Zelensky:”Putin è un criminale, non vuole la pace, ma la distruzione dell’Ucraina. Oggi siamo noi nel mirino, domani la Russia potrà attaccare la Nato…”

 

E’ un grande massacro, e la Nato sta a guardare, nessuno dell’Occidente- intimidito e un pò vigliacco , muove un dito per sostenere l’Ucraina in una lotta impari

Aerei russi che padroneggiano nei cieli dell’Ucraina e contraerea ucraina molto precisa e forte. E la Nato sta ancora a guardare. Bombardamenti russi hanno colpito un centro di produzione di aeromobili Antonov e un palazzo di 9 piani: almeno due morti. Cnn: Russia ha chiesto a Cina droni e assistenza economica

Russia e Ucraina: è guerra - Focus.it

Guerra Ucraina-Russia, inizierà alle 10.30 ora di Kiev, le 9.30 in Italia, il nuovo round di negoziati, questa volta in collegamento video.

Nuovo video di Zelensky: "Abbiamo migliaia di prigionieri russi"
Zelensky richiede aerei alla Nato perchè la distruzione dell’Ucraina non avvenga totalmente sotto gli occhi dell’indifferente Nato e dell’Occidente che si limita a manifestazioni di sostegno nelle  città europee. Ma il massacro di soldati, civili, bambini, distruzioni di ospedali continua senza pietà da parte dei russi.
– Almeno due persone sarebbero morte nel quartiere di Obolon, a Kiev, dove stamani sarebbe stato colpito un edificio residenziale di nove piani. Secondo il giornale  The Kyiv Independent,  altre tre persone sono state trasportate in ospedale.

 – Anche droni, nel quadro di un sostegno militare, e assistenza economica. E’ quello che Mosca avrebbe chiesto alla Cina dopo l’invasione russa dell’Ucraina secondo notizie riportate dalla Cnn che cita due funzionari Usa dopo che il Financial Times ha rivelato che Mosca avrebbe chiesto a Pechino di fornire equipaggiamento militare fin dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina.

La Cnn precisa che secondo una delle sue fonti la Cina ha risposto alla richiesta russa, ma il funzionario non è entrato nel dettaglio della risposta. Si apprende anche che oggi  a Roma è previsto un incontro tra il consigliere per la Sicurezza nazionale Usa, Jake Sullivan, e Yang Jiechi dell’Ufficio politico del Comitato centrale del Partito comunista cinese e capo della Commissione esteri del Comitato centrale del Pcc.

Papa Francesco: “Il Signore ci giudicherà sull’amore dato negato ad altri”

 

 

La nuova geopolitica di PAPA Francesco - Opinio Juris

L’Angelus invita a riflettere sul senso della vita  Il Signore ci giudicherà sull’amore dato o negato agli altri. Con l’Angelus di oggi il Papa esorta, con forza, a interrogare il nostro cuore per uscire da sé stessi e accorgersi di chi ha bisogno d’aiuto. Un invito che rivolge nella Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’universo, con la quale si chiude l’anno liturgico. “Egli è l’Alfa e l’Omega, l’inizio e il compimento della storia; e la liturgia odierna si concentra sull’’omega’, cioè sul traguardo finale”, spiega il Papa. “Il senso della storia”, infatti, lo si coglie tenendo davanti agli occhi che “la fine è anche il fine”.

Il Giudizio sarà preso in base all’amore dato o negato

Nel Vangelo di questa domenica Matteo riporta il discorso di Gesù sul giudizio universale, alla fine della sua vita terrena. E il Papa sottolinea “il paradosso cristiano”: Colui che è “il Signore della storia”, “il Re dell’universo”, “il Giudice di tutti”, “non riveste una regalità temibile, ma è un pastore pieno di mitezza e di misericordia”. Nella pagina evangelica di oggi, Gesù si identifica non solo col re-pastore, ma anche con le pecore perdute. “Potremmo parlare come di una doppia identità: il re pastore, e anche Gesù e le pecore: cioè con i fratelli più piccoli e bisognosi si identifica”.

E indica così il criterio del giudizio: esso sarà preso in base all’amore concreto dato o negato a queste persone, perché Lui stesso, il giudice, è presente in ciascuna di esse. Lui è giudice. Lui è Dio, uomo, ma Lui è anche il povero, Lui è nascosto, è presente nella persona dei poveri che Lui menziona proprio lì. Dice Gesù: «In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto (o non avete fatto) a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete (o non l’avete) fatto a me». Saremo giudicati sull’amore. Il giudizio sarà sull’amore. Non sul sentimento, no: saremo giudicati sulle opere, sulla compassione che si fa vicinanza e aiuto premuroso.

Saremo giudicati sulle opere, sulla compassione che si fa…

La domanda centrale che il Papa chiede, dunque, di porsi oggi è: “Io mi avvicino a Gesù presente nella persona dei malati, dei poveri, dei sofferenti, dei carcerati, di coloro che hanno fame e sete di giustizia, mi avvicino a Gesù presente lì?” Alla fine del mondo, infatti, il Signore passerà in rassegna il suo gregge, “non solo dalla parte del pastore, ma anche dalla parte delle pecore, con le quali Lui si è identificato”

“Sei stato pastore di me che ero presente in questa gente che era nel bisogno, o sei stato indifferente?” Fratelli e sorelle, guardiamoci dalla logica dell’indifferenza, di quello che ci viene in mente subito. Guardare da un’altra parte quando vediamo un problema.

Quel che avete fatto al povero, al sofferente, l’avete fatto a me

Il Papa esorta, quindi, a seguire un’altra logica, ispirandosi al Buon Samaritano. Una logica che indica Gesù stesso:

 “Quello che avete fatto a questo, a questo, a questo, lo avete fatto a me. E quello che non avete fatto a questo, a questo, a questo, non lo avete fatto a me, perché io ero lì”. Che Gesù ci insegni questa logica, questa logica della prossimità, dell’avvicinarsi a Lui, con amore, nella persona dei più sofferenti.

Gesù, in questa parabola del giudizio finale, dunque, si serve dell’immagine del pastore, richiamandosi al profeta Ezechiele, il quale aveva parlato dell’intervento di Dio in favore del popolo, contro i cattivi pastori d’Israele, quelli che “erano stati crudeli e sfruttatori, preferendo pascere sé stessi piuttosto che il gregge”. Quindi “Dio stesso promette di prendersi cura personalmente del suo gregge, difendendolo dalle ingiustizie e dai soprusi”…

QUEL TURPE PROTEZIONISMO DELLA CLASSE DIRIGENTE DELLA REGIONE SICILIANA

tangente - Wikizionario

di    RAFFAELE   LANZA

Palermo

Sono anni bui questi che stiamo vivendo come mai la nostra Regione ne attraversò nel passato vicino e remoto.  E se le dichiarazioni di un governatore come Nello Musumeci secondo il quale “il 7o% dei dipendenti regionali è inutile” è altrettanto vero allora il fenomeno parallelo della “protezione” dei sindacati rappresentativi che si configura più “distruttivo”,  fazioso, carico di interessi personali ed economici.   Recentemente abbiamo ascoltato questa dichiarazione:”

“Non è più tollerabile assistere ad una sorta di crociata contro i dipendenti regionali per raccattare qualche consenso o per altre inconfessabili ragioni. Il lavoro pubblico è e deve restare un valore che va difeso fino in fondo, per garantire servizi all’altezza dei bisogni dei cittadini e delle imprese» 

Più o meno quasi tutti i rappresentanti sindacali  hanno diffuso questo assunto e condividono per solidarietà la preriferita espressione. 

Sarebbe pretendere troppo che la Regione siciliana con la sua classe dirigenziale alla quale si sono ancorate la gran parte delle fasce A e B, cioè il risultato di una vasta operazione clientelare politica degli ultimi decenni, alla quale la Sicilia politica più deteriore ha servito una stabilizzazione di rapporto lavorativo, ha inventato l’abuso, l’arrivismo con dirigenti che si sceglievano le unità operative e i servizi da comandare con il placet dei dirigenti generali, l’insipienza amministrativa, il mobbing del personale servile concertato con il capoufficio o dirigente d’unità,il parassitismo degli inetti, la pretensiosità delle forze sociali organizzate,      Si converrà agevolmente su questo crediamo. Quel che ci rende diversi ed ha accelerato la caduta civile di una Regione dove il massimo rappresentante politico ha constatato l’inutilità del “7o%  del personale regionale, e se fosse un privato quindi li licenzierebbe legittimamente perchè non ne vedrebbe necessità alcuna”, sono due elementi: le dimensioni enormi di questi fenomeni distruttivi che nel resto del Paese, in altre regioni, sono più attenuati e l’assenza pressochè assoluta di fenomeni costruttivi, ossia compensativi.

Alla Regione si aveva il posto un tempo con un biglietto da visita dell’onorevole, guai all’epoca a fare denuncia.  Poi via via i dirigenti generali hanno cercato -come ai Beni culturali , e l’epoca non è neppure lontana- di inquadrare il figlio appena laureato con lo stratagemma di “consulente”.  Il posto era di “funzionario direttivo”. Niente male anche se alcuni avevano poi  scoperto il “trucco”. Non si può tirare troppo la corda, anche se i governatori dell’epoca avevano la patente di Mafiosi. 

 Oggi  Musumeci in realtà scopre  l’acqua calda. Tutti sapevano – e tuttora sanno- come vanno le cose realmente alla Regione.  Come dare torto al governatore?

Lui stesso ha provato adesso  l’incapacità di due suoi  “comandanti generali” dell’Arit e del  Dipartimento Attività produttive,.Enzo  Falgares e Carmelo Frittitta. La notizia è freschissima. Ha costituito un collegio ispettivo per accertare eventuali responsabilità sul mastodontico flop del click day del bonus destinato dalla Regione siciliana alla concessione di contributi a fondo perduto alle microimprese dell’Isola danneggiate dal lockdown.Con apposito decreto firmato nei giorni scorsi, Musumeci  nominava dirigenti interni dell’amministrazione regionale e anche “soggetti esterni” al fine “di verificare le procedure previste per la concessione dei contributi” sul Bonus Sicilia e “la relativa gestione”.

Nel decreto il Presidente  Musumeci ricordava i “disservizi creati alle imprese” dopo “la sospensione e l’annullamento della procedura” e le conseguenti “ripercussioni sull’immagine dell’amministrazione regionale”. Lo scorso 5 ottobre era previsto il cosiddetto ‘click day’, cioè la selezione per assegnare i 125 milioni di euro a fondo perduto alle imprese danneggiate dal lockdown. Una selezione mai partita. Il governatore ha ritenuto dunque  che “è necessario procedere con una apposita attività ispettiva alla verifica delle cause che hanno determinato la richiamata sospensione e annullamento della procedura di ricezione delle istanze prevista per l’avviso pubblico Bonus Sicilia”.

Coronavirus, in Sicilia nuova ordinanza restrittiva di Musumeci

Quel giorno- ricorderemo – la piattaforma digitale creata dalla Regione a cui le imprese avrebbero dovuto inoltrare la domanda nel più breve tempo possibile, a partire dalle 9, era andata subito in tilt sotto il peso di oltre 56mila istanze. Il sito non si apriva neanche e sulla schermata iniziale appariva un sintetico messaggio che rinviava il click day all’8 ottobre, alle ore 9.

Ma neppure l’8 ottobre è stato possibile accedere al click day. Perché dopo il crash registrato dalla piattaforma online che avrebbe dovuto dare il via alla ‘corsa’ telematica per ottenere una fetta dei 125 milioni di euro decisi con l’ultima finanziaria varata dall’Ars, la Regione si è arresa e ha annullato il ‘click day’, decidendo di spalmare le risorse su tutte le aziende registrate sulla piattaforma andata in tilt “a causa di una problematica tecnica imputabile a Tim Spa”, come venne detto quel giorno.

Ecco abbiamo ricordato questo episodio perchè il più recente.   Ma vicende di questo genere sono numerose negli Uffici della Regione siciliana dove non c’è amicizia alcuna nè amore fra le file  dei dipendenti delle categorie più disparate ..

Vi è stato finora un turpe protezionismo, in taluni casi interventi di magistratura come ai Beni culturali , alle Soprintendenze. I  nostri lettori ne sono stati informati e ne saranno informati.     Ma è il silenzio che copre generalmente tutte le magagne.     Abbiamo conosciuto un dipendente – funz, direttivo, alla Soprintendenza etnea,oggi in pensione, – citiamo solo le iniziali  S.R. – che offriva in servizio alla segreteria dove svolgeva il proprio “lavoro”,la propria collaborazione- era questa poi la vera “mansione” – al Soprintendente di turno “quale di spia o , in alcuni casi,testimone falso di fatti inventati” contro chi  denunciava la superficialità o gli abusi d’ufficio del Soprintendente. Nasceva un accordo  e una turpe protezione     Fioccavano le denunce e gli esposti della parte obiettiva sindacale dell’epoca (Siad Catania).    Questa vaghe annotazioni suggeriranno ai lettori più attenti, singoli casi con nomi e cognomi.     Spazzatura del potere di un servizio,  della Soprintendenza dell’epoca dove le ingiustizie non venivano sanate. Protezione dal dipartimento Beni culturali che  agiva con  superficialità.

Sono i connotati della nostra classe dirigente e di quella parte- funzionari direttivi, istruttori e alcuni ex contrattisti A e B ancorati ad essa per non far nulla, ripetiamo nulla, in ufficio che preferisce “obbedienza” solo ed unicamente  all’amico dirigente in dispregio del rispetto delle forme gerarchiche previste dall’ordinamento amministrativo.     

Naturalmente vi sono le eccezioni ma sono così poche che non modificano la realtà siciliana.   

Musumeci stia tranquillo: ha detto solo una verità scomoda perchè proviene dalla massima istituzione siciliana.  Ma all’orizzonte, caro Musumeci, non vedrai nulla: nè un bagliore nè il preavviso di un bagliore.   Fino alla fine, e qualunque sia la posizione politica ed ideologica di chi osserva gli eventi sociali, dovrai tenere il coltello fra i denti.  E’ la classe dirigente che guida per compito istituzionale se stessa e la comunità: proprio come fanno i generali con gli eserciti. Ma quando questi generali curano i propri interessi  e se ne strafottono di ciò che è la giustizia sociale, quando restano indifferenti al cittadino o all’impresa -disastrosamente disamministrati,   quando ci rendiamo conto che  hanno la solidarietà dei dipendenti A eB e via dicendo, “favoriti” e nulla fanno negli uffici, bisogna avere il coraggio di degradare questi generali e dichiarare, per colpa “altrui” il fallimento dell’istituzione pubblica.

LOTTA ALL’INDIFFERENZA : LETTERA DEL DIRETTORE SAC.DON A.BONAIUTO DI “INTERRIS” -“Willy, HO UN MESSAGGIO PER TE…”

Pubblichiamo questa lettera -messaggio di Don Aldo Bonaiuto , ricevuta in redazione ieri, pubblicata già da “Interris”

di    DON  ALDO  BONAIUTO

Caro Willy, non ci siamo conosciuti su questa terra ma ti sto conoscendo nei tristi giorni in cui le cronache parlano giustamente di te. Dal tuo volto si comprendere tutto. Si leggono i tuoi occhi candidi, uno sguardo pulito e luminoso che non è affatto scontato scorgere nei giovani.

Video “Interris”- Don Aldo Bonaiuto
Purtroppo capita invece di vedere i tuoi coetanei incupiti, volti tesi e spaventati, ammusati o addirittura assenti. Sempre più spesso ci ritroviamo ragazzi che vivono di luce riflessa, schiavi dell’immagine e di una parvenza di libertà che è soltanto fuga dalle responsabilità.

Tu Willy avevi invece la non comune capacità di trasmettere gioia ed entusiasmo. Sia in famiglia e accanto alla tua amatissima sorella, sia con gli amici ai quali ti legavano tante passioni condivise, inclusa quella per la Roma. Chi semina gioia è un dono per l’umanità. Spegnere il tuo sorriso non è solo stata una barbarie ma anche un furto di felicità collettiva.

Tanti martiri silenziosi ti hanno preceduto nel farsi carico del supplizio dei fratelli: testimoni religiosi e laici come padre Massimiliano Kolbe e come il giovane carabiniere Salvo D’Acquisto. Tu hai preso il posto di colui che appariva destinato all’assurdo sacrificio. Non sei riuscito a voltarti dall’altra parte. La coscienza è stata più forte della paura.

Non hai pensato alle nefaste conseguenze, sei intervenuto in aiuto dell’amico aggredito, ti sei dimostrato vero uomo di fronte a sedicenti super uomini. Ecco la differenza tra il bene e il male: soccorrere invece di scappare, mettersi in gioco invece di fregarsene, affrontare la realtà invece di nascondersi. Tutto potevi immaginare quella tragica sera fuorché di salire sul Golgota.

Come Cristo avrai provato il senso di ingiustizia e di abbandono, l’intera insensatezza del mondo scaricata sulle spalle di un innocente, la brutalità della violenza piombata sul tuo esile corpo come il peso degli assassini che hanno continuato imperterriti a infierire su te ormai esanime. Non ti è stato risparmiato nulla del crudele calvario che ti ha visto cadere sotto il macigno di una croce costruita con l’ignominia delle peggiori pulsioni.

Caro Willy, i negozi e i luoghi pubblici del tuo comune espongono ora un cartello: ”chi giustifica l’orrore, qui non è il benvenuto”. Benvenuti sono invece tutti i ragazzi che si ribelleranno, riconoscenti per la tua testimonianza, alla sopraffazione della cieca prepotenza.

Non sarai morto invano se il tuo martirio solleciterà i tuoi coetanei a scendere in strada, pacificamente e costruttivamente, contro la sottocultura dell’odio e il culto diabolico della violenza. Ho un sogno. Per l’Anno Santo del 1950 Pio XII canonizzò a sorpresa Maria Goretti i cui genitori erano emigrati proprio in quella Paliano dove tu abitavi. Un segno celeste per rinnovare il valore universale ed eterno del martirio degli indifesi.

Quanto sarebbe edificante se tu diventassi il santo protettore delle vittime di odio e bullismo, così come la tua concittadina lo è divenuta delle vittime di stupro. Invoco dal Cielo il dono che non si spenga mai più la luce attorno al tuo eroico esempio. La comunità dei credenti, la nostra preghiera e la sana mobilitazione dei giovani concorrano nel tenerti sempre sopra di noi come presenza benefica e ammonitrice. Nessuno d’ora in poi potrà rifugiarsi nell’indifferenza, mentre i tanti “Willy” delle nostre esistenze hanno bisogno di sentirsi parte di una famiglia che li protegga e di ricevere la grazia della redenzione che sola può arrivare persino ai cuori maggiormente smarriti nel peccato”

TAR SICILIA INDIFFERENTE,NON “LEGGE”NEPPURE LE CARTE E NON ASCOLTA FORMALMENTE LE PARTI-REGIONE SICILIA “CONDANNATA” A RESTARE NEL TUNNEL

Il Tar Sicilia condanna l'Inps

 

di    R.LANZA

 

La Sicilia, signori miei, è condannata a restare nel limbo delle aspettative per risolvere i problemi dell’immigrazione e della Sanità emergenziale ad essa connessa con il Covid-19

E’ stata ” sufficiente una sola “occhiata” di un magistrato, senza neppure ascoltare le parti in causa, per ritornare all’immobilismo di prima. Sì, un magistrato del  Tar della Sicilia, con un decreto cautelare monocratico a firma del presidente della Terza Sezione Quiligotti ha sospeso l’efficacia dell’ordinanza del governatore della Sicilia Nello Musumeci, che aveva disposto lo sgombero di hot spot e centri di accoglienza migranti dell’isola.

Il tribunale amministrativo regionale ha già  accolto l’istanza cautelare presentata dal governo e ha fissato la camera di consiglio per il 17 settembre.  Qui i magistrati formuleranno-crediamo una motivazione tecnica  Difficilmente tuttavia si discosteranno dal provvedimento di sospensione a firma del Presidente della Terza sezione-si apprende – dottssa Maria Cristina Quiligotti.  I magistrati sono : Cons. Maria Cappellano, Cons. Anna Pignataro, Ref.Calogero Commandatore, Ref Bartolo Salone –    Il dirigente della Sezione è Mauro Basile     

Finora il presidente del Tar Terza Sezione ha trascurato che la Sicilia è stata la regione più sofferente per la sua posizione geografica nel Mediterraneo-rispetto alle altre regioni d’Italia- sul fenomeno migratorio E la Sicilia  da oltre mezzo secolo ha problematiche di rilievo quali la disoccupazione giovanile, la crisi delle imprese, di qualsiasi livello,le famiglie in povertà, la crisi della pubblica amministrazione siciliana, la corruzione dilagante, l’inefficienza della classe dirigenziale regionale e via dicendo    La Sicilia ha bisogno di slancio , di educazione, di classe.             Recuperare tutti i decenni perduti. Altrimenti la figura del Presidente della Regione si limiterebbe a diventare -suo malgrado- una comparsa mediocre.  Via dunque le catene alla Sicilia, se deve “diventare bellissima” dobbiamo fare in modo che gli amministratori volenterosi e coerenti debbano poter governare.  E a quel paese quegli squilli di tromba di personaggi che cercano pubblicità con dichiarazioni imbecilli od esposti demenziali.   Dobbiamo migliorare la Sicilia con i fatti: difendiamola allora.

Palazzo Benso, sede del Tar Sicilia

Sede del Tar Sicilia-Palazzo Benso

Quella adottata dal magistrato del Tar di Palermo è una decisione cautelare che non condividiamo e che è stata assunta senza neppure ascoltare la Regione, come può essere concesso a richiesta della parte e come noi abbiamo formalmente chiesto, non avendo potuto depositare le nostre difese”. Lo afferma il Presidente della Regione siciliana Nello Musumeci. “Tuttavia – aggiunge- se in pochi giorni sono stati trasferiti oltre 800 migranti è la dimostrazione che serve denunciare il problema ad alta voce. Sulla nostra competenza in materia sanitaria non faremo un solo passo indietro”.

Migranti: Tar sospende ordinanza del governatore Sicilia Musumeci

Martedì mattina sarà a Lampedusa la nostra task force – ha annunciato il Governatore dell’Isola- e nei giorni successivi saranno verificati accuratamente gli oltre 40 centri di accoglienza che sono censiti in Sicilia. E una battaglia di civiltà dalla quale non ci possiamo esimere”. “Al governo di Roma -sollecita ancora Musumeci- chiedo ancora una volta di proclamare lo ‘stato di emergenza’ su Lampedusa e di esercitare nei fatti le competenze che rivendica. Altrimenti sono solo chiacchiere e i problemi restano tutti sulle spalle e sulla pelle dei siciliani“.

ASSENTEISMO ALLA BNL E DIPENDENTI, QUASI TUTTI, SENZA MASCHERINA . PREFETTO SAMMARTINO INTERVENGA CON UNA ISPEZIONE

Assenteismo lavoro, il 30% sta a casa il lunedì per malattia. Alla ...

Assenteismo e lavoro che si accumula
di    R.Lanza

Si sa del nuovo scontro tra Vittorio Sgarbi, contrario ad indossare la mascherina in Aula, e la presidenza della Camera, che lo ha richiamato a farlo correttamente. “Non è che ci sono 629 imbecilli e una persona saggia, è una questione di rispetto per i colleghi”, ha riferito  Mara Carfagna, presidente di turno dell’Assemblea. Dopo due richiami e l’intervento dei deputati questori, la situazione è tornata alla calma.  

Fin qui, lo “spettacolo” di Vittorio Sgarbi ,personalità estrosa con tante idee strane in testa,  raddrizzato nell’Aula parlamentare, ma l’episodio costituisce  un triste esempio di imitazione/indifferenza anche da chi, come la popolazione bancaria, ha il dovere di indossare l’apposita mascherina,per proteggere se stessi e , soprattutto gli altri che attendono risposte.    Dovere ancora non revocato da alcuna disposizione governativa e/o regionale. Ci ha sorpresi dunque vedere ieri flotte di dipendenti della Banca Nazionale del Lavoro di Corso Sicilia a Catania che ,anzichè restare nei propri uffici ad onorare l’incarico assegnato loro dai vertici si assentono per ore- alla pari di un Ufficio pubblico dove è notorio il fenomeno assenteista- e rientrano,impeccabili nei loro vestiti monocolore e rituale cravatta, privi dell’apposita mascherina anti-Covid-19.

Il Prefetto Claudio Sammartino

Il Prefetto di Catania, dr Claudio Sammartino, nominato
dal Consiglio dei Ministri nel 2018

La situazione non cambia all’interno degli uffici e sportelli della Bnl  protagonista del disagio di numerosi utenti , tutti in fila,uno dopo l’altro, a raggiungere la corsia stradale.     Sportelli bancari  e scrivanie tutte vuote e un solo dipendente seduto a ricevere l’utenza disorientata.  Gli altri dipendenti che rientravano dal “Caffe”  ( naturalmente “lungo”)  a dialogare fra di loro senza mettersi la mascherina.       Le regole-abbiamo detto- dobbiamo osservarle, soprattutto quando diversi studiosi nutrono timori di una seconda ondata della pandemia.      Ci rivolgiamo al Prefetto di Catania, dr. Claudio Sammartino, che sappiamo  autore di numerose pubblicazioni fra cui “dialogo sulla corruzione,legalità e Giustizia, impegno per il bene comune”:  intervenga allora presso la Banca Bnl con una ispezione di Polizia idonea a verificare l’osservanza della legge AntiCovid. Se è il caso si diano sanzioni esemplari . Dobbiamo finirla con questa indifferenza verso gli altri. Siamo in attesa..

Papa Francesco: “Prendiamoci cura di chi non ha nessuno o è solo”

Oggi in una piazza ordinata, distante ognuno dall’altro, Papa Francesco si rivolge in un messaggio video a tutti coloro che condividono la preghiera globale promossa da Thy Kingdom Come (“Venga il tuo Regno”), un movimento iniziato nel 2016 dall’arcivescovo di Canterbury e primate anglicano, Justin Welby, assieme a quello di York e “un’occasione per i cristiani di unirsi in preghiera per l’evangelizzazione del mondo”, come sottolinea in un comunicato il Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani.

Rivolgiamoci allo Spirito Santo Consolatore

Il Papa si sofferma sul significato della Pentecoste, un evento col quale, osserva, “Dio ha contagiato di vita il mondo”, mentre oggi “stride tutto ciò con il contagio di morte che da mesi infesta la Terra”. Quel giorno, prosegue, “popoli che parlavano lingue diverse si incontrarono”, tutto l’opposto di quelle “misure giuste e necessarie per distanziarci” che da mesi si osservano in tutti i continenti. “C’è bisogno – afferma Francesco – di risollevare tanti cuori affranti” e lo Spirito Santo è il Consolatore per eccellenza, “ci dà la certezza di non essere soli, ma sostenuti da Dio” e dunque capaci di fare altrettanto.

“Vogliamo che qualcuno si prenda cura di noi? Prendiamoci cura di chi non ha nessuno. Ci serve speranza per il domani? Doniamo speranza oggi”

La strada è quella della regola d’oro, del fare agli altri ciò che si vuole per sé. “Desideriamo essere ascoltati? Ascoltiamo. Abbiamo bisogno di incoraggiamento? Incoraggiamo. Vogliamo che qualcuno si prenda cura di noi? Prendiamoci cura di chi non ha nessuno. Ci serve speranza per il domani? Doniamo speranza oggi”, insiste Francesco, che riconosce nel mondo attuale “una tragica carestia della speranza”. Per questo, il Papa invita i cristiani a farsi “più ancora e più insieme testimoni di misericordia per l’umanità duramente provata”.

Chiediamo allo Spirito, dice, “il dono dell’unità, perché diffonderemo fraternità solo se vivremo da fratelli tra noi. Non possiamo chiedere all’umanità di stare unita se noi andiamo per strade diverse. Allora preghiamo gli uni per gli altri, sentiamoci responsabili gli uni degli altri”.

“Bisogna investire sulla Salute, sul Lavoro, sulle disuguaglianze e sulla povertà”

E poi un pensiero concreto, perché la sofferenza per il Papa è sempre carne di Cristo da toccare. Poiché, ricorda, lo “Spirito Santo dona sapienza e consiglio”, in “questi giorni invochiamolo su quanti sono tenuti a prendere decisioni delicate e urgenti, perché proteggano la vita umana e la dignità del lavoro. Su questo si investa: sulla salute, sul lavoro, sull’eliminazione delle disuguaglianze e delle povertà”. Mai come ora, ripete, “ci serve uno sguardo ricco di umanità”, c’è “bisogno di tornare a camminare verso Dio e verso il prossimo: non separati, non anestetizzati di fronte al grido dei dimenticati e del pianeta ferito. Abbiamo bisogno di essere uniti per fronteggiare le pandemie che dilagano: quella del virus, ma anche la fame, le guerre, il disprezzo della vita, l’indifferenza. Solo camminando insieme andremo lontani”.

LE FOSSE COMUNI DEI “SENZA NOME”

Pubblichiamo un magnifico intervento pervenuto stamattina alla direzione di Sud Libertà sulla situazione di New York  in particolare invasa dal male del virus ,che ha decretato l’uso di fosse comuni per ” i senza nome”. L’articolo è apparso stamane  sul Quotidiano “Interris.it” di  Padre Aldo Buonaiuto

“I sepolcri del nostro tempo”

Fosse comuni a New York, minoranze rimaste nell’indifferenza anche nell’ora dell’epidemia. L’emergenza sanitaria mette a nudo le fragilità della nostro vivere quotidiano. E le ferite aperte nelle coscienze di tutti

di Damiano Mattana 
Foto “Interris.it”

Qualcuno ha avanzato paragoni con l’attacco a Pearl Harbor. Altri ancora hanno parlato di Manhattan e delle Twin Towers, rase al suolo dagli attacchi dell’11 settembre di 19 anni fa. Ma anche il coronavirus sta chiedendo una dura prova a New York, diversa da quelle tragedie, portate rispettivamente dalla follia della guerra e del terrorismo. Il Covid-19, nella Grande Mela come nel resto del mondo, si è insinuato fra le maglie della società, andando a prendersi la quotidianità di lavoratori e famiglie, che poi del resto fanno tutt’uno, di istituzioni e cittadini, catapultati in una sfida più grande di loro. Inattesa, come gli attacchi dei giapponesi alle Hawaii e i Boeing dirottati sui grattacieli del World Trade Center. E anche il prezzo, come allora, è stato elevato. Esorbitante per numero di vittime, drammatico perché rivelatore di una società colpita al cuore, privata perfino, in molti casi, dei più essenziali diritti.

Foto © Vatican Media

Senza nome

In un contesto di sofferenza, dei comparti sanitari come del cuore delle persone, anche una città come New York ha ceduto all’ondata del male, che oggi assume le sembianze di un male invisibile. E le difficoltà finisce per sperimentarle, inevitabilmente, anche chi ha il compito di disporre i corpi dei deceduti. La Grande Mela si riaffaccia in un passato lontano, quando le epidemie era più devastanti di quanto le forze umane potessero concepire, decretando l’uso di fosse comuni per seppellire i propri morti. Oggi è Hart Island, nel Bronx, a ospitarne una, in fase di scavo, pronta a contenere i corpi di coloro che non hanno sconfitto il coronavirus, così come secoli fa si usava per chi non aveva una famiglia, o nessuno che potesse ottenere per lui una sepoltura senza omettere di ricordare il suo nome. Riportando alla luce la considerazione foscoliana delle “umane lodi” e dell’”amoroso pianto” descritte ne I Sepolcri, indicate come pietra d’angolo per la dignità degli “estinti”.

Uccisi dall’indifferenza

Il Covid-19 ci ha costretti a rivedere anche questo. Squarciando il velo di normalità della società del Duemilaventi per mostrarne le debolezze. Mettendone alla prova le convinzioni, la quotidianità stessa della vita di ogni giorno. Ma, allo stesso tempo, evidenziando una volta di più i troppi vuoti nelle coscienze collettive, le ingiustizie delle periferie del mondo, costrette ad affrontare l’ennesima emergenza, senza scorgerne troppe differenze rispetto alle precedenti. Realtà dimenticate, seppellite dall’indifferenza. Lacune storiche, minoranze vessate, come quella dei Rohingya, bloccati dal governo del Bangladesh in un distretto a sud del Paese, col divieto assoluto di muoversi di lì. In un contesto fatto di assembramento e scarse condizioni igieniche, un milione di persone assembrate in un agglomerato urbano fatto di case di tela in cui il contagio non sembra aver ancora preso piede ma, in caso, costituirebbe una potenziale catastrofe. Una realtà di sofferenza che carica su di sé il vessillo che raffigura i sepolcri del nostro tempo, non dissimile, forse, da altri scenari di disagio umanitario e sociale. Dall’Africa attraversata da un’emergenza pressochè continua  i campi profughi alle porte dell’Europa, come quello di Lesbo. Senza considerare aree del mondo dove la popolazione civile paga lo scotto dei fratricidi conflitti civili, dallo Yemen, con la progressiva disgregazione della sua impalcatura sociale, alla Siria, che scopre anch’essa il fianco alla pandemia  in un momento storico fin troppo simile a quello di ieri.

A tutela della vita

Il Sabato Santo, giorno del silenzio, scandito dalla meditazione dell’umanità attorno a una pietra di peso immenso posta davanti al sepolcro di Cristo, costringe il mondo di oggi, anche nella particolare e deleteria realtà del coronavirus, a non dimenticarsi delle sue piaghe. E, soprattutto, a ergersi in difesa della vita. Poiché è nella sofferenza dei nostri tempi che, in qualche modo, si può imparare a riconsiderare il valore di un’esistenza che nella frenesia dell’oggi spesso trascuriamo di comprendere. E in parte continuiamo a farlo, se anche in un’epoca di morte si considera lecito consentire alla vita di essere fermata ancor prima di nascere. La pietra sepolcrale forse più pesante, in un’epoca in cui la tragedia mette a nudo tutte le fragilità del nostro vivere insieme. Con la speranza che, all’indomani della tempesta, arriveremo a ricordarcene”.

IL GHIACCIO NEL CUORE

 

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Pubblichiamo un editoriale del sacerdote Don Aldo Buonaiuto , fondatore e direttore del Quotidiano ” Interris”, inviato al ns. direttore Raffaele Lanza,che riteniamo molto interessante per le responsabilità e la partecipazione del cittadino-credente- ai problemi della società odierna.  Aggiungiamo noi solo un punto: che l’uomo deve avere pure il coraggio della partecipazione alle problematiche generali d’interesse pubblico.  Perchè come cantava  Gaber “la libertà è partecipazione”.  

 

E’ sotto gli occhi di tutti come la nostra società soffra di alcuni mali di difficile guarigione. Il cittadino “social” e “global” è costantemente connesso con le piazze virtuali ma sempre più incapace di percorrere con empatia e curiosità intellettuale le strade reali della propria esistenza. Capita così che su una panchina di un giardino pubblico di una città benestante ed elegante si possa morire di freddo nell’indifferenza generale, oppure che un gruppo di ragazzi autistici si veda rifiutato l’alloggio perché la presenza del disagio potrebbe rovinare le ferie degli altri vacanzieri. L’idea che deresponsabilizzandoci saremo più felici è il veleno che semina solitudine più spietata e la disperante perdita di senso. C’è un’immagine che ritrovo nel mio passato di studente: la zavorra e l’ancora sono lo stesso oggetto ma la prima è vista come un peso, la seconda come una sicurezza. Ecco cosa significa essere una comunità: prendersi cura di chi ha bisogno, agganciando e donando stabilità, come fa l’ancora, con chi è alla deriva, invece di voltarci dall’altra parte.

Quante volte accolgo vittime di violenze che aspettavano una parola di attenzione magari da parte di un vicino che le vedeva scendere le scale con i lividi sul volto. La tentazione diabolica è quella di alzare le spalle e pensare che non sono affari nostri. La sofferenza esiste? “Occhio non vede, cuore non duole”. Da qui la deriva egoistica che ci rende tristi individui, ripiegati su noi stessi, con l’errata e mistificante convinzione che sia sufficiente delegare al “potere” le nostre responsabilità. E’ per questo che la situazione sociale, economica, culturale ristagna: è tutto fermo perché “non è compito mio”. Mai come adesso vale l’immagine filosofica della monade: ognuno è chiuso nel proprio guscio, rintanato nel fuorviante universo digitale, persuaso che tanto “provvederanno lo Stato, le istituzioni civili e religiose, forse il volontariato”. Messi di fronte ai nostri mali sociali, siamo tenuti a ribellarci ad una situazione che ci vede calpestare quotidianamente la dignità e la diversità. L’Italia ha potenzialità e risorse in grado di farle rialzare la testa a patto che sappia riappropriarsi delle radici valoriali che affondano nella civiltà cristiana. Occorre ricominciare a sentirci come un “noi“, smettendola di illuderci e di scaricare su indefiniti “poteri” i compiti da svolgere collettivamente.

Solo tre input: responsabilità, partecipazione, condivisione. Sia nella nostra dimensione di cittadini sia in quella di credenti. E proprio qui sta la domanda fondamentale: c’è ancora spazio per il trascendente in una società che misura tutto in termini di tornaconto personale? Non solo l’occidente secolarizzato ma anche le antiche culle della spiritualità orientale sono diventate teatro della vorticosa rincorsa edonistica e consumistica. L’unica medicina ai mali contemporanei è la riscoperta della comunità perché ingannarsi che non ci sia nulla per cui valga la pena meritare Salvezza equivale ad appiattire la vita individuale e collettiva su una dimensione abbrutita, imbarbarita, limitante e soprattutto priva di anima. Quindi una mera gratificazione dell’effimero. Quando mi formavo mi affascinava due branche della conoscenza: la filosofia parlava principalmente all’io, la teologia alla Trinità che univa la persona al noi. Oggi la dimensione comunitaria della religione crea solo fastidio a molti, si vorrebbe eliminare la fede già confinata alla sfera strettamente privata. Benedetto XVI definiva “dittatura del relativismo” quella che il suo Successore stigmatizza come “relativismo pratico”, cioè, va bene il sacro purché non incida sulla sfera sociale. Insomma, “pregate se volete, ma rassegnatevi: non è più tempo di difendere in concreto la vita, la famiglia, la dignità umana”, sostengono i neo-nichilisti. Nel terzo decennio del nuovo millennio l’ipocrisia impedisce di chiamare con il loro nome le nuove forme di martirio in un’epoca che ha sostituito Dio con la trionfante tecnologia post-umana. L’era “progredita” della sempre più alta definizione è glaciale, asettica e incapace di scaldare il cuore con un abbraccio e un sorriso autentici. Sarà davvero un “buon anno” se torneremo ad essere più umani.

Siamo in un ” Paese senza speranza” nella lotta alla corruzione-

Riceviamo e volentieri pubblichiamo il Comunicato-email /articolo/ di Marco Grieco di “Interris”

Maglia nera alla Sicilia con il 18,4 della statistica

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Corruzione” è una parola che si trova nel dizionario di tutte lingue del mondo incisa così profondamente che, dal 2003, l’Assemblea Generale dell’Onu ha adottato la Convenzione delle Nazioni Unite per arrestare quello che è a tutti gli effetti un fenomeno dilagante a livello globale. Ma la Giornata internazionale contro la corruzione, che si celebra oggi, ha lo scopo di ricordare non solo uno dei maggiori ostacoli al raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile. Perché classificare la corruzione come  “malattia sociale endemica” non basta. Se n’era accorto anche lo storico latino Tacito, che negli Annali scriveva: “Moltissime sono le leggi quando lo Stato è corrotto” a sottolineare che, quando si tratta del bene comune, la percezione della legalità diventa fumosa se si mettono in prima linea i propri interessi. In quasi duemila anni, gli strumenti per individuare la corruzione sono aumentati, ma resta difficile cambiare la percezione culturale di essa.

                     MAGLIA NERA ALLA SICILIA CON IL PRIMO POSTO E 18,4 DEI CASI RILEVATI

Il caso italiano parla da solo. L’autorità nazionale anticorruzione evidenzia, infatti, un problema non facile da superare. Nell’ottobre scorso, l’allora presidente uscente, Raffaele Cantone, illustrava in un dossier i dati presentati in tre anni di mandato: tra il 2016 e il 2019 è stato scoperto un caso di corruzione a settimana, per un fenomeno distribuito in maniera pressocché omogenea in tutta la Penisola. La cartina della corruzione in Italia tracciata dal documento situa al primo posto la Sicilia, con il 18,4% dei casi rilevati, seguita da Lazio e Campania (rispettivamente 14,5% 13,2%). Qualche tempo prima che Cantone andasse a capo dell’Anac, era stata depositata una proposta di legge che ha poi seguito l’iter verso  la legge 179 del 2017.

Andrea Franzoso era un giovane funzionario in Ferrovie Nord. Un passato nell’Arma dei Carabinieri, ha da sempre un senso del dovere che supera la dimensione del tornaconto personale. Nel 2015 ha deciso di fare la cosa giusta, che in uno Stato di diritto dovrebbe essere la norma, non l’eccezione. Eppure, la sua storia ha scoperchiato una realtà a cui tutti noi siamo fin troppo assuefatti da dubitare del contrario. Andrea è quello che in inglese è chiamato “whistleblower“, colui che soffia nel fischietto, letteralmente. “È interessante – rileva lui stesso – che in Italia non vi sia un termine semanticamente equivalente”. Nella nostra lingua, i termini che più si avvicinano alla parola inglese hanno un connotato negativo: “corvo, talpa, spia, gola profonda” e questo spiega bene la differenza abissale fra il coraggio di essere onesti e la percezione comune della legalità. “Nella percezione collettiva […] l’Italia è un Paese senza speranza, nel quale lo stigma sociale è subito dalle persone che scelgono di denunciare la legalità” ha detto l’ex presidente del Senato, Pietro Grasso, alla presentazione del primo libro di Franzoso, Il disobbediente, un resoconto disarmante della sua storia. In più di un’occasione, lo stesso Cantone ha dichiarato che l’approvazione della legge 179 è avvenuta anche grazie alla sua storia. Andrea è uno che il tempo ha messo alle strette, ma che ha saputo vedere oltre il “bisogno”, concentrandosi, al contrario, sui “desideri” della sua vita. Oggi è ai ragazzi che si rivolge, portando il suo ultimo libro #disobbediente! (edito da DeAgostini) nelle scuole, con l’auspicio che un Paese all’insegna della legalità sia ancora possibile, nonostante la percezione degli adulti freni ogni buona intenzione.

Andrea, com’è nato quest’ultimo libro?
“Durante le presentazioni del mio primo libro, molti genitori mi chiedevano di dedicarlo ai loro figli. Su Facebook ho ricevutomessaggi da parte di tante mamme e papà che mi parlavano dei loro figli. La cosa che mi ha colpito è che in tutti questi messaggi ci sono sempre tre parole che ricorrono: figli, speranza, futuro, che sono intimamente connesse. Anche gli insegnanti mi hanno chiesto un testo per i percorsi di cittadinanza e costituzione. Oggi vado spesso nelle scuole, dalla primaria alle superiori, e spiego che un mondo diverso è possibile”.

Quando ha inIzio la sua storia?
“Lavoravo in Ferrovie Nord a Milano e un giorno ho scoperto che il capo della mia azienda rubava, sottraeva risorse e beni aziendali per sé e per i figli: ad esempio, con la carta di credito aziendale comperava di tutto, dai cosmetici alla toelettatura del cane. Aveva anche dato la macchina aziendale a suo figlio, con tanto di tessera viacard e carta carburante. Ovviamente, con la macchina la cui targa riconduceva all’azienda, non gli importava di autovelox e ztl e così in 4 anni ha accumulato multe per oltre 181.000 euro di contravvenzioni al Codice della Strada. Il paradosso è che il mio ex presidente guadagnava circa 300mila euro all’anno di compenso”.

Gli altri lo sapevano?
“Certamente, perché la richiesta di rimborso andava al direttore amministrativo, che firmava e autorizzava la spesa, e passava dai contabili e dall’amministrazione. Se mi si chiede perché non hanno fatto nulla, posso rispondere che la maggior parte delle persone non vuole crearsi inimicizie, o lo fa per conformismo. E poi esercita il peso maggiore lo spirito gregario: in generale, cioè, le persone tendono a stare con il più forte. E poi stare col più forte significa mangiare, fa parte del nostro istinto. Uno ha paura di fare una cosa giusta perché teme di essere escluso dal branco. Parliamo di branco, perché questo presuppone un rapporto verticale, non di gruppo, dove invece c’è un rapporto tra pari. C’è una tendenza naturale a stare all’ombra di un capo, quando questo è vincente”.

Cosa è stato difficile in tutta questa vicenda?
“Beh, è successo che le stesse persone che mi avevano acclamato mi hanno poi voltato le spalle per poi diventare indifferenti. I veri antagonisti non sono i corrotti, che si sono già condannati da soli. Sono gli indifferenti. I veri antagonisti sono la nostra paura e gli indifferenti, gli ignavi, quelli che vedono e fanno finta di niente, interessati solo al loro piccolo tornaconto personale. Personalmente, ho una fortuna grandissima: che non serbo rancore. Ho agito con la denuncia. Nel libro ho raccontato del voltafaccia della responsabile della selezione del personale e di molti altri, per esempio. Mi rendo conto che alcune persone sono – come dice Manzoni ne I Promessi Sposi – dei  ‘vasi di coccio’ . Questa è una loro debolezza, ed è questo che fa male. L’indignazione più grande non la provo per i cosiddetti “cattivi” – che poi diventano i capri espiatori delle tante piccole cattiverie nostre -, ma per il comportamento degli altri, per la tendenza a soffocare la propria coscienza. Mi fa male l’indifferenza. Sono stato un anno disoccupato e ho dovuto reinventarmi”.

Cos’ha fatto quando ha scoperto tutto?
“Per prima cosa l’ho detto a chi all’interno dell’azienda avrebbe potuto denunciare e vigilare sulla corretta amministrazione della società, ovvero al presidente del collegio sindacale che, per legge, in caso di illeciti ha l’obbligo di denunciare. La sua risposta è stata: ‘Usa questa informazione a tuo vantaggio’, che è il potere del ricatto, di chi, al posto mio, avrebbe dovuto approfittare di questa situazione. Sono, poi, andato dai Carabinieri e ho fatto un esposto firmandolo con nome e cognome”.

Perché non ha usato l’anonimato?
“Ho scelto di farlo senza l’anonimato perché ho capito che c’era in gioco una cosa importante, cioè chi sono e chi voglio essere. Io non posso recitare una parte che non è mia. Mi sono detto: ‘Devo avere rispetto per me stesso, non mi devo vergognare, perché la verità è aletheia, assenza di nascondimento’. Poi è partita l’indagine e tre mesi dopo, alla notifica della misura interdittiva, il presidente è stato costretto a dimettersi. Sono andato a lavoro quello stesso giorno del 19 maggio 2015. All’epoca ai miei non ho detto niente perché c’era un’indagine. Ma quando, la sera del 18 maggio, ho detto a mio padre che avevo denunciato il dirigente, lui l’ha presa male”.

Cosa le ha detto suo padre?
“Ha parlato la sua paura. Mi ha detto: ‘Alla tua età non hai ancora capito come va il mondo, prendi su le tue cose vai via. Uno come te qua si rovina e basta. L’Italia è il Paese dei furbi, qua le cose non cambiano’. Parole che mi hanno toccato, perché mio padre si sentiva in colpa per avermi educato con certi valori che, ai suoi occhi, avevano cresciuto un figlio fragile, debole, indifeso”.

Ha passato momenti difficili…
“Beh certamente, se a 39 anni ti ritrovi senza lavoro e per oltre un anno non fai colloqui. Però penso che sia stato giusto agire così, e nella denuncia ho riaffermato la mia identità, ciò che sono, ciò in cui credo. In passato, ero stato ufficiale di Carabinieri, ho fatto un percorso di quattro anni con i gesuiti. “Io sono le mie scelte”, diceva Sartre: non potevo rinnegare la mia vita, i miei 38 anni precedenti”. Qui c’è il dovere della testimonianza e sono consapevole che testimoniare significa anche patire delle conseguenze, accettare il martirio”.

Quando è iniziato il suo martirio?
“Quando sono stato messo all’angolo, perché formalmente avevo mantenuto lo stesso incarico, ma sono stato trasferito in ufficio dove passavo la giornata senza aver nulla da fare. Ho portato avanti una battaglia legale, ma ho perso perché all’epoca non c’era una legge che tutelasse chi denunciava gli illeciti. Ho chiesto il reintegro, ma dall’azienda hanno risposto che mi avevano trasferito senza demansionarmi. Quando è successo tutto, non ho rilasciato nessuna intervista sebbene mi avessero chiamato in tanti. Non volevo diventare un personaggio, volevo sparire ed essere dimenticato. La mia prima intervista l’ho rilasciata un anno dopo al programma Rai Report, perché la giornalista Milena Gabbanelli mi ha convinto dicendomi: ‘La tua storia fa respirare il cuore'”

Una piccola luce in un momento di buio…
“Più che buio, è stato un momento di non-senso, quando io mi sono detto: ‘Ho fatto una cosa buona, eppure sono senza lavoro’. Ho sentito la morte civile perché, dopo che hai mandato decine di curriculum e non ti chiama nessuno, perdi la speranza e l’autostima. Il conto corrente era sempre più magro, mentre l’ex presidente del collegio sindacale di Ferrovie Nord veniva nominato consigliere d’amministrazione di una banca: trovavo strano che una persona che era stata sanzionata dal Consob per la sua condotta potesse essere nominata nel cda di una banca, mentre io, che avevo difeso il patrimonio aziendale di Ferrovie Nord, ero senza lavoro. Mi sono detto: questo è il mondo alla rovescia, devo andare via, forse ha ragione mio padre”.

Cosa ti ha fatto desistere?
“Ripetermi che, dovunque io vada, porto sempre me stesso. Al di là degli indifferenti, in Italia c’è tanta gente seria e buona. Prima di mollare, ho cercato di trovare uno spazio nel mio Paese, perché andare via significava gettare la spugna e tradire quelli che continuavano a darmi fiducia. Il nemico vero di questo Paese è la rassegnazione. Corrado Alvaro diceva: ‘La disperazione più grande che possa impadronirsi di un popolo è pensare che vivere rettamente sia inutile’. La rassegnazione è peggio della corruzione perché toglie le forze migliori. E poi il 18 ottobre fu approvata la legge sul whistleblowing al Senato, il 15 novembre alla Camera dei deputati. Fu firmata dal presidente della Repubblica il 30 novembe ed è entrata in vigore il 29 dicembre, il giorno di San Thomas Becket, martire della giustizia”

Oggi come ti vedi?
“Come il protagonista del bellissimo libro di Jean Giono L’uomo che piantava alberi. Per questo vado nelle scuole. Falcone diceva: ‘La mafia e la corruzione non si combattono nelle aule di giustizia, ma fra i banchi di scuola”. Bisogna cambiare la cultura, perché anche a scuola c’è omertà, i ragazzi fanno fatica a segnalare episodi di bullismo”.

Cosa pensi della recente direttiva europea sul whistleblowing?
“La direttiva sul whistleblowing è stata firmata nell’ottobre 2019. Il Parlamento europeo l’ha approvata il 16 aprile scorso. Ora l’Italia ha due anni di tempo per adeguarsi perché la Legge 179 è un primo passo, è buona per quanto riguarda la tutela dei pubblici dipendenti ma per quanto riguarda i dipendenti privati è poca cosa.
Sulla nuova legge penso che bisogni tutelare i dipendenti privati, che una persona possa scegliere i canali esterni e credo che le nuova legge debba prevedere un fondo di ristoro, perché ci sono spese legali da sostenere. Il fondo servirebbe per pagare le spese. Si potrebbe pensare anche di inserire il whistleblower nelle categorie protette, per agevolarlo nella ricerca di un nuovo lavoro. Perché l’aver denunciato, in un Paese come il nostro, spesso equivale a una disabilità“.

I dati Anac presentati a ottobre scorso non sono confortanti…
“È vero, ma mi piace vedere il bicchiere mezzo pieno: il numero delle persone che denunciano fatti illeciti è in costante aumento. C’è un cambio di passo, sta cambiando il paradigma culturale e ci vorrà del tempo, però la situazione sta migliorando. Negli Stati Uniti, invece, c’è una legge per cui i whistleblower ottengono un premio in denaro fino al 30% delle somme recuperate. Soltanto nel 2018, negli Usa, 217 persone hanno permesso al fisco americano di recuperare 1 miliardo 410 milioni di dollari ed hanno ricevuto premi per una somma complessiva di 312 milioni di dollari. Questo fa capire che Oltreoceano c’è un modo di ragionare diverso. Tuttavia io non sono d’accordo sull’introduzione di premi in denaro, in Italia.”

Qual è la ricompensa migliore?
“Per me la vera ricompensa è quella che mi dà la mia coscienza. Non mi lascio strumentalizzare e non voglio trarre alcun vantaggio da ciò che ho fatto. Perciò ho detto no a chi mi ha proposto una candidatura alle elezioni. La credibilità è un valore da custodire”.