque persone nel registro degli indagati verte sia sulla problematica dei rifiuti che sull’abusivismo edilizio.

 Si apprende che il sindaco ha fermato la marcia di solidarietà nei suoi confronti da parte dei fedelissimi.

La Procura informa che nel mese di settembre scorso  al sindaco di Bagheria fu notificata la misura dell’obbligo di firma che il gip revocò dopo l’interrogatorio di garanzia   Nell’indagine sono state coinvolte altre 21 persone  tra imprenditori, funzionari comunali e un dirigente della Regione.

L’accusa di rinvio a giudizio riguarda anche di  avere concordato illegalmente con l’ex  commissario della città metropolitana Manlio Munafò e Salvatore Rappa, legale rappresentante della società sportiva Nuova Aquila Palermo, l’affidamento del Palasport a Comune e società in partnership. La difesa del sindaco sostiene di aver dato priorità alla gestione comunale del palazzetto e di aver per questo presentato la domanda di affidamento col privato fuori termine.

Un altro capo d’accusa è quello di essere stato intercettato dagli investigatori e di ’avere” rivelato al cognato l’esistenza di un procedimento penale avviato sulla sua casa abusiva. Procedimento di cui aveva saputo da un vigile urbano, pure indagato. Una strana vicenda nata da una falsa autodenuncia presentata a nome del familiare, ma di cui questi nulla avrebbe saputo”.