Incidente Villabate (Palermo) , indagati i genitori di Aurora: entrambi avevano bevuto. L’uomo era senza patente e copertura assicurativa

 

Non è ancora chiara ai Carabinieri che indagano l’esatta dinamica del sinistro. Secondo il padre si sarebbero rotti i freni dell’auto che è finita contro un muro

I carabinieri sul luogo dell'incidente a Villabate (Ansa)

La Procura di Palermo, ha notificato il provvedimento giudiziario di rinvio a giudizio ai  genitori di Aurora, la bambina di tre anni, che ha perso la vita nell’incidente avvenuto la notte tra sabato e domenica scorsi a Villabate  Il reato è di omicidio stradale. Entrambi sono stati trovati con un tasso alcolemico nettamente superiore ai limiti di legge: lui con 1,34 microgrammi per litro, lei con 1,25 milligrammi per litro.

Secondo la loro testimonianza, il padre era alla guida della Volkswagen Polo, senza patente e copertura assicurativa, che si è schiantata contro un muro. La donna aveva detto a una familiare di essere seduta dal lato del passeggero anteriore dell’auto tenendo la piccola tra le braccia, con palese violazionme sulle  norme sulla sicurezza. Ma i Carabinieri, che indagano, vogliono essere certi che non ci fosse lei alla guida e che la piccola fosse tra le braccia del padre. Indagini in corso

Operazione “Déjà-Vu” del ROS, sgominata un’associazione per delinquere finalizzata alla tratta di persone e all’immigrazione clandestina

 

rifugiati in attesa di attraversare il confine serbo-croato - immigrati clandestini foto e immagini stock

Archivi -Sud Libertà
 Roma,

Oggi, nella mattinata, i Carabinieri del ROS, in collaborazione con la Brigata di Lotta alla Criminalità Organizzata di Brasov (Romania), nelle provincie di Udine, Brescia e Vicenza, hanno dato esecuzione a perquisizioni nei confronti di 6 indagati per Associazione per delinquere finalizzata alla tratta di persone e all’immigrazione clandestina emessi dalle Autorità giudiziarie italiana e rumena.

Contestualmente il citato ufficio di polizia, su mandato dell’AG romena e per il medesimo delitto ha dato esecuzione a un provvedimento cautelare coercitivo a carico di 10 soggetti residenti in Romania e a 2 perquisizioni nei confronti di altrettanti indagati residenti in Austria.

L’operazione “Déjà-Vu” del ROS è stata avviata su delega della Procura della Repubblica di Udine – a seguito del rintraccio di 45 migranti sul confine italo-sloveno in prossimità del territorio del comune di Cividale del Friuli (UD) – al fine di accertare l’eventuale esistenza di una più ampia e ramificata organizzazione.

Deferiti a piede libero due cittadini egiziani A.W. e G.M. ed un cittadino pakistano M.R., regolarmente residenti in Italia, per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

Gli approfondimenti svolti nella prima fase dell’indagine – oltre ad acclarare che lo spostamento dei migranti avveniva dietro corresponsione di consistenti somme di denaro sfruttando circuiti internazionali di money transfer – hanno evidenziato i collegamenti di uno dei soggetti denunciati con una più vasta organizzazione specializzata nel trasporto migranti con base in Romania.

L’indagine si è quindi sviluppata in cooperazione di polizia e giudiziaria con le Agenzie Europol e Eurojust, per via delle convergenze investigative rilevate nell’ambito delle indagini “Dèjà-Vu” e “Prince”, condotte rispettivamente dal ROS e dalla Polizia romena.

La collaborazione tra i due uffici di polizia ha quindi consentito di ricostruire gli assetti di una associazione criminale transnazionale dedita alla tratta di persone e all’immigrazione clandestina, di identificare i vertici in 3 pakistani residenti in Romania e altri 15 tra pakistani e romeni incaricati della gestione e del trasporto dei migranti in territorio romeno, italiano e austriaco.

In particolare, i clandestini dapprima venivano fatti entrare in Romania, utilizzando visti di lavoro per assunzioni fittizie presso aziende riconducibili all’organizzazione, per poi essere trasferiti, nascosti a bordo di mezzi pesanti, in Italia ed Austria con la collaborazione di altri sodali pakistani e rumeni legalmente residenti nei citati paesi.

Trapani -Disvelato il contesto mafioso del superboss Matteo Messina Denaro, arresti per associazione mafiosa e favoreggiamento della latitanza

 

 Trapani,
Ieri- informa il Comando Carabinieri -il Ros, con il supporto in fase esecutiva dei Comandi Provinciali Carabinieri di Trapani, Milano e Monza Brianza, ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal tribunale di Palermo, su richiesta della locale direzione distrettuale antimafia e antiterrorismo, a carico degli indagati Gentile Massimo, Leone Cosimo e Gulotta Leonardo Salvatore.
L’attività, condotta nell’alveo delle investigazioni finalizzate a disvelare il contesto mafioso che ha permesso a Messina Denaro Matteo di sottrarsi alla cattura e ad esercitare il ruolo di capo mafia per circa 30 anni, hanno consentito di raccogliere elementi investigativi che conducono ad ipotizzare che:
a. Gentile Massimo faccia parte dell’associazione mafiosa cosa nostra e che abbia ceduto al fu capo della provincia mafiosa trapanese la propria identità al fine di fargli acquistare un’autovettura e un motociclo, sottoscrivere le relative polizze assicurative, compiere operazioni bancarie ed eludere i controlli delle forze dell’ordine, assicurandogli in tal modo la possibilità di muoversi in stato di latitanza sul territorio e di continuare a dirigere detto sodalizio;
b. Leone Cosimo, al pari di Gentile, faccia parte della medesima associazione mafiosa e che in particolare:
– abbia assicurato al sodalizio le proprie competenze tecnico mediche, relazioni personali e possibilità di movimento all’interno di strutture sanitarie, nella qualità di tecnico sanitario di radiologia medica presso l’ospedale di Mazara del Vallo, ove tra l’altro Messina Denaro Matteo è stato ricoverato, da latitante, dopo l’insorgenza della malattia oncologica;
– abbia consegnato a Messina Denaro Matteo, durante la degenza post-operatoria e dopo averlo ricevuto da Bonafede Andrea cl. 69, un telefono cellulare con una scheda telefonica riservata;
– sia stato, anche per il tramite di Bonafede Andrea cl. 69, un punto di riferimento per il latitante in ordine al percorso terapeutico, iniziato presso l’ospedale di Mazara del Vallo e proseguito poi con la visita oncologica presso l’ospedale di trapani;
c. Gulotta Leonardo salvatore abbia concorso, senza prendervi parte, nell’associazione mafiosa cosa nostra, assicurando a Messina Denaro Matteo dal 2007 al 2017 la disponibilità di un’utenza telefonica necessaria per la gestione dei mezzi di trasporto in uso al fu latitante. L’operazione costituisce la prosecuzione dell’indagine che il 16 gennaio 2023 ha permesso al Ros di catturare a Palermo l’allora latitante Messina Denaro Matteo e di trarre in arresto:
– nella flagranza di reato, il suo accompagnatore Luppino Giovanni Salvatore per procurata inosservanza di pena e favoreggiamento aggravati dalle modalità mafiose;
– il 23 gennaio 2023 Andrea Bonafede cl. 63 per partecipazione ad associazione mafiosa;
– il 7 febbraio 2023 il medico Tumbarello Alfonso e Bonafede Andrea cl. 69, ritenuti responsabili il primo di concorso esterno in associazione mafiosa e falso ideologico commesso da P.U. aggravato e il secondo di procurata inosservanza di pena e favoreggiamento aggravati dalle modalità mafiose;
– il 3 marzo 2023 Messina Denaro Rosalia, sorella di Messina Denaro Matteo, per partecipazione ad associazione mafiosa;
– il 16 marzo 2023 i coniugi Bonafede Emanuele e Lanceri Lorena Ninfa per procurata inosservanza di pena e favoreggiamento aggravati dalle modalità mafiose;
– il 13 aprile 2023 Bonafede Laura per procurata inosservanza di pena e favoreggiamento aggravati dalle modalità mafiose;
– il 05 dicembre 2023 Gentile Martina, figlia di Bonafede laura, per favoreggiamento e procurata inosservanza di pena aggravati dalle modalità mafiose;
– il 13 febbraio 2024 dei fratelli Luppino Antonino e Vincenzo, figli di Giovanni Salvatore, per favoreggiamento e procurata inosservanza di pena aggravati dalle modalità mafiose. sono attualmente in corso delle perquisizioni nella provincia di trapani e in Lombardia.

Operazione ” Fuel family Lussemburgo” – Scoperta frode Iva di 300 milioni di euro. Procura Europea (Napoli e Roma) e Guardia di Finanza smantellano sodalizio criminale

 

Napoli,

Nella mattinata odierna un’operazione coordinata dagli uffici di Bologna, Napoli e Roma della Procura Europea ha consentito di smantellare un sodalizio criminale che avrebbe commercializzato prodotti energetici in Italia evadendo sistematicamente l’imposta sul valore aggiunto. L’operazione, convenzionalmente denominata “Fuel family”, ha dato luogo all’esecuzione di misure cautelari personali nei confronti di otto soggetti, inclusi i vertici del sodalizio. Contestualmente, nei confronti di 59 persone fisiche e 13 imprese sono stati sequestrati beni per circa 300 milioni di euro.

Il provvedimento trae origine dalle indagini condotte nei confronti di un’associazione per delinquere composta da almeno dieci soggetti (alcuni dei quali legati da vincoli familiari), con ramificazioni in Italia e all’estero, che avrebbero posto in essere una ingente frode all’IVA nel settore dei carburanti. Cinque indagati sono stati sottoposti agli arresti domiciliari mentre tre sono destinatari dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. Sono gravemente indiziati dei reati di associazione per delinquere, frode all’IVA e riciclaggio.

Le attività investigative avrebbero consentito di disvelare la commercializzazione in Italia di carburante proveniente, principalmente, dalla Slovenia e dalla Croazia attraverso una filiera commerciale in cui erano fittiziamente interposte 41 società “cartiere” con sedi in Campania e Lombardia, che hanno sistematicamente violato gli obblighi di dichiarazione e versamento dell’IVA. Secondo quanto emerso dalle indagini, al vertice della filiera vi era una società con sede a Rovigo e deposito fiscale a Magenta (MI), dove era destinata la maggior parte del prodotto.

Le società “cartiere” avrebbero emesso e utilizzato fatture per operazioni inesistenti per un ammontare di oltre 1 miliardo di euro determinando un’evasione dell’IVA di oltre 260 milioni.

Sarebbe stato, inoltre, accertato il riciclaggio di proventi illeciti per un ammontare complessivo di oltre 35 milioni di euro, prima trasferiti sui conti correnti di società ungheresi e rumene, quindi monetizzati attraverso sistematici prelievi di denaro contante e infine consegnati ai promotori del sodalizio.

Grazie alla sistematica evasione dell’IVA, gli indagati avrebbero praticato prezzi illecitamente concorrenziali ai clienti finali (distributori stradali) applicando un sistematico “sottocosto” sul prezzo di cessione.

L’operazione è stata condotta dai Nuclei di Polizia Economico-Finanziaria di Verbania, Rovigo, Roma, Napoli e Caserta, in collaborazione con il Servizio Centrale Investigazione Criminalità Organizzata e con il II Gruppo Napoli.

La Procura europea (EPPO) è un organismo indipendente dell’Unione europea incaricato di indagare, perseguire e portare in giudizio i reati che ledono gli interessi.

 

 

Operazione scirocco. 18 indagati per reati di associazione per delinquere, traffico di rifiuti, inquinamento ambientale

Traffico illecito di rifiuti: in Italia affare da 20 ...

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Nella mattinata odierna, in una vasta operazione nelle province di Catanzaro, Cosenza e Vibo Valentia, i militari del Nucleo Operativo Centrale e Cooperazione Internazionale del Comando Carabinieri per la Tutela Ambientale e la Sicurezza Energetica, del Nucleo Operativo Ecologico di Catanzaro e del Gruppo Carabinieri Forestali di Catanzaro, supportati in fase esecutiva da militari dei Comandi Provinciali Carabinieri di Catanzaro, Cosenza e Vibo Valentia, nonché dall’8° Nucleo Elicotteri CC di Vibo Valentia, hanno dato esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare personale e reale emessa dal GIP presso il Tribunale di Catanzaro, su richiesta della  Direzione Distrettuale Antimafia, nei confronti di 18 persone (4 in custodia cautelare in carcere, 13 in custodia cautelare domiciliare ed 1 con obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria) gravemente indiziate a vario titolo dei reati di associazione per delinquere, attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, inquinamento ambientale e frode nelle pubbliche forniture.
Tra i reati contestati vi è un tentativo di estorsione aggravato dalla modalità mafiosa nei confronti di un dipendente di una società, il quale avrebbe subito una minaccia da parte di esponenti della consorteria di ‘ndrangheta locale, su commissione del proprio datore di lavoro, al fine di farlo desistere dall’intraprendere iniziative sindacali finalizzate all’ottenimento di spettanze stipendiali dovutegli.
Nei confronti di altri 12 soggetti, di cui 4 funzionari di enti locali, sono state emesse informazioni di garanzia. Il provvedimento prevede, inoltre, il sequestro preventivo delle quote e del compendio aziendale di 6 società con sede nella Provincia di Catanzaro da affidare ad amministratori giudiziari nominati dall’A.G. Il valore complessivo delle aziende ammonta ad oltre 10 milioni di euro. La Direzione Distrettuale Antimafia ha altresì ipotizzato la responsabilità amministrativa prevista dal D.Lgs. 231/2001.
La complessa attività di indagine, convenzionalmente denominata “Scirocco”, ipotizza l’esistenza di un’organizzazione tesa all’ottenimento di più commesse e alla esecuzione degli appalti in frode ai contratti e alla commissione di reati ambientali derivanti dalla gestione di 34 depuratori a servizio di 40 comuni ubicati nelle 5 province calabresi.
In particolare, si ipotizza che i responsabili delle società ottenessero illeciti profitti attraverso:
– l’abbattimento dei costi di gestione degli impianti di depurazione, determinato principalmente dal parziale trattamento dei fanghi prodotti dalla lavorazione delle acque reflue, nonché dalle mancate manutenzioni previste dai capitolati d’appalto;
– la redazione di falsi Formulari di Identificazione Rifiuti nei quali si attestava il fittizio conferimento di rifiuti presso un impianto di depurazione con sede in un comune della provincia di Catanzaro;
– lo smaltimento illecito di ingenti quantitativi di rifiuti (fanghi prodotti dal trattamento delle acque reflue urbane, rifiuti prodotti dalla pulizia delle acque di scarico, fanghi delle fosse settiche), per più di 2.000 tonnellate, nell’arco di circa un anno che venivano conferiti presso il citato impianto di depurazione fanghi, per una asserita attività di trattamento, in realtà mai eseguita;
– la richiesta ad alcuni dei Comuni, con successiva liquidazione, degli oneri per le operazioni di manutenzione degli impianti di depurazione, prestazioni che invece avrebbero dovuto essere a carico della società.
Tali condotte illecite, secondo gli indizi raccolti, hanno inoltre avuto come conseguenza il malfunzionamento di numerosi impianti di depurazione comunali che in 10 casi hanno comportato l’illecito sversamento dei liquami non trattati sia nei terreni circostanti che direttamente in mare, con evidente compromissione delle matrici ambientali. 
Nel corso delle indagini sono stati sequestrati 4 depuratori dislocati in varie località della Calabria ed è stato effettuato l’accesso presso 24 comuni ricadenti nelle 5 province calabresi, da cui sono emersi diversi casi di frode ai danni della pubblica amministrazione con il concorso di funzionari pubblici. 
Determinanti sono stati, a riscontro dell’attività investigativa, le attività tecniche di monitoraggio dei siti grazie ai quali è stato ricostruito l’illecito modus operandi. Un dato importante è emerso altresì dai periodici monitoraggi effettuati da Legambiente sulla qualità del mare, dei laghi e delle coste, che hanno confermato il quadro allarmante della situazione che caratterizza la qualità delle acque nei pressi dei siti di depurazione attenzionati. 
Il procedimento per l’ipotesi di reato è attualmente nella fase delle indagini preliminari.
È obbligo rilevare -informano i Carabinieri – che gli odierni indagati e destinatari della misura restrittiva, sono, allo stato, indiziati di delitto, pur gravemente, e che la loro posizione sarà definitivamente vagliata giudizialmente solo dopo la emissione di una sentenza passata in giudicato in ossequio ai principi costituzionali di presunzione di innocenza.

Catania, il GIP indaga 28 persone, sequestra attività commerciali, beni e disponibilità finanziarie per un valore di circa 86 milioni di euro

 

La giustizia - bilancia non è l'unico modello possibile: «Il bene non si  costruisce con altro male» - Santalessandro

Archivi-Sud Libertà- (la spada della Giustizia)

Catania

Nell’ambito di articolate attività di indagine coordinate dalla Procura della Repubblica etnea, i Finanzieri del Comando Provinciale di Catania hanno eseguito, in collaborazione con il Servizio Centrale Investigazioni sulla Criminalità Organizzata (SCICO) e con l’ausilio dei Comandi Provinciali di Milano, Monza, Napoli, Roma, Varese e Verona, un’ordinanza con cui il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale etneo ha disposto l’applicazione di misure coercitive personali nei confronti di 3 persone, indagate, a vario titolo e in concorso con ulteriori 28 soggetti, dei reati di bancarotta fraudolenta e documentale, omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto, trasferimento fraudolento di valori, autoriciclaggio e reimpiego di denaro illecito.

Il Giudice ha disposto, inoltre, il sequestro, nei confronti di tutti gli indagati, delle quote sociali di 25 imprese nonché di beni e altre utilità nella disponibilità di ciascuno di essi per un ammontare complessivo pari a 86 milioni di euro.

Nel dettaglio, l’indagine trae origine dallo sviluppo di talune evidenze emerse nel corso dell’operazione “FOLLOW THE MONEY”, che pone in luce l’attività di  alcuni degli attuali destinatari di misura, tra cui due imprenditori ritenuti nel precedente contesto investigativo contigui al clan “Scalisi” di Adrano (CT), articolazione locale della famiglia mafiosa “Laudani”.

Il procedimento penale scaturito dalla citata operazione è stato definito con la condanna in primo grado di 8 imputati che avevano optato per il rito abbreviato ed il rinvio a giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa dei citati imprenditori, già tratti in arresto nel 2021.

Questi ultimi, alla luce delle evidenze emerse in quell’indagine, avrebbero sistematicamente favorito il clan “Scalisi” di Adrano (CT), articolazione locale della famiglia mafiosa “Laudani”, e il suo esponente di spicco, fornendo, mediante l’alimentazione della cassa e il mantenimento del gruppo e dei suoi sodali, un contributo, stabile e protratto nel tempo, alla realizzazione delle finalità dell’organizzazione mafiosa, al consolidamento del potere economico e all’occultamento e all’incremento del patrimonio del sodalizio, in cambio del quale avrebbero ricevuto protezione e agevolazione nell’espansione delle proprie attività imprenditoriali.

In particolare, a conclusione della citata operazione “FOLLOW THE MONEY”, unità specializzate del Nucleo di Polizia Economico Finanziaria di Catania e dello SCICO della Guardia di Finanza hanno effettuato perquisizioni locali in esecuzione delle misure cautelari disposte dal Tribunale di Catania nel 2021 nei confronti di 5 indagati, rivenendo documenti societari riferibili non soltanto alle aziende già monitorate in quella fase d’indagine, ma anche a ulteriori società e attività imprenditoriali, apparentemente intestate a soggetti terzi, ma di fatto ritenute riconducibili ai due imprenditori.

Nel nuovo filone investigativo, su delega della Procura della Repubblica di Catania, sono stati approfonditi i rapporti commerciali e i flussi finanziari all’interno della rete di 25 imprese facenti capo a tali imprenditori e, al contempo, ricostruite le cause che hanno portato al gravissimo dissesto economico di una delle principali società gestite dai medesimi, avente sede a Catania. Tale impresa, attiva nella commercializzazione di carburante e formalmente amministrata da un soggetto di comodo, è stata dichiarata fallita dal Tribunale di Catania con sentenza del 15 ottobre 2021, a seguito di istanza di fallimento presentata dalla locale Procura.

I mirati approfondimenti svolti dal Nucleo PEF di Catania della Guardia di Finanza sulla società fallita hanno messo in luce – nell’attuale fase del procedimento in cui non si è ancora instaurato il contraddittorio con le parti – che lo stato di decozione societario sarebbe stato determinato da due principali fattori:

  • le molteplici e ripetute violazioni alle norme tributarie legate all’omesso versamento dell’IVA per oltre 9,7 milioni di euro solo nel 2019 e stimate nel complesso (per gli anni 2019-2020) in 50 milioni di euro;
  • le condotte di carattere distrattivo operate dai reali dominus, ovverosia i predetti due imprenditori, che, con il concorso di soggetti prestanome a capo di 6 diverse società, tutte riconducibili ai predetti, avrebbero operato ingiustificati prelievi in contante e bonifici in favore di tali compagini societarie, così drenando liquidità per non meno di 27,7 milioni di euro in un arco temporale di poco più di 3 anni (metà 2018 – inizi 2021).

Le distrazioni delle risorse della fallita sarebbero avvenute in un primo momento a favore di 6 società (con sede a Catania, Enna e Milano, operanti nel settore della commercializzazione di carburanti, nella logistica e trasporti e nella compravendita di autoveicoli) e di una persona fisica – rappresentante legale di ulteriori 2 imprese (con sede a Catania e in Bulgaria, attive nel settore della logistica e dei trasporti).

Sono state inoltre individuate e ricostruite molteplici operazioni di trasferimento di fondi “infragruppo”, potendo gli imprenditori contare sul “controllo di fatto” di un numero consistente di aziende, in totale 25, dislocate in diverse province del territorio nazionale (Catania, Milano, Napoli, Roma, Varese e Verona). Tali operazioni avrebbero consentito di riciclare e reimpiegare nel circuito economico legale somme di denaro stimate in circa 48 milioni di euro, rendendo difficoltosa l’identificazione della loro provenienza delittuosa.

In un caso, ad esempio, le somme trasferite dalla fallita ad un’altra società della “rete”, pari a 6 milioni di euro, sono state successivamente frazionate e trasferite, senza una reale ragione economica, ad altre 11 imprese rientranti sempre nel reticolo societario controllato dai due principali indagati.

In un altro caso, invece, la fallita ha trasferito circa 9,5 milioni di euro ad una società la quale, analogamente a quanto avvenuto nell’esempio precedente, ha a sua volta frazionato e dirottato tali somme su altre 10 aziende del “gruppo”, una delle quali ha poi impiegato parte della liquidità per l’acquisto di beni di lusso del valore di 240.000 euro.

L’anello di congiunzione tra i due imprenditori e la rete dei prestanome a capo delle 25 società e ditte coinvolte sarebbe stato il soggetto posto agli arresti domiciliari, il quale avrebbe rappresentato per i formali rappresentanti legali il referente da cui ricevere indicazioni e a cui rivolgersi in caso di necessità.

Le complesse attività investigative sviluppate dal Nucleo PEF etneo della Guardia di finanza, anche mediante l’acquisizione e l’analisi di copiosa documentazione bancaria, contabile e contrattuale, hanno permesso di sottoporre al vaglio dell’Autorità Giudiziaria etnea plurimi elementi indiziari in merito a condotte di omesso versamento dell’IVA, bancarotta, trasferimento fraudolento di valori e riciclaggio.

Alla luce del complesso delle evidenze investigative raccolte, il Giudice per le indagini preliminari presso il locale Tribunale – su richiesta della Procura della Repubblica catanese – ha pertanto disposto:

  • la custodia cautelare in carcere nei confronti dei due imprenditori e gli arresti domiciliari a carico del referente per la rete di prestanome;
  • il sequestro delle quote sociali di 25 attività commerciali (13 società e 12 ditte individuali), site nelle province di Catania (n. 5), Enna (n. 1), Mantova (n. 1), Napoli (n. 1), Milano (n. 13), Roma (n. 3), Verona (n. 1), operanti nel settore della logistica e dei trasporti, delle ricerche di mercato, della commercializzazione di prodotti petroliferi e metalliferi nonché della compravendita di autoveicoli;
  • il sequestro di beni e altre utilità nella disponibilità degli indagati e comunque agli stessi riconducibili fino a concorrenza del valore complessivo di 86 milioni di euro.

L’attività dei Finanzieri di Catania si inquadra nel più ampio quadro delle azioni svolte dalla Procura della Repubblica di Catania e dalla Guardia di finanza volte a contrastare sotto il profilo economico-finanziario ogni forma di manifestazione criminale e ad evitare i tentativi, sempre più insidiosi, di inquinamento del tessuto imprenditoriale, mediante partecipazione al capitale di imprese sane, e di distorsione della concorrenza.

 

Reggio Calabria, i Carabinieri disarticolano sodalizio criminale specializzato in rapine e assalti a furgoni portavalori

 

Archivi -Sud Libertà

 

Reggio Calabria

I Carabinieri del Comando Provinciale di Reggio Calabria, a conclusione di indagini coordinate dalla Procura della Repubblica di Palmi, diretta dal Dott. Emanuele Crescenti, nell’ambito dell’operazione denominata “Terramala”, hanno dato ieri mattina- informa un comunicato -esecuzione a un’ordinanza di applicazione di misura cautelare emessa dall’Ufficio del GIP di Palmi nei confronti di 7 persone, ritenute responsabili a vario titolo di diversi reati in materia di armi e ordigni esplosivi, lesioni personali aggravate, danneggiamento, furto e ricettazione, e rapina.

L’odierna operazione, giunge ad esito di una complessa attività investigativa condotta dai militari dell’Arma, che ha portato all’individuazione dei componenti di un gruppo criminale, fortemente radicato all’interno del contesto territoriale dei Comuni di San Procopio, Seminara, Sinopoli, ritenuto responsabile di diversi reati, in particolare rapine.

Nello specifico, le investigazioni hanno consentito di identificare i soggetti della banda responsabili di un assalto al furgone portavalori della Ditta SicurTransport avvenuto nel maggio 2019 tra i Comuni di Melicuccà (RC) e San Procopio (RC).

Un evento criminale, all’epoca, attuato tramite modalità paramilitari, tipiche di una imboscata, dietro precisa pianificazione: il blocco della carreggiata con l’abbattimento di alberi, l’uso di passamontagna e vari colpi di armi da fuoco, comuni e da guerra, quali fucili d’assalto AK-47 Kalashnikov, per arrestare la marcia del furgone, e l’utilizzo di autovetture per darsi alla fuga, poi risultate rubate. In quel frangente furono sottratti circa 627.000 euro e una pistola in dotazione ad una delle guardie giurate, rinvenuta a seguito del sopralluogo in località “Terramala” presso il comune di Seminara. A seguire, si è addivenuti all’identificazione dei membri della banda, 7 dei quali risultano appunto i destinatari dell’odierna ordinanza, di cui 3 vengono indicati gli esecutori materiali dell’assalto al portavalori del maggio 2019, oltre ad essere accusati di altri reati verosimilmente funzionali e connessi alla realizzazione di rapine a mano armata. Soggetti dotati di particolare abilità criminale, capaci di condotte particolarmente violente e spregiudicati nel conseguire i loro intenti.

 A testimoniare la capacità organizzativa degli indagati e il loro intento criminale, il fatto che alcuni di essi siano già in stato di detenzione poiché tratti in arresto tra dicembre 2019 e febbraio 2021. Infatti, nel corso dell’indagine che ha portato all’ordinanza odierna, gli accertamenti posti in essere dai Carabinieri del Comando Provinciale di Reggio Calabria, scaturiti da un tentativo di rapina ad un ufficio postale avvenuto a Rosalì, frazione del comune di Reggio Calabria ad ottobre del 2019, avevano permesso di disarticolare già parte del gruppo. Nella ricerca di quei colpevoli, corrispondenti in parte ai 7 indagati in questione, il presunto capo della banda era riuscito inizialmente a rendersi irreperibile, potendo contare sul supporto di altri membri, fino al dicembre 2019, quando è stato tratto in arresto.

Le investigazioni, attraverso metodi tradizionali e attività tecnica, hanno permesso di delineare chiaramente i ruoli degli indagati all’interno del sodalizio che imperversava nella provincia di Reggio Calabria, appurando i diversi contributi dati da ciascuno al disegno criminale, pianificato e organizzato.

Nel corso dei vari accertamenti, i militari dell’Arma sono inoltre riusciti a reperire e sequestrare, oltre alla pistola della guardia giurata coinvolta nella rapina di maggio 2019, ritrovata con matricola punzonata, diverse armi, munizioni e sostanze stupefacenti, tra cui, un fucile cal. 12, una cartucciera da caccia, svariate munizioni di diverso calibro, 2 kg circa di sostanza stupefacente, presumibilmente marijuana, autovetture e macchinari agricoli rubati e verosimilmente utilizzati per la realizzazione del predetto disegno criminale. Sono emersi inoltre formule e riti riconducibili ad affiliazione ‘ndranghetista, trovati in possesso degli indagati, così come “pizzini” relativi a somme di denaro per un totale di circa 90.000, corrispondenti, secondo l’ipotesi investigativa formulata, alla quota pro capite della spartizione del bottino dell’avvenuta rapina.

Oltre a ciò, le acquisizioni documentali e gli accertamenti patrimoniali svolti, hanno consentito di documentare una sproporzionata disponibilità economica e di stile di vita dei soggetti coinvolti rispetto a redditi dichiarati.

 

L’indagine, nel complesso, ha consentito di disarticolare l’intero sodalizio criminale, contribuendo a prevenire simili condotte delittuose in danno di altri cittadini e del loro patrimonio.Trattandosi di provvedimento in fase di indagini preliminari, rimangono salve le successive determinazioni in fase dibattimentale.

 

 

Campobello di Mazara: la gente non parla, si scopre un secondo covo-bunker del boss stragista

 

Campobello Mazara

Scoperto un secondo covo utilizzato dal boss Matteo Messina Denaro. Un bunker, nella stessa area ma in un’altra abitazione, sempre a Campobello di Mazara, nel Trapanese, a circa 400 metri dal primo covo oltre alla casa di vicolo San Vito, ex via CB31 scoperta ieri dai Carabinieri.
Il nuovo covo si trova in via Maggiore Toselli 32.   Il bunker consiste  in  una stanza blindata, nascosta da una parete, all’interno di un’abitazione.   Gli inquirenti indagano ora sui medici che hanno in cura il boss. Sapevano essi la vera identità di Andrea Bonafede?

Si apprende infatti  che c’è un secondo medico tra gli indagati nell’ambito dell’inchiesta sulla rete di fiancheggiatori del boss. Si tratta di un oncologo, il trapanese Filippo Zerilli. Secondo la Procura di Palermo, che continua a indagare dopo la cattura dell’ex latitante, il medico avrebbe  eseguito degli esami al boss che si faceva chiamare Andrea Bonafede.

Ieri è stato iscritto nel registro degli indagati un altro medico, Alfonso Tumbarello, medico di base di Campobello di Mazara. Anche lui aveva curato la salute del boss Messina Denaro. A Campobello di Mazara, fra i posti più controllati dalle forze dell’ordine,  la gente si è chiusa in un cupo e ponderoso silenzio…nessuno parla,,,si scansano i giornalisti….tutti fuggono alla vista di un microfono. 

Operazione “Giardino oscuro” a Palermo – Maltrattamenti, violenze fisiche, insulti: provvedimenti cautelari del GIP

Operazione Giardino oscuro - Eseguite 6 misure cautelari

Palermo,

 Un’ordinanza di applicazione di misure cautelari emessa dal G.I.P. del Tribunale del capoluogo, su richiesta della Procura della Repubblica, è stata notificata dai finanzieri di Palermo a 6 soggetti, di cui cinque destinatari di divieto temporaneo di prestazione della propria attività professionale e uno del divieto di esercizio di attività imprenditoriale all’interno di case di riposo e strutture assistenziali per anziani per la durata di un anno.

I sei indagati, sulla base degli elementi probatori allo stato raccolti, sono indiziati del reato di maltrattamento perpetrato ai danni degli anziani ospiti di una struttura assistenziale.

Le indagini, avviate grazie alla segnalazione di un ospite della comunità alloggio e condotte dagli specialisti del Nucleo di polizia economico finanziaria – Gruppo Tutela Mercato Capitali, hanno consentito di ipotizzare condotte illecite da parte degli operatori ai danni di soggetti particolarmente fragili.

Sarebbero numerosi gli episodi di vessazioni ed angherie nei confronti degli ospiti, quali violenze fisiche (schiaffi, pugni e strattonamenti), offese e minacce (finanche di morte), nonché l’abituale ricorso a forme di contenzione meccanica, legando gli anziani per ore al letto o alla sedia a rotelle, somministrando, inoltre, in alcuni casi, ai degenti farmaci in misura superiore rispetto alle prescrizioni mediche per sedarli.

Lo stesso G.I.P. presso il Tribunale di Palermo, nel valutare il gravissimo quadro probatorio raccolto dalla Procura della Repubblica sulla base del lavoro svolto dagli investigatori del Nucleo di Polizia economico – finanziaria di Palermo, ha ritenuto la sussistenza di esigenze cautelari sottolineando che “le continue offese, le umiliazioni, le minacce, le percosse, le ingiurie, poste in essere nei confronti degli ospiti della struttura assistenziale, integrano il delitto di maltrattamenti, potendo certamente tali atti, per la loro intensità e abitualità, essere fonte di disagio continuo per le persone offese ”.

L’odierna attività testimonia la costante attenzione ed il perdurante impegno profuso dalla Guardia di Finanza, nell’ambito delle indagini delegate dalla Procura della Repubblica di Palermo, quale polizia economico finanziaria a forte vocazione sociale a tutela degli operatori economici, dei lavoratori onesti e rispettosi delle regole e delle fasce più deboli ed esposte a rischio della popolazione.

 

 

Mafia nell’economia palermitana – misure cautelari e sequestri beni per 5 milioni di euro

 

 

Infiltrazioni mafiose nell'economia palermitana - Eseguite misure cautelari e sequestrati beni per 5 milioni di euro

 

 

Palermo,

I finanzieri del Comando Provinciale di Palermo hanno dato esecuzione ad un’ordinanza applicativa di misure cautelari emessa dal G.I.P. del locale Tribunale su richiesta della Procura della Repubblica – Direzione Distrettuale Antimafia – Sezione Palermo, nei confronti di  7 soggetti, di cui 2 in carcere, 2 colpiti dagli arresti domiciliari e 3 destinatari della misura interdittiva del divieto di esercitare attività imprenditoriali per un anno.

Gli indagati sono indiziati, a vario titolo, dei reati di concorso esterno in associazione mafiosa e intestazione fittizia con l’aggravante di aver agito al fine di agevolare Cosa Nostra.

Con il medesimo provvedimento il G.I.P. ha disposto il sequestro preventivo di 5 società operanti nel settore della vendita al dettaglio di capi d’abbigliamento, intimo ed accessori e dei relativi 13 punti vendita con sede a Palermo, Cefalù e Favignana, oltre a un’autovettura nella disponibilità degli indagati, per un valore complessivo di circa 5 milioni di euro.

Le indagini condotte dal Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Palermo – G.I.C.O. hanno riguardato le attività di due imprenditori palermitani che, gestendo attraverso prestanome un articolato reticolo societario, avrebbero posto in essere un complesso di condotte finalizzate ad agevolare e rafforzare gli interessi economicocriminali del mandamento mafioso di Pagliarelli.

Gli elementi acquisiti allo stato delle indagini consentono di ipotizzare, in particolare, che uno degli indagati, imprenditore di successo, abbia fornito sostegno a colui che risulterebbe essere il “reggente” del citato mandamento, già condannato per associazione mafiosa:

  • sollecitando la costituzione, appena uscito dal carcere, di un’impresa edile cui sarebbero stati affidati importanti lavori di ristrutturazione di numerosi punti vendita;
  • procurando contatti con soggetti di rilievo del mondo imprenditoriale;
  • assumendo familiari dello stesso;
  • dopo l’arresto, elargendo somme di denaro ed altre forme di supporto economico durante il periodo di detenzione.

Tale condotta avrebbe permesso di rafforzare il potere dell’uomo d’onore sul territorio, consentendo di conseguire notevoli guadagni da utilizzare per le finalità proprie dell’organizzazione mafiosa, prima fra tutte l’assistenza alle famiglie dei detenuti, condizione imprescindibile per la sopravvivenza stessa di Cosa Nostra.

L’odierna operazione conferma il perdurante impegno della Guardia di Finanza, nell’ambito delle indagini delegate dalla Direzione Distrettuale Antimafia, per individuare i segnali di inquinamento dell’economia da parte delle consorterie criminali mafiose e per aggredire i patrimoni illecitamente accumulati, a tutela dei cittadini e degli imprenditori onesti che operano nel rispetto delle norme.

 

V I D E O –