Operazione Antimafia dei Carabinieri in lotta contro le cosche di indrangheta

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Lotta alle cosche di indrangheta

 

 

La Direzione Investigativa Antimafia, su disposizione del Tribunale di Catanzaro, ha eseguito un provvedimento di sequestro di beni mobili ed immobili nella disponibilità di un imprenditore di origini calabresi stabilitosi da oltre 20 anni in provincia di Padova ed attualmente in regime di detenzione domiciliare.

Lo stesso era stato già colpito nell’ambito di una precedente operazione antimafia poiché ritenuto uomo di fiducia sul territorio padovano dell’associazione per delinquere di tipo ‘ndranghetista della quale sarebbe stata partecipe e per la quale avrebbe fornito in via continuativa supporto logistico, economico ed investimenti imprenditoriali in provincia di Padova.

Il provvedimento trae origine dalle indagini coordinate dalle DDA di Catanzaro e Venezia, che hanno consentito di acclarare elementi relativi ad una pericolosità sociale sia generica che qualificata.

Le investigazioni avrebbero documentato incontri e rapporti con esponenti di spicco delle cosche di ‘ndrangheta, lasciando ipotizzare la costituzione di un’associazione per delinquere finalizzata al riciclaggio e all’autoriciclaggio di denaro, quest’ultimi sarebbero stati perpetrati attraverso un articolato sistema di emissione di fatture per operazioni inesistenti i cui pagamenti sarebbero stati schermati grazie alla compiacenza di funzionari di Banca.

Con il provvedimento odierno sono stati posti in sequestro beni mobili registrati, una società operante nel settore delle costruzioni con sede in MILANO e posizioni finanziarie per un valore complessivo di circa 19.000 euro.
Il risultato operativo si inserisce nell’ambito delle attività Istituzionali finalizzate all’aggressione delle illecite ricchezze acquisite e riconducibili, direttamente o indirettamente, a contesti delinquenziali, agendo così a tutela e salvaguardia della parte sana del tessuto economico nazionale.

Operazione “New Park” Dda: dirigenti dell’Azienda speciale di Troina “monopolizzavano”,con il metodo mafioso, le gare di assegnazione

Parco dei Nebrodi: per Legambiente è "inaccettabile lo ...

(Foto Archivi-Sud Libertà-   “Parco dei Nebrodi”)

NICOSIA (Enna) –

Operazione “New Park” della Dda di Caltanissetta che ha disposto perquisizioni nei confronti di 12 indagati.

Il metodo della licitazione privata per l’assegnazione di  1.100 ettari di pascoli del Parco dei Nebrodi  con il meccanismo delle offerte segrete e, tra il 2014 e il 2017, da parte dell’Azienda speciale Silvo pastorale di Troina,   ha posto in luce illeciti vari sotto i riflettori” della Dda di Caltanissetta che ha disposto perquisizioni nei confronti di 12 indagati.

Il provvedimento, eseguito da militari della Tenenza della guardia di finanza di Nicosia, del comando provinciale di Enna e della compagnia pronto impiego di Catania, investe dieci  imprenditori agricoli e due funzionari pubblici “infedeli”. Ma le Fiamme gialle hanno notificato pure  un avviso di garanzia a 14 indagati per reati vari, quali  abuso d’ufficio, turbata libertà degli incanti, illecita concorrenza con minaccia o violenza, estorsione, truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche. E’ contestata anche la circostanza aggravante dell’utilizzo del metodo mafioso.

Tra gli indagati dell’operazione ‘New Park’, avviata nel 2018 dalla Tenenza della Gdf di Nicosia ci sono anche due personaggi eccellenti, ex direttori pro tempore dell’Azienda speciale Silvo pastorale di Troina: Giuseppe Alessandro Militello e Salvatore Pantò. Gli imprenditori agricoli coinvolti sono: Giuseppe Conti Taguali, Carmela Pruiti, Gaetano Conti Taguali, Calogero Conti Taguali, Sebastiano Conti Taguali, Maria Conti Taguali, Melissa Miracolo, Sebastiano Musarra Pizzo, Salvatore Armeli Iapichino, e Sabastiano Foti Belligambi.

Secondo la Dda di Caltanissetta, i dieci «con la connivenza del direttore pro-tempore dell’Azienda Silvo-Pastorale, che procedeva anche all’arbitrario frazionamento del valore dei contratti al di sotto della soglia all’epoca prevista per le verifiche antimafia, avvalendosi del metodo mafioso e della forza intimidatrice, hanno di fatto monopolizzato le procedure negoziali». Questo, accusa la Procura, avrebbe «scoraggiato l’accesso alle stesse ad altri concorrenti con fondate aspettative di aggiudicazione della gara pubblica, ottenendo in tal modo l’assegnazione di lotti di pascolo mediante la presentazione di offerte ‘incoerentementè minime – previamente concordate tra i coindagati – rispetto a quelle fissate a base d’asta». Le aggiudicazioni illecite, ha ricostruito la Guardia di finanza, avrebbero permesso ai 10 imprenditori «la percezione indebita, dal 2014 al 2017, di contributi comunitari per complessivi 2,5 milioni di euro”.

Speciale Parco dei Nebrodi - Sicilia Parchi.com

Le indagini hanno messo in luce pure che  sulla gara bandita nel 2017,  è sussistente l’ipotesi di un’estorsione ad opera di altri 2 indagati a un imprenditore del Messinese legittimamente assegnatario di alcuni lotti di pascolo che erano prima gestiti da alcuni degli indagati. Durante le perquisizioni domiciliari eseguite dalle Fiamme gialle del comando provinciale di Enna sono stati rinvenuti e sottoposti a ritiro cautelare  una vera armeria,12 fucili, tre pistole, 10 coltelli e munizioni di vario calibro.

Stop al Clan Brancaccio e alla Mafia delle truffe alle Assicurazioni

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PALERMO

–  Il mandamento mafioso di Brancaccio è in corso di smantellamento da parte della Polizia di Stato che ha già notificato sequestri e eseguiti nove arresti. Le persone coinvolte nell’inchiesta sono accusate, a vario titolo, di associazione mafiosa, estorsione, associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, autoriciclaggio, danneggiamento fraudolento di beni assicurati ed altro.

Le indagini provengono dalla Direzione – Dda della Procura di Palermo che ha disposto il fermo dei  presunti esponenti del mandamento mafioso di Brancaccio, Corso dei Mille e Roccella.

“Accanto agli storici interessi per le rapine e lo spaccio di droga, – sottolineano gli investigatori – è emerso anche l’interesse della mafia verso il lucroso mercato delle truffe assicurative, realizzate attraverso i cosiddetti «spaccaossa» e il «sacrificio» di vittime scelte in contesti sociali degradati. Si tratta di un fenomeno già scoperto dalla polizia di Stato nei mesi di agosto 2018 e aprile 2019, che portò all’arresto di decine di persone

A beneficiare delle laute liquidazioni del danno, conseguenti a finti incidenti, erano le casse di Cosa Nostra che introitavano grosse somme dedotte le «spese» di poche migliaia di euro da destinare agli altri protagonisti della truffa. Nell’ambito dell’operazione sono in corso anche sequestri di beni mobili ed immobili.

Roma decide lo scioglimento del Consiglio comunale di Misterbianco: “Santapaola testa di ponte al Comune”

 

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A Misterbianco si profila una commissione di gestione straordinaria: Roma ha deciso infatti lo scioglimento del Consiglio comunale per Mafia, “accertati condizionamenti da parte delle locali organizzazioni criminali”.  La decisione era all’esame del governo. che ha decretato, su proposta del ministro dell’interno, Luciana Lamorgese, lo scioglimento del Consiglio comunale per 18 mesi.

La parola del  prefetto di Catania, Claudio Sammartino, dopo il lavoro della commissione incaricata, lo scorso 30 novembre, di un accesso ispettivo antimafia una settimana dopo “Revolution Bet 2” è stata fondamentale e propulsiva. L’inchiesta della Dda di Catania su mafia e scommesse congelò i beni di Carmelo  Santapaola, vicesindaco del comune sciolto, legato con la famiglia Placenti, e quindi al Clan Ercolano.

 Il gip di Catania afferma si tratta di a «vera e propria occupazione sistematica dell’istituzione comunale, volta ad esplicare un controllo pieno di appalti e assunzioni», con Santapaola «testa di ponte del sodalizio all’interno dell’ente comunale». Circostanza confermata dal pentito Giuseppe Scollo, per il quale l’ex vicesindaco «fa sapere le notizie sugli appalti e vantava amicizie nel Comune di Misterbianco con la possibilità di ottenere posti di lavoro ai parenti degli affiliati».

 Alcuni «riscontri concreti», atti alla mano, sull’efficacia del pressing mafioso (magari anche a insaputa del sindaco stesso). E, inoltre, le rivelazioni, pesantissime, di un altro pentito: Salvatore Messina, nome in codice (mafioso) “Manicomio”, esponente del clan Pillera. Lo scorso 3 dicembre, in una località segreta, Messina conversa e rivela molte cose ai  pm Marco Bisogni e Giuseppe Sturiale. E parla di alcuni «incontri avvenuti prima delle elezioni, in particolare nell’aprile 2012». I magistrati dicono inoltre :  è «assolutamente certo» che l’ex vicesindaco di Misterbianco «fosse a conoscenza dell’appartenenza mafiosa dei suoi cugini». Ma, in un verbale di 19 pagine con tanti  “omissis”, il collaboratore conferma ai magistrati della Dda la posta politico-mafiosa in gioco.

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Nella foto il Sindaco del Comune di Misterbianco, Nino Di Guardo

Il ruolo del sindaco del Comune di Misterbianco genera perplessità.E’ un ruolo scomodo e rischioso al contempo. Se si gira da lato è pronta la Giustizia se prova a girarsi dall’altro proverebbe  il terrore di un nome di Clan – Santapaola-  in caso di forte contrasto.   Probabilmente il sindaco ha un ruolo diplomatico ma non decisorio.

Inutile dire però  ai quattro venti che non c’è la Mafia al Comune di Misterbianco.  Adesso arriverà pure il decreto firmato dal presidente della Repubblica Mattarella. E’ al comando dell’istituzione e, recentemente aveva fornito una dichiarazione dopo l’operazione antimafia “Gisella”che ha fatto luce dopo 28 anni sulla vicenda legata all’omicidio del segretario locale della DC Paolo Arena ed il coinvolgimento della mafia locale e nel contempo hanno coinvolto l’ex vice sindaco Corsaro ed oggi consigliere comunale di opposizione.
Di Guardo rilevò che  “Corsaro aveva il dovere di e dimettersi da consigliere comunale per ridare prestigio alla sua comunità”

“Se non avessi vinto la competizione elettorale del 2017 – affermò Di Guardo – il mio comune  rischiava la possibilità di avere un sindaco appoggiato dalla mafia.”
Il riferimento era  alle intercettazioni rese note dalla stampa dalle quali emergono le telefonate fatte, nel marzo 2017, dalla segreteria politica di Marco Corsaro a due degli arrestati dell’operazione “Gisella” chiedendo di incontrali in vista della imminente campagna elettorale.
“Un fatto inaudito che tremo solo a parlarne – ebbe a dire con l’Ufficio stampa il sindaco Di Guardo – chiedeva lui le dimissioni di Santapaola e dell’amministrazione quando sapeva di avere la coda di paglia. Può rimanere Corsaro in consiglio comunale dopo aver chiesto aiuto e sostegno a mafiosi? Si dimetta subito per ridare prestigio alla sua comunità.”
Noi siamo dalla parte della verità – affermava ancora Di Guardo nel corso di un incontro con la Stampa – non abbiamo scheletri nell’armadio ed abbiamo fiducia nell’azione dei commissari prefettizi, poiché abbiamo servito il comune a testa alta, con amore e dignità e pertanto non temiamo di essere sciolti per infiltrazioni mafiose che non esistono.

 Nel 2012 la “Lista Santapaola”, a sostegno di Di Guardo candidato e poi eletto sindaco, totalizzò però  1.923 voti con l’elezione di tre consiglieri. Il pentito rivela che «i Placenti volevano avere un riferimento forte sul territorio per le licenze e per le altre cose che orbitavano nel comune».Affari illeciti scoperti e fermati definitivamente per lo scioglimento del Consiglio comunale.

COSA NOSTRA E’ DENTRO LA REGIONE SICILIA: DIRIGENTI FAVORIVANO AUTORIZZAZIONI NEL SETTORE..

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TREMANO I DIRIGENTI DEI DIPARTIMENTI DELLA REGIONE SICILIANA: SONO TANTI GLI INFILTRATI DI COSA NOSTRA,TROPPI FAVORITISMI , TROPPA CORRUZIONE, E’ IN GRAN PARTE UNA CASTA CORROTTA CHE VEDE ANCHE IL PRESIDENTE MICCICCHE’ – SECONDO IL GIP -“AVERE UN RUOLO BEN PRECISO…”

Paolo Arata, l’ex deputato di Forza Italia ed ex consulente della Lega per l’energia e il figlio Francesco, accusati dei reati di corruzione, autoriciclaggio e intestazione fittizia di beni, sono finiti stamani in carcere.

 

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Nella foto, Paolo Arata

Le indagini della Dda di Palermo  padre e figlio, rivelano che essi sarebbero soci occulti dell’imprenditore trapanese dell’eolico Vito Nicastri – anche lui in carcere con il figlio Manlio -, vicino al boss latitante Matteo Messina Denaro. Anche la classe dirigenziale della Regione Sicilia ha un ruolo specifico.Agli arresti domiciliari  il dirigente regionale Alberto Tinnirello.

Le perquisizioni dello scorso 17 aprile hanno fornito agli inquirenti  riscontri alle ipotesi d’accusa, rappresentata dal procuratore aggiunto Paolo Guido e dal pm Gianluca De Leo. L’ordinanza è stata emessa dal gip Guglielmo Nicastro. Alcune società che gestiscono impianti eolici sono state sequestrate dalla Dia di Palermo. Negli affari degli impianti eolici tra Arata e l’imprenditore Vito Nicastri ci sarebbe, secondo il gip, un “elevato rischio di infiltrazioni di Cosa nostra”.

 

Intanto, perquisizioni sono in corso negli uffici dell’assessorato Territorio e Ambiente della Regione Siciliana nell’ambito dell’arresto. Gli uomini della Dia cercano riscontri sul dirigente Alberto Tinnirello finito oggi ai domiciliari.

 

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Armando Siri: “destinatario di una tangente da 30 mila euro”secondo l’accusa

SIRI – Prosegue anche il procedimento  della Procura di Roma che vede l’ex consulente della Lega e l’ormai sottosegretario Armando Siri  coinvolto L’indagine era stata avviata a Palermo ma poi trasferita, per la parte riguardante il politico, alla Procura della  Capitale.

Siri sarebbe il destinatario di una tangente da 30 mila euro in cambio di un emendamento nell’ambito di un affare sull’eolico insieme con l’imprenditore Nicastri.            “Tra i fatti di reato sono emersi anche ipotizzati accordi corruttivi raggiunti a Roma nel settembre 2018 da Paolo Arata, dal figlio Francesco e dell’attuale senatore Armando Siri“. E’ quanto scrive il gip nella misura cautelare . Gli atti relativi a Siri sono poi stati inviati a Roma dove la Procura sta proseguendo l’inchiesta. “Ufficio con il quale è in corso pieno e proficuo coordinamento investigativo che ha consentito tra l’altro, lo scorso 18 aprile, l’esecuzione congiunta di attività di perquisizione e sequestro nei confronti di alcuni indagati iscritti sia nell’ambito del presente procedimento che nell’ambito di quello pendente innanzi alla A.G. di Roma“…

” –  Paolo Arata – comunica la Procura -“ha fatto tesoro della sua precedente militanza politica, in Forza Italia, per trovare canali privilegiati di interlocuzione con esponenti politici regionali siciliani ed essere introdotto negli uffici tecnici incaricati di valutare, in particolare, i progetti relativi al ‘bio-metano'”. “Dalle attività di indagine, infine, è emerso che Arata ha portato in dote alle iniziative imprenditoriali con Nicastri gli attuali influenti contatti con esponenti del partito della Lega, effettivamente riscontrati e spesso sbandierati dall’Arata medesimo e di cui informava puntualmente il Nicastri”.

GLI INDAGATI – Ecco chi sono gli altri indagati nell’ambito dell’operazione della Dia: Francesco Paolo Arata, 39 anni, figlio di Paolo; Francesco Isca, 59 anni; Manlio Nicastri, 32 anni; Vito Nicastri, 55 anni; Alberto Tinnirello, 61 anni.

L’indagine ha messo a soqquadro alcuni ambienti della Regione siciliana. Dirigenti sotto inchiesta come il presidente della commissione di valutazione di impatto ambientale (Via) Alberto Fonte, accusato di abuso d’ufficio. Coinvolti anche altri due funzionari Giacomo Causarano, 70 anni, che lavora al Territorio e Ambiente dove sono in corso perquisizioni e Angelo Mistretta, 62 anni, che presta servizio al comune di Calatafimi. Le indagini, spiegano gli inquirenti, “hanno ulteriormente dimostrato che, oltre alla plurima creazione illecita di società dietro cui celarsi e continuare ad operare occultamente, Vito Nicastri, anche attraverso il suo prestanome Arata, intesseva – more solito – una fitta rete di relazioni con dirigenti e politici regionali al fine di ottenere (in un caso anche dietro versamento di denaro) corsie preferenziali e trattamenti di favore nel rilascio di autorizzazioni e concessioni necessarie per operare nel settore”. Così gli inquirenti nell’ambito dell’inchiesta sull’eolico.

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“LA PROCURA: MICCICHE LI HA “INTRODOTTI NEL SISTEMA’” – Secondo il gip, Paolo e Francesco Arata sarebbero stati introdotti negli uffici dell’Assessorato alle Attività produttive della Regione siciliana, guidato dall’assessore Mimmo Turano, dal Presidente dell’Ars Gianfranco Miccichè. Sono gli stessi Arata, parlando con un interlocutore, a spiegare “di essere stati introdotti presso l’Assessore Turano dal Presidente dell’Ars, Miccichè”, scrive il gip. A “Turano – prosegue il gip – gli stessi avevano riferito delle loro co-interessenze con Vito Nicastri, dicendogli di averlo conosciuto come valente ed esperto imprenditore del settore energetico e di ritenere che proprio tale “legame” fosse la ragione della diffidenza mostrata da alcuni Uffici regionali nei confronti dei progetti della Solgesta s.r.l.“.

LE MANI DI COSA NOSTRA SULLE RINNOVABILI – Il settore delle energie rinnovabili “è stato oggetto in tempi recenti di particolari attenzioni da parte di Cosa Nostra e degli imprenditori a questa vicini e/o contigui”. E’ l’ordinanza del Gip di Palermo. Una “confluenza di interessi, da parte di più articolazioni mafiose”, che “è stata plasticamente rappresentata dal suo capo assoluto”, Totò Riina, “il quale durante la sua detenzione nel carcere milanese di Opera, nell’affrontare temi e vicende relative ad altre questioni criminali, commentava già nel 2013 con il suo interlocutore la decisione di speculare nel settore eolico da parte del latitante Matteo Messina Denaro, reo a dire del Riina di tralasciare gli affari tradizionalmente oggetto delle attività criminale di Cosa Nostra e di dedicarsi ai “pali”, figura retorica utilizzata dal boss per indicare l’attività imprenditoriale riferibile al settore dell’eolico”.

“Era assolutamente prevedibile, dunque – sottolineano i magistrati – che in ogni affare che dovesse e potesse interessare tale settore venisse coinvolto proprio Vito Nicastri”.

La “confluenza di interessi, da parte di più articolazioni mafiose” nel settore delle energie rinnovabili “è stata plasticamente rappresentata dal suo capo assoluto”, Totò Riina, noto quale “Capo dei capi””il quale durante la sua detenzione nel carcere milanese di Opera, nell’affrontare temi e vicende relative ad altre questioni criminali, commentava già nel 2013 con il suo interlocutore la decisione di speculare nel settore eolico da parte del latitante Matteo Messina Denaro, reo a dire del Riina di tralasciare gli affari tradizionalmente oggetto delle attività criminale di Cosa Nostra e di dedicarsi ai ‘pali’, figura retorica utilizzata dal boss per indicare l’attività imprenditoriale riferibile al settore dell’eolico”…

Il “re  dell’eolico”: Vito Nicastri

    Gli investigatori, che ne sottolineano l’intuito e le capacità “visionarie”, lo descrivono come un profondo conoscitore della macchina burocratica regionale, uno che sapeva quali ruote ungere per avere concessioni e autorizzazioni. Un corruttore, dunque, come conferma l’inchiesta della dda di Palermo, che l’aveva già arrestato per mafia. Alla Regione Nicastri conosceva tutti. E dove non arrivava lui arrivava il suo socio occulto, Paolo Arata, docente di ecologia
    Arrestato negli anni ’90, tornato in cella nel 2018 in una vicenda relativa all’acquisito i terreni degli esattori di Salemi, i cugini Nino e Ignazio Salvo, già condannato a 4 anni per evasione fiscale, Nicastri, sarebbe al centro di un giro di mazzette che coinvolge anche funzionari della Regione. Sei anni fa gli è stato sequestrato dalla Dia un patrimonio di circa un miliardo di euro. Il pentito Lorenzo Cimarosa, nel frattempo morto, lo ha indicato come uno dei finanziatori della ormai più che ventennale latitanza di Messina Denaro. Il mafioso Giuseppe Sucameli, intercettato, dice che “le cose le faceva per il suo amico di Castelvetrano”, riferimento chiaro al boss latitante Matteo Messina Denaro.
    Cimarosa ha raccontato di una borsa piena di soldi che Nicastri avrebbe fatto avere al capomafia attraverso un altro uomo d’onore, Michele Gucciardi. Ha sempre mantenuto costanti contatti con la politica locale in uno “scenario sconfortante”, scrissero i giudici nel decreto di sequestro, fatto di “impressionanti condotte corruttive”. Partito da una cooperativa agricola, trasformatosi in idraulico ed elettricista per avviare aziende impegnate nella riparazione di impianti si è poi convertito diventando imprenditore leader per le energie alternative. Secondo le accuse fin dagli anni ’90 capì che la protezione della mafia era fondamentale per gli affari. Il suo ruolo è consistito nel fornire una facciata legale ai rapporti inconfessabili tra la grande imprenditoria e le cosche mafiose
   

NICASTRI – Secondo il gip, inoltre, Vito Nicastri “sin dal 2010” si era reso conto “di essere possibile oggetto di iniziative investigative e giudiziarie per i suoi ricostruiti rapporti patrimoniali con l’associazione mafiosa, di talché, anche per l’importante clamore mediatico suscitato dalle iniziative ablative che lo avevano raggiunto, era ben consapevole dei rischi connessi alla prosecuzione della sua attività imprenditoriale e della certezza che, ove fosse comparso in prima persona, ne avrebbe avuto inibita praticamente l’iniziativa, oltre a subire, come già stava accadendo, e come sarebbe poi accaduto per diversi anni, sequestri e confìsche”. E’ proprio all’indomani del primo rilevante provvedimento di sequestro subito, “sino ad arrivare ad oggi, che Nicastri ha costantemente posto in essere condotte dissimulatorie al fine precipuo di continuare a rivestire un ruolo leader nel settore delle energie alternative grazie ai servigi ed alla schermatura di prestanomi nuovi che si sono succeduti nel tempo e a partecipazioni occulte nelle c.d. società ‘veicolo”’. E’ ancora l’ordinanza del Gip di Palermo di applicazione delle misure cautelari nei confronti, tra gli altri di Paolo Arata e Vito Nicastri. Un’ìordinanza giudiziaria che sembra un fiume in piena e travolge tutto e tanti

GIP – Il 31 maggio dello scorso anno, “in occasione dell’occasionale rinvenimento della telecamera installata di fronte l’ingresso della casa di Nicastri, veniva intercettata una conversazione tra Manlio Nicastri e Francesco Arata dalla quale emergeva l’assoluta consapevolezza del gruppo di non poter più interloquire liberamente con Vito Nicastri, in ragione delle prescrizioni di cui erano ovviamente a conoscenza, sia, conseguentemente, la necessità di adottare cautele ancora più rigorose posto che avevano appena scoperto di essere oggetto di investigazioni”. E’ ulteriormente l’ordinanza del Gip di Palermo di applicazione delle misure cautelari nei confronti, tra gli altri di Paolo Arata e Vito Nicastri. Il gruppo Nicastri/Arata “si attivava, inoltre, alla ricerca di eventuali microspie all’interno dell’autovettura, con esito positivo. Difatti, nel pomeriggio del successivo 08.06.2018 a bordo dell’autovettura monitorata, Nicastri Manlio e Arata Francesco si recavano nei pressi di una officina di elettrauto, dove facevano controllare l’abitacolo da una terza persona”. “La ‘brutta notizia’ del rinvenimento della microspia era tempestivamente preannunciata telefonicamente da Arata Francesco ad Arata Paolo. E’ di tutta evidenza, quindi -si legge nel documento- che tutti i protagonisti delle vicende sinora esaminate avevano ben chiaro che erano sottoposti ad indagine e che non potevano in alcun modo con Vito Nicastri (con l’unica eccezione del figlio Manlio). Gli Arata lungi dall’astenersi dal continuare ad essere la longa manus di Nicastri nelle iniziative che li riguardavano, continuavano invece a tessere con il detenuto agli arresti domiciliari fitte comunicazioni e continue interlocuzioni, al punto di essere colti in flagranza della violazione delle prescrizioni della misura cautelare”.

Nicola Morra presidente della COMMISSIONE ANTIMAFIA CONVOCA SALVINI – “Ho richiesto con lettera ufficiale in data 7 maggio 2019 la convocazione del ministro dell’Interno Salvini in commissione Antimafia. Lettera ufficiale che è partita solo dopo numerose sollecitazioni informali per fissare una data di audizione già dalla terza settimana d’insediamento della commissione stessa, ovvero a dicembre 2018”.

“Il rispetto istituzionale avrebbe richiesto una veloce risposta alle interlocuzioni informali anche per dare precedenza a chi è preposto con le sue linee guida alla lotta alla mafia – sottolinea Morra -. La lettera ufficiale è solo l’ultimo passaggio che oggi, anche alla luce dei nuovi arresti in Sicilia, mi vede costretto a renderlo pubblico e ribadire l’urgenza dell’audizione del ministro Salvini”.

Operazione “Scrigno”a Trapani: 25 arresti, sequestro di 10 milioni di euro, arrestato Paolo Ruggirello, ex deputato

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                  –    RAPPORTO POLITICA -MAFIA NEL TERRITORIO DI MATTEO MESSINA DENARO  –

Una indagine complessa con diversi retroscena e sorprese,   l’operazione “Scrigno” come è stata definita,dal nome di un negozio dei “Virga” ha messo in luce il rapporto di alcuni politici con la mafia, politici che interloquivano con Cosa nostra per avere voti alle elezioni. Non c’è stata campagna elettorale – si è scoperto- per la quale Cosa nostra trapanese non si sia impegnata negli ultimi anni. E’ stata intercettata la voce di Franco Virga, il figlio maggiore di Vincenzo, per convincere gli amici a impegnarsi nelle elezioni, “Se va bene a me va bene a tutti”, affermava il Virga con toni da superboss.

 Duecento gli uomini dell’Arma comandato dal colonnello GianLuca Vitagliano impegnati ad eseguire 25 arresti e un sequestro di beni per 10 milioni di euro. L’ordine di arresto reca la firma del gip del Tribunale di Palermo, giudice Morosini, dai Pm della Dda di Palermo, il procuratore aggiunto Paolo Guido ed i Pm De Leo e Camilleri.

Boss riconosciuti, “Capi mandamento accertati “, comunicano gli inquirenti,sono Franco e Pietro Virga, liberi da qualche anno, figli dell’ergastolano Vincenzo che ha guidato la mafia di Trapani dagli anni ’80 e sino al suo arresto nel 2001. . Affianco ai fratelli Virga suggeritori delle cosche, Nino Buzzitta e un ex consigliere comunale di Trapani del Psi, Franco Orlando, arrestato per mafia a metà degli anni ’90 quale “uomo d’onore riservato”, affiliato alla mafia dal latitante Matteo Messina Denaro e che prima di essere arrestato nel 1996 si divideva tra le aule consiliari e i rifugi messi a disposizione ad alcuni latitanti. Orlando sarebbe stato reggente della mafia trapanese in attesa del ritorno in libertà dei fratelli Virga. Stanotte i Carabinieri sono andati anche sull’isola delle Egadi per arrestare una persona e mettere i sigilli ad un lussuoso albergo, il Grand Hotel Florio.

Le indagini condotte dagli investigatori del nucleo provinciale dei carabinieri, comandato dal tenente colonnello Antonio Merola, hanno disarticolato  l’organizzazione del mandamento mafioso di Trapani e colpito le famiglie anche di Paceco, Marsala, addirittura una famiglia mafiosa è stata scoperta esistere sull’isola di Favignana. Vi è pure la sorpresa, un arresto eccellente.Quello dell’ex deputato regionale Paolo Ruggirello, 53 anni, accusato di associazione mafiosa. Parlamentare all’ Assemblea Regionale Siciliana dalla XIV alla XVI legislatura….

Alle nazionali aveva anche tentato l’elezione al Senato. Figlio di un banchiere , Giuseppe Ruggirello, morto a metà degli anni ’90, Ruggirello jr era segretario particolare dell’ex vice presidente della Regione Bartolo Pellegrino all’epoca in cui, nel 2007, questi fu arrestato per mafia e corruzione (alla fine fu dichiarata la sola prescrizione per il reato di corruzione e assolto dalle accuse di mafia). A venti anni dall’ultima indagine che ha riguardato il mandamento mafioso di Trapani, un ventennio dopo a capo del mandamento i carabinieri hanno ritrovato i personaggi dell’epoca

Nella foto Paolo Ruggirello

Ma uno dei retroscena più particolari dell’indagine è il rapporto di alcuni politici con la mafia, politici che interloquivano con Cosa nostra per avere voti alle elezioni. Non c’è stata campagna elettorale per la quale Cosa nostra trapanese non si sia impegnata negli ultimi anni. E’ stata intercettata la voce di Franco Virga, il figlio maggiore di Vincenzo, per convincere i sodali a impegnarsi nelle elezioni, dicendo loro “se va bene a me va bene a tutti”.

E così per il reato (416 ter) sono stati arrestati  un ex consigliere comunale di Erice, Giovanni Maltese e  una donna, nella ultima trascorsa consiliatura ex assessore comunale a Trapani, Ivana Inferrera, in carcere  anche suo marito l’imprenditore Ninni D’Aguanno, ……

 

                     –       PERSONALITA’ DEI DUE ARRESTATI RUGGIRELLO E  INFERRERA   –

 Paolo Ruggirello

Ex deputato regionale, Paolo Ruggirello era stato candidato anche alle ultime elezioni con il Pd, senza esito. Figlio di Giuseppe, piccolo imprenditore edile che fra gli anni Settanta e Ottanta era riuscito a farsi strada nel mondo degli appalti per poi diventare banchiere della Banca industriale trapanese, quindi presidente del Trapani Calcio. Poi, arrivano i sospetti. In un vecchio rapporto della Guardia di Finanza si parla dei rapporti del banchiere con la mafia. Nel 1995, Ruggirello senior muore all’improvviso e gli affari di famiglia vengono presi in mano dalla figlia Bice, Paolo si lancia invece in politica. Nel 2006 Bartolo Pellegrino, tornato assessore regionale al Territorio e Ambiente nel governo di Totò Cuffaro, lo sceglie come segretario. Ma mentre Pellegrino è costretto alle dimissioni perché intercettato mentre parlava con un mafioso degli “sbirri”, Ruggirello abbraccia il progetto autonomista di Raffaele Lombardo e nel 2012 viene eletto all’Ars con diecimila voti. Quindi nel 2015 il passaggio nelle file del Pd di Matteo Renzi. Ruggirello ci riprova senza successo con i dem nel 2017 alla Regione e un anno fa al Senato ma resta fuori dalle Istituzioni.

 Ivana Inferrera

La Inferrera, 55 anni e una laurea in Conservazione dei beni culturali, è stata invece direttrice del Museo della preistoria e nel 2013 è stata nominata assessore alle Strategie di sviluppo, alle politiche sociali e al Turismo del Comune di Trapani: l’accusa per lei è di voto di scambio politico-mafioso.

MAFIA SICILIANA: La distribuzione dei farmaci di Sicilia e Calabria nelle mani dei clan: otto arresti a Messina

Messina, Sicilia, Cronaca

Il controllo della distribuzione dei farmaci e l’acquisto delle baracche di Messina per essere poi affittate. Sono questi i motivi essenziali che stanno, alla base del blitz che ha portato questa mattina a otto arresti fra le province di Messina, Catania e Palermo e ha colpito il clan Romeo-Santapaola.

In galera sono : Antonio Lipari, Salvatore Lipari, Giuseppe La Scala, Giovanni Marano, Michele Spina, Ivan Soraci, Maurizio Romeo, Salvatore Parlato.

Una operazione del Ros, in collaborazione con i carabinieri di Messina che hanno dato esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare del gip del Tribunale di Messina su richiesta della Dda. Le accuse sono di associazione di tipo mafioso, traffico di influenze illecite, estorsione e turbata libertà degli incanti, aggravati dal metodo mafioso, poiché commessi per agevolare l’attività del gruppo

Le indagini di “Beta 2”, avviate nel 2017, costituiscono lo sviluppo dell’operazione Beta, del luglio dello stesso anno, che aveva dimostrato l’operatività a Messina di una cellula di cosa nostra catanese, legata ai Santapaola. Un gruppo la cui esistenza è stata confermata in una recente sentenza, in sede di giudizio abbreviato, in cui sono state inflitte pesanti condanne ai principali esponenti del sodalizio.

Agli arresti di oggi si è arrivati per le recenti dichiarazioni del collaboratore Biagio Grasso. In particolare, sono stati documentati:

− Il controllo della distribuzione dei farmaci in Sicilia e Calabria e l’imposizione, sfruttando la capacità di intimidazione del sodalizio, dell’acquisto di farmaci da parte delle farmacie dislocate sul territorio di Messina;

− Azioni punitive nei confronti di esponenti di clan cittadini rivali, e di danneggiamenti;

− La gestione, nell’interesse di cosa nostra, del settore dei giochi e delle scommesse illegali;

− Il traffico di influenze illecite, aggravato dal cd. metodo mafioso, poiché i membri dell’associazione promettevano la somma di 20.000 euro a titolo di acconto da corrispondere ad un funzionario della società Invitalia (ex sviluppo italia) per ottenere l’inserimento di un progetto contro la ludopatia in una graduatoria che avrebbe dovuto consentire di ricevere un finanziamento di circa 800 mila euro, di cui il 40% – 50% a fondo perduto.

− L’estorsione ai danni proprio di Grasso, costretto a cedere la propria quota societaria, del valore di 220.000 euro, della P&F s.r.l. con sede a Messina;

− La turbativa d’asta commessa da un dipendente dell’ufficio urbanistica del comune di Messina, nell’interesse del gruppo criminale, alterando la gara – indetta dal predetto comune nel 2014 – per l’acquisto sul libero mercato di alloggi da assegnare in locazione agli abitanti delle novantacinque baracche della zona di Messina denominata “Fondo Fucile”.

Nel medesimo contesto, è stata data esecuzione al sequestro preventivo della BET s.r.l., società con sede a Catania, operante nel settore dei giochi e delle scommesse. Si attendono altri sviluppi.

 

ANTIMAFIA IN AZIONE A PALERMO: PER 11 SUPERBOSS E’ BUIO PROFONDO

Blitz antimafia nella notte a Palermo 11 arresti

foto Comunication
  

La religione al servizio della mafia. Le processioni e le feste religiose erano organizzate infatti dalla mafia. 

 Forse siamo alla fine del romanzo  della gestione del racket, tra sacro e profano, uscito dall’inchiesta della Dda di Palermo culminata nell’ordinanza di custodia cautelare a carico di 11 tra boss, gregari ed estortori del clan Noce di Palermo.

Colui che non si  piegava alle richieste era fatto oggetto di pesanti ritorsioni come nel caso di un commerciante cui era stata incendiata la casa quale conseguenza al suo rifiuto di pagare o contribuire alle spese dei malavitosi.

 

L’inchiesta- si apprende – è stata coordinata dal procuratore di Palermo Francesco Lo Voi, dall’aggiunto Salvo De Luca e dai pm Roberto Tartaglia, Annamaria Picozzi e Amelia Luise.

 

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