Vendevano “falsi” Green pass” (ma idonei a superare i controlli) -La Guardia di Finanza oscura i canali/siti e li denuncia alla Procura

Oscurati 11 canali di un'applicazione di messaggistica su cui erano in vendita falsi "Green pass"
La Guardia di Finanza denuncia alla Procura i titolari di 11 canali

 Roma

Si sono messi nei guai chi pensava di eludere i controlli con “Green pass”  falsi ma idonei nella sostanza. C è la corsa oggi all’inganno.  Molti non credono alla scienza nè agli scienziati divulgatori in contraddizione tra di essi.  Ma la Guardia di Finanza non poteva tollerare che alcuni fuorilegge mettessero in crisi le reali statistiche del Ministero della Salute con danni di non poco conto alla popolazione vaccinata.

Dunque militari del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Roma hanno eseguito il decreto di sequestro preventivo emesso dal G.I.P. del locale Tribunale, su richiesta della Procura della Repubblica capitolina, con il quale è stato disposto l’oscuramento di 17 canali di un’applicazione di messaggistica istantanea contenenti annunci di vendita di falsi “Green Pass”.

Nel corso di attività di monitoraggio della rete e dei social network, i Finanzieri del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Roma hanno individuato 8 canali pubblici e 9 profili privati su cui erano proposte in vendita false “Certificazioni verdi COVID-19”, ad un prezzo compreso tra 100 e 500 euro, in alcuni casi da versare a mezzo di criptovalute.

Secondo le indicazioni riportate sulle pagine, i “Green Pass” venivano forniti sia nel formato digitale che cartaceo, anche nella modalità “Super Green Pass”, per il quale è richiesta l’avvenuta vaccinazione. Tutti i documenti sarebbero stati muniti di QR Code asseritamente idoneo a superare i controlli da parte delle competenti Autorità. Venivano pubblicizzati anche particolari sconti commerciali in caso di acquisto di più attestati, come la formula del “pacchetto famiglia”, ed era “garantita” la piena affidabilità ed efficacia delle certificazioni, nonché un “servizio di assistenza” in caso di problemi.

Gli approfondimenti condotti hanno permesso di accertare che almeno 140.000 utenti si sono collegati ai canali ora oscurati al fine di ottenere informazioni o le false certificazioni.

La presenza di questo genere di profili è recentemente aumentata in seguito ai provvedimenti normativi che hanno esteso l’obbligatorietà del “Green Pass” per lo svolgimento di determinate attività. Tuttavia, come noto, la certificazione verde Covid-19 viene emessa solamente dalla Piattaforma nazionale del Ministero della Salute e non può essere oggetto di vendita in rete.

Il procedimento penale versa, attualmente, nella fase delle indagini preliminari.

Messina,Peculato, corruzione e turbata libertà nella Scelta del contraente

 

Peculato, corruzione e turbata libertà nella Scelta del contraente

Messina

Nella mattinata odierna, operatori della Guardia di Finanza e della Polizia di Stato sono stati impegnati nell’esecuzione di cinque misure cautelari interdittive nei confronti di altrettanti soggetti ritenuti responsabili dei reati di peculato, corruzione, turbata libertà del procedimento di scelta del contraente e violazioni alla normativa in materia di subappalto.

A dare avvio alle investigazioni, coordinate dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Messina, sono intervenute mirate segnalazioni inerenti anomalie nell’affidamento e nella gestione dei servizi e delle attività afferenti il settore acquedotto dell’azienda.

Specificamente, erano stati riscontrati una eccessiva frammentazione dei lavori ed un frequente ricorso alla trattativa privata e/o all’affidamento diretto a favore di un limitatissimo numero di ditte, in palese violazione degli obblighi di evidenza pubblica e del principio di rotazione previsto per gli appalti c.d. sottosoglia che utilizzano la procedura negoziata.

I successivi approfondimenti, quindi, espletati per il tramite di intercettazioni telefoniche ed ambientali, interventi di natura dinamica e di riscontro sul territorio ed acquisizioni documentali, hanno consentito di fare luce, secondo ipotesi d’accusa e che dovrà trovare conferma nei successivi gradi di giudizio, su un sistema radicato nel suddetto Ente, connotato dalla cattiva gestione dei poteri e delle prerogative connesse alla funzione pubblica afferente agli affidamenti di lavori e forniture da parte di una municipalizzata comunale incaricata della gestione dell’acquedotto, il cui esercizio, allo stato delle investigazioni, sarebbe risultato piegato alla realizzazione di interessi di tipo personalistico piuttosto che rispondente ai principi di correttezza, trasparenza ed imparzialità che dovrebbero presiedere all’azione amministrativa.

Nella presente fase delle indagini, che hanno trovato un primo vaglio positivo nel Giudice delle Indagini preliminari del Tribunale di Messina, la figura centrale è risultato un funzionario del predetto Ente, responsabile del servizio acquedotto, il quale operava, secondo ipotesi d’accusa, con spregiudicatezza e gestendo in maniera personalistica l’articolazione da lui diretta, tanto da fare mercimonio della funzione ricoperta, per ottenere vantaggi personali.

In svariate circostanze il funzionario, essendo necessario eseguire lavori di scavo per perdite della rete idrica comunale e ripristinare la sede stradale, provvedeva con affidamento diretto ad incaricare ditte, i cui titolari erano ovviamente compiacenti, senza la previa consultazione di altre imprese e, quindi, in violazione alla normativa in materia di appalti pubblici.

Inoltre, come emergente dall’attività d’indagine svolta dalle Fiamme Gialle e dalla Polizia di Stato, il predetto funzionario si sarebbe appropriato, avendone la disponibilità, di materiale idraulico di proprietà della municipalizzata del valore di circa 1.000 Euro e di alcuni contatori in ottone dismessi, vendendoli a terzi per oltre 2.000 Euro e acquistando, con il ricavato, una caldaia e dei radiatori da installare nella propria abitazione.

Da ultimo, allo stesso funzionario è altresì oggetto di contestazione provvisoria l’aver richiesto ad un imprenditore, che accettava, di assumere a tempo determinato il proprio figlio, offrendogli in cambio informazioni sulle offerte presentate da altre ditte concorrenti nelle gare per l’aggiudicazione dei lavori ed annullando procedure già concluse, al solo fine di favorirlo.

Sulla scorta del quadro indiziario così raccolto, salvo diverse valutazioni giudiziarie nei successivi livelli e fermo restando il generale principio di non colpevolezza sino a sentenza passata in giudicato, il competente Tribunale di Messina disponeva nei confronti del funzionario indagato la misura cautelare della sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio per la durata di un anno, con interdizione, per il medesimo periodo, dello svolgimento di tutte le attività inerenti al pubblico ufficio o servizio da lui ricoperto; parimenti, nel medesimo ambito, venivano disposte ulteriori quattro misure cautelari del divieto temporaneo di contrattare con la P.A. nei confronti di altrettanti imprenditori, nella misura variabile da sei mesi a 10 mesi

Al rintraccio ed alla notifica dei provvedimenti hanno proceduto, per la Polizia di Stato, la Squadra Mobile della Questura di Messina, insieme al Commissariato di Taormina, e per la Guardia di Finanza, il G.I.C.O del Nucleo di Polizia economico-finanziaria di Messina, unitamente alla Compagnia di Taormina.

La Finanza di Catania paralizza e disarticola consorterie criminali internazionali dedite al traffico di droga

 

Nell’ambito di articolate attività d’indagine coordinate dalla Procura della Repubblica – Direzione Distrettuale Antimafia, i Finanzieri del Comando Provinciale della Guardia di finanza di Catania, con la collaborazione e il supporto dello SCICO (Servizio Centrale Investigazione Criminalità Organizzata) e del “Cuerpo Nacional de Policia” spagnolo, hanno individuato e tratto in arresto a Valencia (Spagna) J. C. H. R., narcotrafficante di origine colombiana, latitante, su cui pendeva un mandato di arresto europeo per traffico internazionale di sostanze stupefacenti.

Nel dettaglio, le informazioni acquisite nel tempo e la collaborazione internazionale hanno permesso di individuare a Valencia il citato H., che è stato tratto in arresto dalla polizia spagnola ed è in attesa di estradizione.

H. era infatti tra i destinatari dell’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Catania, con cui, lo scorso 25 maggio, sono state disposte misure restrittive nei confronti 13 persone, sottoposte a indagine, a vario titolo, per associazione a delinquere e spaccio di sostanze stupefacenti.

Si apprende anche che l’attività investigativa – svolta dal Nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di finanza di Catania – ha consentito di porre in luce e disarticolare due consorterie criminali operanti nel capoluogo etneo, dedite alla commercializzazione di elevati quantitativi di sostanze stupefacenti, e di sottoporre a sequestro, in più occasioni, oltre 367 kg di marijuana e cocaina.

In particolare, la prima associazione, promossa da due fratelli colombiani, coadiuvati da altri due cittadini del medesimo paese sudamericano, era dedita al traffico di cocaina.

La seconda associazione criminale era a sua volta articolata in due gruppi.

Il primo, costituito da cittadini albanesi, ed è risultato attivo nell’importazione di importanti quantitativi di droga dall’Albania, poi rivenduti a organizzazioni operanti sul territorio siciliano.

Il secondo gruppo si riforniva di stupefacente del tipo marijuana dal primo sodalizio, per poi rivenderlo a Catania.

Le investigazioni, condotte dalle unità specializzate antidroga del GICO del Nucleo di PEF della Guardia di finanza di Catania, hanno consentito, nel tempo, di effettuare sei interventi repressivi del traffico di stupefacente. In particolare, gli interventi, operati in provincia di Catania (Belpasso e Misterbianco) e a Messina, hanno consentito di pervenire al sequestro di 367 kg tra marijuana e cocaina, destinate al mercato catanese.

IN GINOCCHIO A CATANIA IDEATORI DI TRUFFE ED EVASIONI FISCALI: DUE ARRESTI E 47 PERSONE DENUNCIATE

CATANIA

Un’ordinanza di custodia cautelare è stata emessa dalla Guardia di Finanza nei confronti di due professionisti (dottori commercialisti ed esperti contabili), sottoposti a indagini per aver ideato e commercializzato modelli di evasione fiscale attraverso cui sono state commesse più condotte di indebite compensazioni di debiti IVA. Nel complesso 47 sono i soggetti sottoposti a indagine, che ha permesso di evidenziare la creazione di crediti fittizi per oltre 105 milioni di euro.

Nel dettaglio, le indagini, originate da autonoma attività di analisi svolta dalle unità specializzate del Nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di finanza di Catania e poi condotte dallo stesso Nucleo PEF anche mediante intercettazioni telefoniche e ambientali, oltre che con accertamenti bancari, hanno permesso di mettere in luce un articolato sistema, finalizzato a consentire, in particolare, a 14 società, attive su tutto il territorio nazionale e operanti in diversi settori economici (trasporti, pulizie, consulenza alle imprese), l’evasione delle imposte sui redditi mediante il sistema della indebita compensazione dei debiti tributari.

La complessa attività delittuosa posta in essere dai sodali consisteva, in sintesi, nella strumentalizzazione della possibilità data ai contribuenti di portare a compensazione dei propri debiti nei confronti dell’Amministrazione finanziaria crediti relativi alla medesima tipologia di imposta maturati o maturandi in relazione a un diverso periodo. I sodali, quindi, si adoperavano per consentire alle società o ai professionisti debitori dell’amministrazione finanziaria di effettuare l’acquisto, mediante accollo, di crediti vantati da parte di altre società nei confronti della medesima amministrazione, ma derivanti da operazioni in tutto o in parte inesistenti, verso il pagamento di una somma inferiore al loro valore nominale, in modo da consentire all’acquirente di compensare in tutto in parte il proprio debito nei confronti dell’amministrazione finanziaria.

Per quanto sopra, a seguito delle complesse indagini, coordinate dalla Procura della Repubblica di Catania e svolte dal Nucleo PEF della Guardia di finanza di Catania: – sono stati denunciati, complessivamente, 47 soggetti, tra professionisti, intermediari e imprenditori, tutti sottoposti a indagine per il reato di cui all’articolo 10-quater del d.lgs. n. 74 del 2000; – sono stati evidenziati, nel complesso, 105 milioni di crediti IVA fittizi, dei quali 67 utilizzati per operare le indebite compensazioni; – 2 professionisti sono stati destinatari di misura cautelare personale (arresti domiciliari).

L’attività si inserisce nel più ampio quadro delle azioni svolte dalla Guardia di finanza di Catania a tutela della finanza pubblica, con lo svolgimento di complesse indagini volte, da un lato, a contrastare le più insidiose forme di frode fiscale che ledono gli interessi finanziari della collettività e, dall’altro, a garantire il recupero degli illeciti proventi dell’evasione, da destinare, una volta definitivamente acquisiti alle casse dello Stato, anche a importanti interventi economico e sociali.

Napoli, sequestrati oltre 5 quintali di sigarette ,arrestati due contrabbandieri

 

 

 

NAPOLI

Sequestrati oltre 5 quintali di “bionde” dal Comando della Guardia di Finanza di Napoli che ha tratto in arresto due contrabbandieri denunciandone altri sei.

Questo il bilancio di una serie di controlli operati in questi giorni e nelle ultime ore, frutto dell’intensificazione delle attività di prevenzione generale e di controllo economico del territorio sul capoluogo e nell’area metropolitana da parte delle Fiamme Gialle partenopee.

In particolare, nel corso di un primo intervento i Baschi Verdi del Gruppo Pronto Impiego di Napoli, durante i costanti controlli su strada hanno individuato, all’incrocio tra via circumvallazione esterna di Napoli e via Luigi Minale del comune di Melito di Napoli, un ingente quantitativo di sigarette di contrabbando dei marchi “Winston” e “Minsk” su un’autovettura”, occultate sotto un telo nero su cui erano stati poggiati tubi idraulici e pettorine catarifrangenti.

Le successive perquisizioni condotte presso un box nella sua disponibilità hanno consentito di trarre in arresto un 29enne di Napoli, già noto per fatti di contrabbando, e di sottoporre a sequestro nel complesso 380 kg di “bionde”.

Nel corso di una seconda operazione gli stessi Baschi Verdi hanno notato, in via del Cassano, nel quartiere Secondigliano del capoluogo, un soggetto che, dopo aver notato il passaggio della pattuglia, si era allontanato repentinamente.

Insospettiti dal comportamento dell’uomo, i finanzieri lo hanno prima fermato, trovandolo in possesso di 200 grammi di sigarette di contrabbando; i successivi accertamenti, condotti in stretto raccordo con la Sala Operativa, hanno permesso di riscontrare il suo stato di latitanza, poiché si era sottratto ad un ordine di carcerazione per “porto di armi od oggetti atti ad offendere” e “furto” emesso a suo carico dal Tribunale di Avellino. Al termine delle attività è stato ristretto presso il carcere di Poggioreale.

Inoltre il II Gruppo Napoli nel quartiere Stella ha sottoposto a sequestro, in via Bellini, angolo vico III Casanova, 120 kg di sigarette di contrabbando trasportate su un furgone notato perché vicino allo stesso vi erano due uomini che alla vista della pattuglia hanno abbandonato una valigia e si sono repentinamente dileguati.

La Compagnia di Pozzuoli a Bagnoli ha sequestrato presso l’abitazione di un 67enne, successivamente denunciato, oltre 10 kg di sigarette dei marchi “Winston”, “Regina Red” e “821”.

Le Compagnie di Casalnuovo e Torre del Greco hanno denunciato 5 minutanti che detenevano diverse decine di pacchetti di sigarette di contrabbando messe in vendita all’interno di autovetture o su un espositore di plastica.

Infine, il Gruppo di Frattamaggiore ha sottoposto a sequestro oltre 28 kg. di sigarette di contrabbando tra “Regina”, “Stix”, “Marlboro” e “Winston”, tutte sprovviste dei contrassegni dei Monopoli di Stato, sanzionando a livello amministrativo 12 responsabili.

Operazione “The uncle” – Confiscati beni ad usurai per 3,5 milioni di euro.Applicavano tassi oltre il 60% su base annuale

 

PALERMO

Prosegue senza soste l’azione che la Guardia di Finanza palermitana svolge, nell’ambito delle indagini delegate dalla Procura della Repubblica di Palermo, a contrasto dei patrimoni di origine illecita con la duplice finalità di disarticolare in maniera radicale le organizzazioni criminali mediante l’aggressione delle ricchezze illecitamente accumulate e di liberare l’economia legale da indebite infiltrazioni della criminalità, consentendo agli imprenditori onesti di operare in regime di leale concorrenza.

Il Tribunale di Palermo – Sezione Misure di Prevenzione, su richiesta della locale Procura della Repubblica, ha emesso un decreto di confisca del patrimonio dei fratelli G.S. e M.S. divenuto irrevocabile con sentenza della Corte di Cassazione, per un valore stimato di oltre 3,5 milioni di euro, eseguito dai finanzieri del Comando Provinciale di Palermo.

L’attività di servizio odierna si ricollega all’operazione convenzionalmente denominata “The Uncle”, svolta nel 2011 dal Nucleo di polizia economico finanziaria nei confronti dei due fratelli S. (M. ha già patteggiato la pena a tre anni e tre mesi di reclusione, mentre G. è attualmente in giudizio) facendo emergere una vasta attività illecita di erogazione di prestiti a commercianti ed imprenditori in difficoltà economica, con l’applicazione di tassi di interesse usurari, che arrivavano fino al 60% su base annuale.

Parallelamente alle investigazioni penali, gli specialisti del G.I.C.O. del Nucleo di polizia economico finanziaria venivano delegati dall’Autorità Giudiziaria palermitana all’esecuzione di indagini economico-patrimoniali, sulla scorta delle quali il Tribunale di Palermo – Sezione Misure di Prevenzione, in accoglimento della proposta avanzata dalla Procura della Repubblica, disponeva nel 2012 il sequestro di beni mobili, immobili e disponibilità finanziarie, in quanto assolutamente incompatibili con la capacità reddituale ufficialmente dichiarata dagli indagati.

Nel 2017, a conclusione del procedimento di prevenzione, il Tribunale di Palermo emetteva il provvedimento di confisca nei confronti di S. M. e G., ora divenuto definitivo all’esito del rigetto dei ricorsi da parte della Corte di Cassazione, con riguardo ai seguenti beni: 2 imprese (un bar tabaccheria a Misilmeri (PA) e un negozio di abbigliamento a Palermo);

  • 14 immobili, tra abitazioni, locali commerciali e appezzamenti di terreno, ubicati tra Palermo, Bagheria, Trabia e Termini Imerese; 11 veicoli; 20 rapporti finanziari.

 

Operazione Wedding planner – Esecuzione di 3 misure cautelari per favoreggiamento all’immigrazione clandestina e corruzione

Operazione Wedding planner - Esecuzione di 3 misure cautelari per favoreggiamento all’immigrazione clandestina e corruzione

RAGUSA

Militari del Comando Provinciale di Ragusa hanno dato esecuzione ad un’ordinanza applicativa di misura cautelare, emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari di Ragusa su richiesta del Sost. Proc. Dott. Santo Fornasier nei confronti di 3 soggetti, tutti cittadini italiani, tra cui un pubblico ufficiale appartenente alla polizia locale di Comiso, ritenuti responsabili per aver favorito la permanenza sul territorio nazionale di immigrati clandestini.

Si tratta di: D.G. (classe 1969) di Comiso (RG) – obbligo di dimora ;D.M. (classe 1971) di Comiso (RG) – obbligo di dimora;P.F. (classe 1968) di Ragusa – sospensione dai pubblici uffici mediante interdizione per mesi 6.

Il provvedimento trae origine dallo sviluppo di elementi investigativi emersi nel corso di indagini svolte dal Nucleo di Polizia Economico –Finanziaria di Ragusa nell’ambito della op.ne “Smart Truck”, nel settore degli stupefacenti, conclusasi nel novembre scorso con l’arresto complessivo di 8 persone ed il sequestro di 105 Kg di marijuana e 15 Kg di hashish

In particolare, la disamina dei tabulati telefonici delle utenze intestate ai due cittadini extracomunitari individuati in due episodi di minuto spaccio consentiva l’individuazione di una utenza riconducibile ad una donna di Comiso precedentemente arrestata in provincia di Cosenza dall’Arma dei Carabinieri perché trovata in possesso di circa 5 Kg. di marijuana destinata al mercato clandestino vittoriese.

Gli accertamenti avviati permettevano di riscostruire i contatti della donna che da un lato risultava essersi volontariamente addossata la responsabilità del trasporto dello stupefacente per conto di un noto pregiudicato vittoriese e dall’altro aveva messo su una vera e propria “agenzia matrimoniale” e di disbrigo pratiche per consentire ai cittadini extracomunitari l’indebito ottenimento del permesso di soggiorno.

La donna, D.G. (classe 1969) originaria di Pomezia e disoccupata era riuscita a inventarsi un business particolarmente redditizio potendo contare su una fittissima rete di conoscenze sul territorio a fronte di una domanda sempre più incessante. Le modalità erano sempre le stesse: venivano contattate donne single e bisognose di denaro – anche di altre province – con le quali, dopo aver ottenuto la disponibilità a contrarre matrimonio con cittadini extra-comunitari sconosciuti, pattuiva il compenso che mediamente si aggirava attorno ai 5.000 euro e che veniva elargito in più tranches in parallelo con gli adempimenti burocratici.

Ma il momento nel quale la messa in scena raggiungeva l’apice era quello del giorno del fatidico “si”: il trucco e l’abito, i testimoni, la “solita torta” per il festeggiamento presso la Casa Comunale tutto veniva orchestrato nei minimi dettagli per non destare sospetti dinnanzi ad un “amore” che sarebbe durato il tempo strettamente necessario per poter sfruttare lo strumento dei termini previsti dal c.d. divorzio breve introdotto dalla legge 55/2015.

Come se non bastasse, D.G. aveva avviato anche un altro fiorente giro d’affari, mettendo a disposizione la propria abitazione, con falsi contratti di locazione per consentire a suoi conoscenti extra-comunitari di ottenere una fittizia residenza e conseguentemente avviare le pratiche per l’ottenimento in maniera indebita del permesso di soggiorno.

Tra i servizi offerti ai propri “clienti”, la donna si rendeva disponibile a fornire la propria presenza, in sostituzione dei soggetti extracomunitari, per attestare l’effettiva residenza al momento della visita del personale della polizia locale incaricato dei controlli. Stesso tipo di attività veniva svolta anche da D.M. (classe 1971), che oltre a collaborare con la donna, aveva avviato da tempo una lucrosa attività da vero e proprio professionista del settore.

L’uomo, infatti, potendo contare su una fitta rete di conoscenze nell’ambito di uffici comunali e di polizia locale, utilizzava un immobile nella propria disponibilità, diroccato ed inagibile, indicato in decine di richieste di residenza, mentre in altri casi veniva indicato un altro indirizzo ancora più inverosimile in quanto riferibile ad un supermercato. Le richieste invece andavano tutte a buon fine grazie alla esibizione di falsi contratti di locazione registrati all’Agenzia delle Entrate ed al fondamentale illecito contributo di un appartenente alla Polizia Locale di Comiso, P.F., che nell’esercizio delle funzioni di organo accertatore, confermava la presenza dei cittadini extra-comunitari, “chiudendo un occhio” in cambio di 100 euro per ogni residenza falsamente attestata.

Infatti il citato pubblico ufficiale compariva in tutti i verbali di accertamento nei quali veniva sistematicamente confermata e certificata la presenza dei richiedenti, “clienti” del D.M.. Come se non bastasse, quest’ultimo è risultato beneficiario di reddito di cittadinanza che percepisce da oltre un anno.

Al riguardo sono in corso ulteriori accertamenti volti a verificare la titolarità ai fini dell’eventuale decadenza della misura assistenziale. Nel complesso, l’attività ha permesso di individuare:n. 28 casi di falsi contratti di locazione

  • n. 5 episodi di matrimoni combinati, messi in atto al solo scopo di ottenere i descritti benefici di legge per la permanenza sul territorio nazionale.

L’attività in esame costituisce un esempio dell’impegno che la Guardia di Finanza sviluppa quotidianamente per contrastare ogni forma di illecito incluso il favoreggiamento all’immigrazione clandestina e l’insorgere dei numerosi fenomeni illeciti che vi ruotano attorno. Le investigazioni hanno dimostrato infatti come persone senza scrupoli siano riuscite ad individuare delle vere e proprie opportunità di indebito arricchimento dietro un fenomeno, che interessa fortemente la provincia iblea.

Operazione “Truch”,arresti e denunce a Catania per evasione fiscale

 

Nell’ambito di articolate attività di indagine coordinate dalla Procura della Repubblica di Catania, i militari del Comando Provinciale della Guardia di finanza di Catania hanno eseguito un’ordinanza di applicazione di misure cautelari, emessa dal Giudice per le indagini preliminari presso il locale Tribunale, nei confronti di 4 soggetti sottoposti a indagine per reati fallimentari ed evasione fiscale.

È stato inoltre disposto il sequestro preventivo delle quote societarie e dell’intero complesso aziendale di due società (una avente sede a Catania, l’altra a Roma ma operante nella zona industriale di Catania), oltre alle relative disponibilità finanziarie, per un valore di circa 18 milioni di euro.

Nel dettaglio, le indagini, svolte dagli appartenenti al Nucleo di polizia economico-finanziaria di Catania, hanno riguardato il rilevante dissesto, per oltre 20 milioni di euro, di una società operante nel settore dei trasporti, con sede a Santa Venerina.

Gli amministratori della società, già in dissesto a partire dal 2015 e non in grado di fare fronte al rilevante debito nei confronti dello Stato:

  • da un lato, non hanno provveduto alla copertura delle perdite nel tempo maturate e anzi hanno resistito alla istanza di fallimento presentata dalla Procura della Repubblica;
  • dall’altro, hanno proseguito nella gestione della società, acquistando nuovi mezzi e distraendo ingenti somme di denaro (nel caso di specie, effettuando trasporti non fatturati e senza riscuotere i relativi crediti commerciali), aggravando così il dissesto e determinando un debito nei confronti dell’Erario di oltre 14 milioni di euro oltre che distrazioni per oltre 5 milioni e 600 mila euro.

In particolare, sono state evidenziate le condotte dell’amministratore di diritto e quelle degli amministratori “di fatto”, tutti catanesi, i quali – oltre ad aggravare il dissesto della società nei termini sopra illustrati – hanno a vario titolo, tra l’altro, sottratto i libri contabili in modo tale da ostacolare la ricostruzione del patrimonio della società fallita e commesso rilevanti reati tributari, non avendo presentato la dichiarazione ai fini IVA per l’anno 2019 relativa a operazioni commerciali del valore di oltre 5 milioni di euro e avendo inoltre omesso il versamento delle ritenute e dell’IVA, per una evasione complessiva di oltre 2 milioni di euro.

Rilevante anche la condotta del sindaco unico e revisore legale della predetta società fallita, residente a Ischia, il quale, pur consapevole dell’ingente posizione debitoria dell’impresa, ha attestato il piano di risanamento della società in cui sono state esposte false informazioni circa la correttezza della contabilità, sopravvalutando voci dell’attivo del relativo bilancio societario e sottostimando le componenti negative, concorrendo in questo modo ad aggravare il fallimento della stessa società.

Per quanto sopra, in esito all’attività investigativa del Nucleo PEF della Guardia di finanza di Catania, il Giudice per le indagini preliminari presso il locale Tribunale – su richiesta della Procura della Repubblica di Catania – ha disposto misure personali restrittive nei confronti dei citati 4 soggetti, tutti posti agli arresti domiciliari.

Sono stati inoltre sottoposti a sequestro: le quote societarie e l’intero complesso aziendale di due imprese, una con sede legale a Santa Venerina e l’altra con sede legale a Ciampino (Roma) ma operante a Catania;disponibilità finanziarie in capo agli amministratori “di fatto” e di diritto, derivanti dalla commissione dei reati tributari,per un valore complessivo di circa 18 milioni di euro.

L’attività si inserisce nel più ampio quadro delle azioni svolte dalla Guardia di finanza di Catania a tutela dell’economia – oggetto anche di uno specifico protocollo d’intesa lo scorso anno – con lo svolgimento di complesse indagini che hanno l’obiettivo: da un lato, di proteggere le imprese sane del tessuto economico catanese dalla concorrenza sleale di soggetti che pongono in essere reati economico-finanziari sempre più sofisticati;dall’altro, di difendere l’interesse pubblico e garantire il recupero degli illeciti proventi delle attività criminali, da destinare, una volta definitivamente acquisiti alle casse dello Stato, anche a importanti interventi economico e sociali.

Operazione Last Bet. La Finanza confisca beni per 10 milioni di euro ad esponente mafioso

 

I Finanzieri del Comando Provinciale di Messina hanno dato esecuzione  ad un decreto di confisca di beni per un valore di oltre 10 milioni di euro nei confronti di L.V.D. cl. 60 e della misura di prevenzione della sorveglianza speciale di P.S. per la durata di anni cinque.

Nel dettaglio, la complessa attività investigativa – disposta dalla Direzione Distrettuale Antimafia peloritana – trae origine da mirati approfondimenti sviluppati dagli specialisti del Gruppo Investigazione Criminalità Organizzata del Nucleo di Polizia Economico Finanziaria di Messina, con specifico riferimento al redditizio settore del gioco e delle scommesse illegali.

Proprio in tale ambito, le Fiamme Gialle messinesi acquisivano come il citato L.V.D., noto imprenditore locale, risultasse tra gli elementi apicali di un’importante quanto strutturata consorteria mafiosa, egemone nella zona sud di Messina, dedita al sistematico ricorso a metodi violenti per imporre, anche con atti estorsivi, la propria posizione di monopolio nello specifico settore,notoriamente di interesse delle mafie.

Nel merito, dopo una minuziosa ricostruzione storica del profilo soggettivo del L.V.D., anche valorizzando i numerosi procedimenti penali in cui risultava coinvolto sin dalla fine degli anni ’90 (da cui invero usciva assolto), venivano rilette in un’ottica nuova le dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia, attestando come il medesimo avesse acquisito il ruolo di riferimento del clan Trovato del rione “Mangialupi” di Messina nella gestione delle bische clandestine, nonché nella distribuzione dei videopoker. Dopo la disgregazione dell’originaria compagine associativa per via della carcerazione dei capi e del percorso di collaborazione con la giustizia intrapreso da altri, il L.V.D. assumeva un controllo pressoché esclusivo delle attività illegali della famiglia, costituendone il punto di riferimento “imprenditoriale” e facendo da contraltare al ruolo “operativo” ricoperto dai fratelli Trovato

Sul punto, quindi, dopo circa due anni di indagini, nel febbraio 2018, poi confermata in appello a gennaio 2019, interveniva sentenza di condanna a 13 anni di reclusione per associazione mafiosa, intestazione fittizia di beni, violenza privata, gioco d’azzardo, reati fiscali, usura e lesioni. In altre parole, le investigazioni disposte dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Messina ed eseguite dai militari del G.I.C.O. documentavano come, nonostante le diverse assoluzioni, il L.V.D. risultasse figura di rilievo nel panorama mafioso cittadino, in grado, da un lato, di imporre la collocazione delle apparecchiature presso gli esercizi commerciali della zona, dall’altro, garantire agli esercenti accondiscendenti di poter godere della connessa protezione mafiosa del clan.

Emergevano, in altri termini, una pluralità indefinita di comportamenti criminali indicativi di un profilo del L.V.D. di soggetto socialmente pericoloso, ma anche una significativa disponibilità di risorse finanziarie, anche rese accessibili agli esponenti del clan, in assolvimento del suo ormai accertato ruolo di “cassiere”.

Proprio tali qualificazioni consentivano ai Finanzieri, quindi, su delega della Procura della Repubblica di Messina, di avviare mirate investigazioni economico – patrimoniali, tese a quantificare e conseguentemente aggredire l’enorme patrimonio riferibile al L.V.D., non giustificato dai redditi leciti dichiarati al fisco, anche avvalendosi dell’apporto di fidati prestanome, ovvero schermando la proprietà immobiliari attraverso propri familiari.

In sintesi, le investigazioni complessivamente svolte – abbraccianti un periodo di un trentennio – restituivano una situazione di assoluta assenza di uniformità nel rapporto reddito/patrimonio, consentendo al Tribunale di Messina – Sezione Misure di Prevenzione, di disporre l’odierno provvedimento di confisca relativamente a 6 aziende, operanti nel settore del noleggio delle apparecchiature da gioco, della rivendita di generi di monopolio e del settore della produzione e vendita di prodotti dolciari, 19 unità immobiliari, 2 autovetture, 1 gommone e svariati conti correnti, per un valore complessivo di stima di oltre dieci milioni di euro.

L’attività svolta, in conclusione, testimonia il grande impegno dell’Autorità Giudiziaria e della Guardia di Finanza messinese nel delicato settore del contrasto alle organizzazioni criminali, vieppiù di matrice mafiosa, con conseguente aggressione degli enormi illeciti patrimoni accumulati, prima sottoposti a sequestro ed ora sottoposti a confisca, così restituendo alla collettività e all’imprenditoria onesta significativi spazi di legalità.

NAPOLI: PESCA DI FRODO NEL GOLFO PARTENOPEO. ARRESTI

 

NAPOLI

Nell’ambito di un’inchiesta diretta dalla Procura di Napoli, la Guardia di Finanza – Reparto Operativo Aeronavale di Napoli ha disvelato l’esistenza di due sodalizi criminali, dediti, con modalità organizzate e professionali, alla raccolta indiscriminata di datteri di mare nel golfo partenopeo.

La specie marina è protetta da diverse convenzioni internazionali e direttive comunitarie, ed anche a livello nazionale il divieto di cattura, detenzione e commercializzazione risale all’anno 1988. 

La speciale tutela è giustificata dal grave ed irreparabile danno che subisce la scogliera e l’ecosistema sottomarino a seguito della frantumazione necessaria ad estrarre i pregiati molluschi, i quali necessitano di almeno 30 anni per incunearsi nella roccia calcarea e raggiungere, così, una misura idonea alla collocazione commerciale. 

Le indagini sono durate oltre tre anni e hanno disvelato l’esistenza di un vasto mercato illecito avente ad oggetto la specie protetta, con le due organizzazioni che avevano stabilito un vero e proprio rapporto di mutua assistenza per procacciare il prodotto ittico, specie nei periodi di maggiore domanda, quasi sempre in coincidenza delle festività natalizie e pasquali, quando per un chilo di datteri gli acquirenti erano disposti a pagare fino a 200 €.

Gli appartenenti ai due gruppi delinquenziali si dedicavano, in maniera costante ed abitudinaria, sia al prelievo dei ‘datteri di mare’, catturati mediante la contestuale distruzione di interi tratti di scogliera campana, che alla successiva commercializzazione degli stessi presso numerosi ristoranti e pescherie della regione, nonché presso una variegata clientela, composta anche da esponenti di famiglie malavitose napoletane. 

Sono, in particolare, oltre 100 i soggetti, individuati nel corso delle indagini, a vario titolo operanti nell’ambito del ‘mercato nero’ del dattero di mare. Nelle conversazioni intercettate, viene spesso utilizzato un codice segreto per evitare il riferimento esplicito alla specie protetta, nella piena consapevolezza della illiceità del relativo commercio. 

I reati contestati sono associazione a delinquere aggravata perché finalizzata alla consumazione di delitti ambientali, inquinamento e disastro ambientale, danneggiamento e ricettazione.

Nei confronti di sei indagati è stata adottata la misura custodiale in carcere: trattasi dei vertici dei due sodalizi, ritenuti responsabili della devastazione ecosistemica cagionata attraverso lo spregiudicato prelievo dei datteri dalle coste di Napoli e Capri. Per altri sei, è stata invece decisa la custodia domiciliare. 

Quattro saranno obbligati a presentarsi quotidianamente presso gli uffici della Polizia Giudiziaria e per tre è stato disposto il divieto di dimora. In particolare, due militari, indagati per favoreggiamento e rivelazione di segreto d’ufficio, non potranno dimorare nella Regione Campania.

L’ordinanza dispone altresì il sequestro preventivo di tre locali commerciali, siti in Napoli ed in Castellammare di Stabia, ove i datteri venivano occultati e poi immessi in commercio, il sequestro del profitto derivante dalla vendita del prodotto illegale, il sequestro di due natanti utilizzati dagli indagati per recarsi sui punti di prelievo della specie protetta, nonché, infine, di tutto lo strumentario adoperato per compiere materialmente l’attività.

L’alterazione dell’ecosistema marino e la compromissione della biodiversità, appurata con la collaborazione di un team di esperti di zoologia, ecologia e geologia ambientale di cui si è avvalsa la Procura di Napoli, è particolarmente grave nella porzione sommersa della scogliera esterna che protegge il porto di Napoli e nell’area dei Faraglioni di Capri. Amplissime zone investigate si sono disvelate desertificate, con la scomparsa quasi totale della specie protetta e della biodiversità associata.

Sono state disposte complessivamente 19 misure cautelari personali, delle quali 6 di custodia carceraria e 6 di custodia domiciliare, nei confronti delle persone di cui all’allegato elenco.