Il Sindaco Orlando: “Se la mafia non governa Palermo lo si deve anche a Piersanti Mattarella che ha contribuito alla liberazione della città…”

 

Il messaggio di Piersanti Mattarella ai giornalisti: "Lavorare con più  coraggio per una immagine nuova della Sicilia"
Piersanti Mattarella ucciso dalla mafia.

 

PALERMO

 

Sono passati quarantadue anni dall’omicidio di Piersanti Mattarella e sono ancora troppe le zone d’ombra di un’uccisione che ha segnato la storia del nostro paese.  Mattarella è stato vittima di un potere criminale-mafioso legato a doppio filo con l’eversione fascista e con alleanze locali e internazionali. Per Mattarella il compromesso storico, interrotto col sequestro e il delitto di Aldo Moro, rappresentava la convinzione di un dialogo, della condivisione di un percorso che in quegli anni sarebbe stato rivoluzionario. Piersanti Mattarella è stato un rivoluzionario perché richiamava il primato della politica unito all’etica in un periodo storico in cui il volto del potere criminale si identificava con quello delle istituzioni.

Ed è questo uno dei tanti valori che ci lascia, ovvero il rispetto per il primato della politica intesa nel suo più alto valore, come servizio ai cittadini, senza biechi compromessi, senza paure o infingimenti, avendo come unica guida la nostra Costituzione. Se oggi la mafia non governa Palermo lo si deve anche a Piersanti Mattarella che ha contribuito al cammino di liberazione della città e al suo cambiamento culturale. Anche per questa ragione, a distanza di quarantadue anni, non dobbiamo arrenderci ma cercare verità e giustizia”.

Lo ha detto il sindaco Leoluca Orlando che domani, giovedì 6 gennaio, parteciperà in via Libertà alla cerimonia commemorativa del 42mo anniversario dell’omicidio di Piersanti Mattarella.

La Corte d’Appello di Catania rinvia al 7 gennaio l’udienza finale -e sentenza- su Raffaele Lombardo per Mafia e Corruzione

Raffaele Lombardo al processo per mafia: «Ai boss ho fatto solo danni» | La  Sicilia

AGGIORNAMENTO

Rinvio com’era presumibile. Rinviata al prossimo 7 gennaio l’ultima udienza del processo di secondo grado all’ex presidente della Regione Siciliana  Raffaele Lombardo, per concorso esterno all’associazione di tipo mafioso e corruzione elettorale aggravata.

 La Procura, con i Pm Sabrina Gambino e Agata Santonocito, ha chiesto la condanna dell’ex governatore a sette anni e quattro mesi di reclusione. Al centro del processo, che si celebra col rito abbreviato, i presunti contatti di Raffaele Lombardo con esponenti dei clan etnei che l’ex leader del Mpa ha sempre negato sostenendo di avere «nuociuto alla mafia come mai nessuno prima di me.  Sotto i riflettori anche il coinvolgimento di esponenenti del mondo della politica e degli affari. 

Gli avvocati Maria Licata e il professore Vincenzo Maiello, – informano -hanno chiesto l’assoluzione    di Raffaele Lombardo  con la formula«perché il fatto non sussiste».

Oggi processo all’On Raffaele Lombardo …Sentenza finale o rinvio Effetti collaterali: classe dirigenziale in mano agli ex governatori

Archivi-Sud Libertà – Video Processo bis a carico dell’On Raffaele Lombardo-  Esposizione  P.M. Dottssa Agata Santanocito

Nel video la ricostruzione dei fatti avvenuti e le accuse a Raffaele e all’on Angelo Lombardo. Il ruolo di Santapaola e l’organizzazione che opera nel territorio.     I Pm chiariscono le fonti di prova. Gli incontri con i mafiosi dell’ex presidente della Regione. Rapporti personali confermati da testimoni.      Naturalmente c’è anche il problema “lombardismo”, cioè tutta la classe dirigenziale nominati dai delfini politici e dirigenti generali dell’ex presidente della Regione. Un contenzioso senza fine, di uomini che hanno utilizzato il potere massimo , secondo le accuse, per fini personali e mafiosi, che ha distrutto l’immagine della Sicilia

Oggi la Corte d’appello di Catania si pronuncerà -o rinvierà-  sul processo a carico dell’ex Presidente della Regione siciliana, Raffaele Lombardo, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa e corruzione elettorale aggravata dal metodo mafioso. Un procedimento aperto dopo l’annullamento con rinvio della Suprema Corte di Cassazione della sentenza di secondo grado che aveva visto il politico catanese assolto dall’accusa di concorso esterno e condannato a due anni, con pena sospesa, per corruzione elettorale aggravata ma senza intimidazione e violenza. Una sentenza, quella di secondo grado, che a sua volta aveva riformato quella emessa il 19 febbraio 2014, col rito abbreviato, dal Gup Marina Rizza che lo aveva condannato a sei anni e otto mesi.
Al termine della requisitoria, le due rappresentanti dell’accusa, Agata Santonocito e Sabrina Gambino, dopo avere ripercorso i passaggi più importanti delle sentenze che si sono fin qui alternate, hanno chiesto per Lombardo, che è sempre stato presente alle udienze, la condanna a sette anni e 4 mesi.

La Procura generale si è soffermata nelle valutazioni sul capo di imputazione sottolineando come “il concetto di rafforzamento dell’associazione, può trovare sotto il profilo plastico un esempio guardando al mondo della finanza. Pensiamo a cosa accade nel mondo della finanza alle quotazioni in borsa ogni qual volta vengono diffuse notizie su alleanze, fusioni o separazioni. Lo scorso anno, quando si diffuse la notizia della fusione dell’alleanza tra Fiat e Peugeot, le azioni facenti capo al gruppo Fiat Chrysler volarono. Quell’accordo, che poi non è avvenuto, ha avuto l’effetto di far volare le azioni. Questo è quello che riteniamo sia accaduto in concreto in riferimento a un gruppo criminale che si trova a giocarsi, dalla sua, un patto sinallagmatico. E questo è l’effetto che questo patto può avere per l’associazione Cosa nostra“.

Riordiamo che i guai per l’ex presidente della Regione siciliana iniziarono nel 2010 allorchè il rapporto con l’attuale presidente dell’Ars si deteriora.. Quello che era il PdL Sicilia si spacca in Futuro e libertà (nuova formazione politica guidata a livello nazionale da G.Fini e nel gruppo di ex Forza Italia che annunciano la nascita di un nuovo partito Forza del Sud.

Il 21 settembre 2010 viene presentato il quarto Governo della Presidenza

Il 31 luglio 2012 si dimette dinanzi l’Assemblea regionale siciliana dalla carica di presidente con alcuni mesi di anticipo rispetto alla scadenza naturale del mandato prevista per l’aprile 2013. Lombardo ha dichiarato all’ARS di essersi dimesso per affrontare meglio le vicende giudiziarie che lo vedono coinvolto del reato gravissimo Concorso esterno in associazione mafiosa e per evitare il voto regionale in contemporanea con quello per il rinnovo del parlamento nazionale.

Resta in carica per l’ordinaria amministrazione fino alla proclamazione del nuovo presidente, dopo le elezioni anticipate  svoltesi il 28 ottobre 2012, elezioni nelle quali non si è candidato, eleggendo però il figlio Salvatore deputato regionale, tra le file del Partito dei Siciliani-MPA, che porta all’ARS 10 rappresentanti.

Mafia, dissequestrati i beni dell'editore Mario Ciancio - Rai News

Archivi-Sud Libertà- L’Editore dr. Mario Ciancio

Il risultato delle elezioni politiche del 20123 è negativo per l’MpA-Partito dei Siciliani, che non elegge nessun parlamentare. Lombardo, candidato come capolista al Senato in Sicilia, non viene eletto.

Lombardo nel maggio 2017, dopo la condanna in appello a due anni per voto di scambio e l’assoluzione dall’accusa di concorso esterno alla mafia, torna a una convention del suo partito

Del giovane medico pulito che voleva rivoluzionare la Regione resta ben poco.  Se si fa un passo indietro, si ricorderà come  nell’prile del 1992 nell’ambito di un’inchiesta riguardante irregolarità in un concorso pubblico all’Asl 35 di Catania, venne arrestato con l’accusa di interesse privato in atti d’ufficio  (“telefonate galeotte”)  e abuso d’ufficio] e condannato in primo grado.

Dimessosi da assessore , Lombardo venne poi assolto in appello. Ma l ‘attrazione per i reati gravi prosegue suo malgrado.

Il 23 luglio  è nuovamente arrestato per associazione a delinquere finalizzata a commettere reati contro la pubblica amministrazione per lo scandalo di un appalto da 48 miliardi di lire per i pasti all’ospedale Vittorio Emanuele II di Catania: secondo l’accusa, un comitato d’affari composto da Rino Nicolosi, Salvo Andò, Nino Drago  e lo stesso Lombardo avrebbe garantito l’appalto all’azienda dell’ex presidente dell’Inter Ermesto Pellegrini , in cambio di una tangente di 5 miliardi di lire e condannato in primo grado. Dimessosi da assessore  per tale condanna, Lombardo venne poi assolto in appello.

Un giorno prima dell’arresto viene sospeso  dalla carica di deputato e ciò fino al 29 settembre dello stesso anno

. Il 17 marzo 2000  Pellegrini concorda per il patteggiamento , procedura giudiziaria più veloce ma con ammissione di colpa,  confessando infatti di avere versato denaro ad alcuni politici, tra cui Lombardo, ma i giudici finiscono per considerare quel versamento solo un regalo: il reato venne derubricato a finanziamento illecito ai partiti, reato che per gli imputati risultava ormai prescritto.. I giudici, in sostanza, non riconoscono nelle attività relative all’ospedale Vittorio Emanuele l’esistenza di un vero e proprio comitato d’affari: per questa ragione, gli imputati sono assolti dall’accusa di associazione mafiosa o a delinquere inizialmente ipotizzata insieme alla corruzione. Dai giudici alla fine gli viene riconosciuto un indennizzo di 33 000 euro per ingiusta detenzione.

Mafia, Raffaele Lombardo condannato a 6 anni e 8 mesi per concorso esterno  - Il Fatto Quotidiano

Nel procedimento odierno che scaturisce dalle accuse orginarie dei pentiti  Giuseppe e Paolo Mirabile, Santo La Causa, Eugenio Sturiale e Francesco Ercole Iacona nonché intercettazioni telefoniche ed ambientali che documentano contatti con i boss di Cosa Nostra catanese  Vincenzo Aiello, Rosario Di Dio e Francesco La Rocca nonché con l’avvocato Raffaele Bevilacqua (esponente di primo piano della mafia ennese.

Lombardo dichiara il 12 aprile all’Assemblea regionale siciliana di non aver ancora ricevuto alcun avviso di garanzia. Il 3 novembre del 2010 la Procura di Catania conferma il coinvolgimento del Presidente della Regione Siciliana in una indagine, anche se non ha richiesto alcun provvedimento nei suoi confronti

Il 13 gennaio 2011 nuovo coinvolgimento di Lombardo in una vicenda giudiziaria, infatti risulta indagato insieme ad alcuni amministratori catanesi in un’inchiesta su promozioni facili e avanzamenti di carriera illeciti di dipendenti comunali a Catania. Secondo la Procura etnea Lombardo e gli altri indagati avrebbero favorito tali promozioni ed avanzamenti alla vigilia delle elezioni amministrative in modo da favorire il voto di scambio . Il 9 aprile 2011 , la Procura di Catania, nell’ambito della Inchiesta Iblis, comunica l’avviso di chiusura delle indagini per concorso esterno in associazione mafiosa, di 56 indagati tra cui il presidente Raffaele Lombardo

Il 13 giugno la Procura comunica l’intenzione di archiviare la posizione di Lombardo e di altri indagati (fra cui il fratello), poiché alla luce degli elementi emersi “l’accusa sarebbe insostenibile”

Il 29 marzo del 2012 il Giudice delle indagini preliminari dr Luigi Barone ha disposto l’imputazione coatta per il governatore siciliano per concorso esterno in associazione di titpo mafioso,  nell’ambito dell’Inchiesta Iblis.

Il rituale si ripete. Dimissioni il  28 luglio 2012  come Presidente della Regione siciliana restando in carica per l’ordinaria amministrazione fino al 10 novembre dello stesso anno.

Il 19 febbraio 2014 Raffaele Lombardo venne condannato in primo grado con rito abbreviato per Mafia (concorso esterno) alla pena di 6 anni e 8 mesi di reclusione  all’interdizione perpetua dai pubblici uffici  e ad un anno di libertà vigilata Nelle motivazioni di Marina Rizza, il giudice con 325 pagine etichettò l’ex governatore come “l’arbitro” o il moderatore” nei rapporti con la Mafia, un intreccio con la politica ma anche con potenti imprenditori coinvolti come l’editore – e fino al momento dell’accusa direttore responsabile del quotidiano del mattino etneo, “La Sicilia”, Mario Ciancio Sanfilippo

Il 31 marzo 2017la Corte d’Appello di Catania lo assolve dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, condannandolo a 2 anni di reclusione per voto di scambio. L’anno successivo la Corte di Cassazione  annullò la sentenza di assoluzione, disponendo la celebrazione di un nuovo processo d’appello.

Il processo per voto di scambio in favore del figlio Toti 

Il 17 dicembre 2020 viene assolto insieme al figlio Toti dalla Corte di Cassazione dall’accusa di voto di scambio in favore dell’elezione del figlio all’Arspoiché il fatto non sussiste, annullando così la sentenza d’appello emessa, il 10 luglio del 2019, dalla Corte d’appello di Catania che li condannava ad un anno ciascuno   Oggi ,forse. pomeriggio, la sentenza finale, e il ricordo della requisitoria della dottssa Agata Santanocito che nel video superiore prova e documenta come i contatti con i mafiosi dell’ex Presidente della Regione vi siano effettivamente stati.

MAFIA,”PROCESSO QUATER”: LA CASSAZIONE CONFERMA LE CONDANNE AI BOSS PALERMITANI

 

 Confermata dalla Cassazione la sentenza emessa dalla Corte d’assise d’appello di Caltanissetta nel novembre 2019

Elogio del giudice – La Discussione

Condanne all’ergastolo rinnovate per i boss palermitani Salvatore Madonia e Vittorio Tutino, condannati per calunnia i falsi collaboratori di giustizia Calogero Pulci e Francesco Andriotta. Questa la decisione dei giudici della Quinta sezione penale al processo ‘Borsellino quater’ che hanno confermato la sentenza emessa dalla Corte d’assise d’appello di Caltanissetta nel novembre 2019.

Per i due falsi pentiti, condannati in secondo grado a 10 anni ciascuno, la Cassazione ha deciso un lieve sconto di pena di 4 mesi per Andriotta in relazione a un episodio di calunnia nei confronti di Vincenzo Scarantino, dichiarando prescritti altri episodi sempre nei confronti di Scarantino.

Viene confermata dunque la tesi dei giudici di merito che hanno parlato di “uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana” seguito alla strage di via D’Amelio, nella quale, il 19 luglio 1992, morirono il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta. Tesi ribadita oggi nella sua requisitoria dal sostituto procuratore generale Pietro Gaeta, secondo cui le dichiarazioni dei falsi pentiti Pulci e Andriotta sono “una mostruosa costruzione calunniatrice” che “rappresenta una delle pagine più vergognose e tragiche”.

 

Mediazione di Conte sulla Giustizia ,difficile ma possibile ma il reale desiderio resta il rientro a Palazzo Chigi

 

Cartabia tira dritto e replica a Conte e Gratteri: "Dal calesse al  Frecciarossa, la giustizia ripartirà da Napoli" - Il Riformista

L’ex premier Giuseppe Conte vuol mantenere il “patto provvisorio” con Draghi per una  mediazione sulla giustizia.  Conte intanto al fine di evitare equivoci , informa “di non aver  rilasciato interviste, né dichiarazioni, né virgolettati. Conte tornerà a vedere i parlamentari M5S a inizio settimana, dopo l’assemblea congiunta di martedì scorso”. –    Saranno due giornate dedicate – così da fare il punto sui vari provvedimenti in esame e sulla strategia dei pentastellati sui diversi fronti

Ritorno in sella, anche per frenare i malumori interni,  sul dibattuto tema della riforma della giustizia.
Prosegue la mediazione di Conte con Palazzo Chigi – in particolare col premier Mario Draghi e la Guardasigilli Marta Cartabia – che dovranno accettare le condizioni del Movimento pentastellato fra le quali l’esclusione dei reati di Mafia ed appartenenza ad associazione mafiosa.     In caso contrario Conte chiederà probabilmente le dimissioni del presidente protempore Draghi.

Altra retata in Sicilia: fermati boss del Clan Brancaccio a Palermo

 

 

Video d’Archivio sulla famiglia mafiosa Brancaccio

 

Palermo

Altra retata in Sicilia di esponenti mafiosi appartenenti a Clan di spicco.Sedici fra boss e gregari delle famiglie mafiose di Brancaccio e Ciaculli finiti in manette Una operazione di polizia e carabinieri, coordinati dalla Dda di Palermo, che arriva alla fine di due anni di indagini che hanno riguardato il mandamento mafioso di Brancaccio\Ciaculli sulla scia delle operazioni “Maredolce” 1 “Maredolce” 2 e “Sperone” concluse tra il 2017 e il 2019.

Il reati più frequenti, accertato dagli investigatori, è l’estorsione, associazione mafiosa. Sono oltre  50 gli episodi di estorsione ai danni di quasi altrettanti commercianti di Palerm0

La polizia ha puntato i riflettori  sulle famiglie mafiose della Roccella e di Brancaccio da cui sono scaturiti gli arresti di Giovanni Di Lisciandro, 70 anni; Stefano Nolano,42 anni; Angelo Vitrano, 63 anni; Maurizio Di Fede, 53 anni; Gaspare Sanseverino, 48 anni; Girolamo Celesia, 53 anni;Sebastiano Caccamo, 65 anni; Giuseppe Ciresi, 32 anni; Onofrio Claudio Palma, 43 anni; Rosario Montalbano, 35 anni; Filippo Marcello Tutini, 60 anni; Salvatore Gucciardi, 41 anni; Giuseppe Caserta, 45 anni.

L’attenzione dei Carabinieri invece  sui vertici del mandamento di Ciaculli,     In manette sono finiti : Giuseppe Greco, 63 anni; Ignazio Ingrassia, 71 anni; Giuseppe Giuliani, 58 anni.

Tutti sono indagati, a vario titolo, per associazione mafiosa, armi, ed estorsione aggravata.

 

 

Mafia Palermo in ginocchio: fermata la sorella “comandante” del boss reggente Michele Vitale Sono 85 i soggetti alla sbarra

 

Carabinieri: Mattarella concede Bandiera di Guerra al G.I.S. | La Voce del  Patriota

Sono 85 persone alla sbarra, accusate a vario titolo di associazione mafiosa, concorso esterno in associazione mafiosa, associazione finalizzata al traffico di droga, reati in materia di armi, estorsione e corruzione.

L’inchiesta nasce da accertamenti avviati dai carabinieri della Compagnia di Partinico nel novembre 2017 su Ottavio Lo Cricchio, imprenditore del settore vinicolo, e Michele Vitale, esponente della famiglia mafiosa dei Vitale, storici capi del mandamento mafioso di Partinico. Tra i personaggi di spicco Nicola Lombardo, genero dello storico capo-mandamento di Partinico Leonardo Vitale, già condannato in via definitiva per associazione mafiosa. Lombardo era deputato alla risoluzione di controversie tra privati in virtù del «prestigio criminale» che gli derivava dall’ inserimento organico nella famiglia mafiosa di Partinico.

Mafia, i boss dominanti

Episodio esemplificativo è quello registrato dalle microspie nell’agosto del 2017 quando un cittadino si rivolge a lui tramite un altro mafioso per chiedergli di prendere provvedimenti contro un vigilante di una discoteca di Balestrate che aveva malmenato il figlio, la notte di Ferragosto, procurandogli 30 giorni di prognosi.

la mano pesante della Mafia si avverte anche nelle cose più piccine.Intervento di Lombardo in una lite tra due imprenditori locali nata dalla violazione degli accordi per la concessione d’uso di alcune macchinette del caffè. L’influenza mafiosa sul territorio si è manifestata inoltre in occasione del recupero di un mezzo agricolo rubato a un uomo d’onore e per l’ottenimento di un risarcimento in favore di un agricoltore le cui colture erano state danneggiate dal pascolo di animali condotti da un pastore. Fedelissimo di Lombardo era Nunzio Cassarà che ha mantenuto i rapporti con un altro esponente di vertice del clan, Francesco Nania, poi arrestato nel febbraio 2018.

 

Personaggi mafiosi dominanti:  Michele Vitale, figlio del capomafia Vito, detto Fardazza, e nipote di Leonardo Vitale. Il suo clan era capace di coltivare e produrre nella zona di Partinico ingentissime quantità di marijuana e di gestire un vasto traffico di droghe, approvvigionandosi, per la cocaina, dalla ‘ndrina dei Pesce di Rosarno (RC) e da un noto narcotrafficante romano che è stato poi catturato in Spagna dove era latitante. Il  10 ottobre 2018, nelle campagne di Partinico, è stato scoperto un sito di stoccaggio in cui era in essicazione una gran quantità di marijuana, e subito dopo, in contrada Milioti, una vasta piantagione di circa 3.300 piante di cannabis indica.

il comando passa all sorella Antonina Vitale

La notizia della sua collaborazione con la giustizia scosse Cosa nostra. Oggi Giusy Vitale, sorella dei capi del mandamento mafioso di Partinico Leonardo e Vito, torna in carcere nell’ambito dell’indagine che ha portato all’emissione di 85 misure cautelari. Passata alla guida del clan dopo la detenzione dei fratelli Leonardo e Vito, poi divenuta collaboratrice di giustizia, per i pm sarebbe al centro di un grosso traffico di droga. Con lei sono stati arrestati anche la sorella Antonina e il nipote Michele Casarrubia. Nel novembre 2018, Casarrubia va a Roma per trattare l’acquisto di un’ingente quantità di cocaina con Consiglio Di Guglielmi, detto Claudio Casamonica, personaggio di vertice dell’omonimo clan romano, successivamente morto per Covid. All’incontro, interamente registrato dagli inquirenti, partecipa tra gli altri anche l’allora collaboratrice di giustizia oggi accusata di aver acquistato cocaina da fornitori calabresi a Milano e Bergamo.

Le conversazioni registrate tra la Vitale e il nipote hanno messo in luce il suo ruolo nel traffico di stupefacenti.

I PICCOLI FAVORIPer anni il boss palermitano Francesco Nania sarebbe riuscito a comunicare con l’esterno nonostante fosse detenuto grazie all’aiuto del titolare di un’agenzia immobiliare, Giuseppe Tola, che gli avrebbe messo a disposizione un agente della polizia penitenziaria di Palermo in servizio nel carcere Pagliarelli. Il particolare è emerso dall’indagine che oggi ha portato a 85 misure cautelari. L’agente, a cui è stato contestato il reato di corruzione aggravata, ha favorito il boss rendendo possibili scambi di lettere dal carcere e ha rivelato agli indagati informazioni sull’organizzazione della struttura carceraria per ostacolare le attività di indagine e di intercettazione. In cambio avrebbe ricevuto cibo (ricotta, arance, carne di capretto), vestiti (felpe, tute), il lavaggio mensile dell’auto e l’acquisto di carburante a un prezzo inferiore a quello di mercato.

Dieci beni immobili nel comune di Napoli, sottratti alla criminalità

Beni confiscati alla mafia, il flop della gestione statale: attive solo 39  imprese su 780 - la Repubblica

Gli immobili confiscati alla Mafia saranno da assegnare ad associazioni ed enti del terzo settore.   Approvata la proposta dell’Assessore Felaco

Napoli,

Dieci beni immobili nel comune di Napoli, sottratti alla criminalità organizzata da assegnare ad associazioni ed enti del terzo settore. È stata approvata in Giunta, su proposta dell’Assessore con delega ai beni confiscati Luigi Felaco, l’individuazione delle aree di intervento ai fini dell’assegnazione, in concessione d’uso gratuito per finalità sociali di 10 beni immobili confiscati alle mafie trasferiti al patrimonio indisponibile del Comune di Napoli.

A breve gli uffici provvederanno alla pubblicazione del bando pubblico di partecipazione che comprende il calendario di sopralluoghi utili a visionare i beni immobili da parte delle associazioni interessate. “Con questa delibera, a seguito di un percorso partecipato, decidiamo di assegnare in concessione d’uso gratuito ai soggetti previsti dall’art. 48 del decreto legislativo 1592011 e ss.mm.ii. i beni confiscati alle mafie per attività destinate all’infanzia, attività culturali, attività per giovani, anziani, case rifugio per emergenze legate alla violenza di genere, attività di inclusione sociale e tutela delle fasce deboli, formazione e altre attività socialmente rilevanti.

Si tratta di un segnale importante, in un momento in cui la violenza della camorra riesplode nelle strade, per dire con i fatti che la città appartiene ai giovani e non, ai più fragili, a chi fa del bene. I beni confiscati alla camorra ora sono beni di tutti. Appartamenti sottratti ai clan che vengono restituiti alla città negli spazi fisici e nei servizi che li animeranno, da qui in poi. Un risultato che segue i numerosi interventi del Sindaco Luigi de Magistris, i sopralluoghi e il lavoro di tanti uffici tecnici comunali, dell’ufficio di Gabinetto del Sindaco, dello staff dell’Assessorato e i confronti con la rete degli assegnatari dei beni confiscati, gli amministratori pubblici, il prezioso contributo del CUP Comitato Unitario delle Professioni, del DiARC Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi di Napoli Federico II e ovviamente di Libera Campania” afferma l’Assessore Felaco.

 

Mafia, stop al mercato della droga e 46 arresti per estorsioni e spaccio

La legge della Mafia locale era di imporre il pizzo a tutti i commercianti e imprenditori della zona e di monopolizzare il mercato della droga, sfruttando la forza intimidatrice derivante dall’appartenenza alla famiglia di Cosa Nostra di Enna, per costringere le vittime a sottostare ai loro voleri. I 30 appartenenti al gruppo criminale oggetto dell’indagine “Caput silente” sono stati arrestati questa mattina al termine di un’attività investigativa condotta dagli agenti della Squadra mobile di Enna e del commissariato di Leonforte.

Gli indagati sono accusati di associazione per delinquere di tipo mafioso, aggravata dall’utilizzo delle armi, estorsioni, danneggiamenti, associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, detenzione e porto illegale di armi.
Nel corso dell’indagine sono state arrestate altre 16 persone in flagranza di reato, e sequestrate numerose armi da fuoco e notevoli quantità di cocaina, hashish e marijuana.

All’indagine hanno preso parte anche i poliziotti della Squadra mobile di Catania, dei Reparti prevenzione crimine e delle unità cinofile di Palermo e Catania, del Reparto volo di Palermo e della Polizia di frontiera di Catania.

L’attività odierna è una costola dell’operazione “Homo novus”, che nel 2014 aveva portato alla condanna per mafia degli affiliati alla famiglia di Cosa Nostra attiva a Leonforte.

L’operazione “Caput silente” ha evidenziato come i capi del gruppo criminale, nonostante fossero reclusi, abbiano continuato a dare disposizioni e direttive, anche con l’utilizzo di messaggi scritti su pezzi di carta, i cosiddetti pizzini, particolare che ha dato il nome all’indagine. Attraverso intercettazioni telefoniche, ambientali e videoriprese, supportate anche dai classici appostamenti e pedinamenti, gli investigatori hanno documentato l’attività criminale svolta dagli indagati.

Innumerevoli cessioni di sostanze stupefacenti, numerosi episodi di danneggiamento ai danni di commercianti, imprenditori, e di due agenti della polizia giudiziaria del commissariato di Leonforte che davano particolarmente “fastidio” all’organizzazione criminale.

I tipici “messaggi” utilizzati per minacciare le vittime erano costituiti dal taglio degli pneumatici delle auto, sulle quali venivano incise, con evidenti solchi sulla carrozzeria, anche delle croci. Ad un imprenditore sono state invece recapitate buste da lettera contenenti proiettili, insieme alla richiesta di una notevole somma di denaro.

Un altro particolare emerso dall’indagine è quello relativo alla politica delle estorsioni messa in atto dagli indagati, che chiedevano piccoli importi per la “protezione”, in modo che tutti potessero pagare senza problemi, con lo scopo di soggiogare la totalità degli operatori economici del loro territorio.

Le direttive all’interno dell’organizzazione venivano impartite con i classici pizzini, in modo da evitare il più possibile i contatti diretti tra gli appartenenti; questi godevano anche di una sorta di assicurazione interna, che scattava in caso di arresto, sotto forma di somme elargite ai familiari dei detenuti.

Nel corso dell’indagine gli investigatori hanno anche evitato l’omicidio di un pusher che doveva essere punito per non aver onorato un debito legato allo spaccio e per i suoi tentativi di contrastare il monopolio dell’organizzazione.

MAFIA, TUTTE LE FORZE DELL’ORDINE NEL MAXBLITZ DI MESSINA, 33 ARRESTI E SEQUESTRI

Nella Giornata per le vittime di mafia, il messaggio del cardinale Bassetti  a Libera - Vatican News

Mafia, maxi blitz a Messina. Nel corso della notte, Carabinieri, Guardia di Finanza e Polizia di Stato hanno eseguito un’operazione antimafia congiunta che ha portato all’arresto di 33 persone e al sequestro di beni, in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip presso il Tribunale di Messina, su richiesta della Procura Distrettuale Antimafia di Messina, per i reati di associazione di tipo mafioso, estorsione, trasferimento fraudolento di valori, sequestro di persona, scambio elettorale politico-mafioso, lesioni aggravate, detenzione e porto illegale di armi, associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, con l’aggravante del metodo mafioso.

L’operazione” è il risultato di autonome e convergenti indagini del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale Carabinieri di Messina, del Gico del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Messina e della Squadra Mobile della Questura di Messina che hanno consentito di documentare l’attuale operatività dei sodalizi mafiosi operanti nella zona centro della città dello Stretto, nel settore delle estorsioni in danno di esercizi commerciali, del traffico di stupefacenti e del controllo di attività economiche nel campo della ristorazione, del gioco e delle scommesse su eventi sportivi”, dicono gli inquirenti.

Diversi i fronti di indagini da parte delle Forze dell’Ordine.

In particolare, le indagini dei Carabinieri di Messina hanno riguardato la consorteria mafiosa egemone nel rione messinese di “Provinciale” capeggiata “dal noto esponente mafioso Giovanni Lo Duca”, attiva, fra l’altro, nelle estorsioni in danno di esercizi commerciali e nel traffico di sostanze stupefacenti e hanno portato al sequestro di un bar utilizzato come base logistica dell’associazione mafiosa.

Le indagini della Guardia di Finanza di Messina hanno riguardato le attività del gruppo criminale capeggiato da Salvatore Sparacio, operante nel rione “Fondo Pugliatti”, documentando il controllo di attività economiche e portando al sequestro di una impresa operante nel settore del gioco e delle scommesse.

Le indagini della Questura di Messina hanno riguardato il sodalizio mafioso capeggiato da Giovanni De Luca, attivo nel rione di “Maregrosso” nel controllo della sicurezza ai locali notturni e nel traffico di sostanze stupefacenti, sodalizio già oggetto dell’indagine “Flower” conclusa nell’ottobre 2019.

Il provvedimento cautelare del gip del Tribunale di Messina ha disposto la custodia cautelare in carcere per 21 persone, gli arresti domiciliari per 10 persone e l’obbligo di presentazione alla Polizia giudiziaria per 2 persone, nonché il sequestro di 2 imprese, operanti nel settore del gioco e delle scommesse e della   ristorazione.

Coronavirus, mafie e ordine pubblico: ora più che mai non abbassare la  guardia – La Voce di New York

Gli investigatori osservano che i “Clan esercitavano  un controllo capillare”

Il clan mafioso di Messina “esercitava un controllo capillare del territorio”, “tanto che qualsiasi iniziativa assunta nel rione era assoggettata al preventivo “placet” di Giovanni Lo Duca che si proponeva quale soggetto in grado di sostituirsi allo Stato nella gestione delle “vertenze” sul territorio”.

E’ quanto emerge dall’operazione antimafia. In una circostanza, per esempio, è emerso come una donna del quartiere si fosse rivolta a Lo Duca “per ottenere la liberazione del proprio figlio minorenne che era stato trattenuto contro la sua volontà da un pregiudicato del posto che lo voleva punire per delle offese pubblicate dal ragazzo su Facebook”. Lo Duca “intervenne nei confronti dell’uomo, ottenendo l’immediata cessazione di ogni iniziativa ostile nei confronti del minore”. Non fu mai sporta alcuna denuncia.

In manette anche candidato Comunali, accusato di voto di scambio

C’è anche un candidato al Consiglio comunale di Messina, non eletto nel 2018, tra gli arrestati della maxi operazione. In manette è finito N. S., 52 anni, che nella primavera del 2018 si era candidato al consiglio comunale nella città dello Stretto. Ma il 10 giugno 2018 non fu eletto. L’uomo è accusato di voto di scambio.

Secondo l’accusa S., sottoposto agli arresti domiciliari, avrebbe pagato diecimila euro per il sostegno elettorale del clan Sparacio. Le indagini tecniche degli investigatori peloritani hanno consentito “di captare alcune inequivoche conversazioni”, inerenti proprio la prova dell’offerta di denaro, per una somma pari a 10.000 euro, effettuata “al boss dal candidato politico, affinché procurasse un congruo numero di voti per la propria scalata elettorale”, spiegano gli inquirenti.

Questa attività di procacciamento “vedeva in F. S., 52 anni, ritenuto trade union tra il politico N. S. ed il boss Salvatore Sparacio, che l’aspirante consigliere comunale incontrava con il padre A. S., 81 anni”. “I riscontri eseguiti hanno consentito di documentare come l’accordo illecito raggiunto consentisse di raccogliere, nei quartieri di operatività del gruppo mafioso, ed altri a questo collegati, in totale, ben 350 voti”, spiegano gli investigatori.

Boss di nuovo al comando sul territorio dopo 13 anni di 41bis

Dopo avere trascorso tredici anni in carcere, al 41 bis, Giovanni Lo Duca è tornato in libertà e avrebbe ripreso il comando nella zona di Messina, emerge ancora. “In particolare, le indagini avviate dopo la scarcerazione di Giovanni Lo Duca – dicono gli inquirenti – hanno documentato che questi aveva riassunto le redini dell’organizzazione, proponendosi quale riconosciuto punto di riferimento criminale sul territorio, capace di intervenire autorevolmente nella risoluzione di controversie fra esponenti della locale criminalità”.

Spedizioni punitive per affermare egemonia su territorio”

Dopo quasi due anni di intercettazioni e servizi di osservazione, i Carabinieri del Nucleo Investigativo di Messina hanno documentato come “il sodalizio capeggiato da Giovanni Lo Duca operava mediante il sistematico ricorso all’intimidazione e alla violenza, con pestaggi e spedizioni punitive, per affermare la propria egemonia sul territorio e controllare le attività economiche della zona”. Lo Duca si sarebbe impegnato anche “per recuperare i crediti derivanti sia dal traffico di sostanze stupefacenti che dalla gestione delle scommesse su competizioni sportive”.

La base operativa del clan mafioso di Messina sgominato dalla Dda guidata dal Procuratore Maurizio de Lucia, “era il Bar “Pino” gestito dalla sorella di Giovanni Lo Duca, il quale trascorreva le sue giornate presso l’esercizio commerciale, dove incontrava gli associati per pianificare le varie attività criminose della consorteria e dove veniva eseguita l’attività di raccolta di scommesse sportive in assenza di licenza e per conto di allibratore straniero privo di concessione”.

Secondo l’accusa l’esercizio commerciale, che era “funzionale allo svolgimento delle attività criminali del clan”, è stato sequestrato dai Carabinieri. Ma non è tutto. C’è anche il lato spettacolo.

Funerale-show per il padre del boss in pieno lockdown”

Il funerale in piazza del padre del presunto boss, con tanto di sosta davanti alla sala biliardo, ritenuta luogo di summit mafiosi, in pieno lockdown e con i divieti anti Covid. E’ quanto hanno scoperto gli inquirenti.

E’ l’11 aprile del 2020 e l’Italia è ferma quando muore Rosario Sparacio, il padre di Salvatore, arrestato la notte scorsa nel blitz. Il corteo funebre si sposta dall’abitazione del defunto e raggiunge, sotto gli occhi degli investigatori che controllano ogni movimento, la sala biliardo “La Spaccata”. Per almeno un quarto d’ora. Poi il feretro viene portato in chiesa per la benedizione. Ma anche qui i tempi si sono prolungati ulteriormente. E solo dopo il corteo verso il cimitero. All’epoca scattarono le sanzioni anti Covid con multe ai diretti interessati.

“La rilevanza per il gruppo criminale investigato della sala giochi “Asd Bilardi Sud”, ha trovato significativa conferma lo scorso 11 aprile 2020, in occasione dei funerali di Rosario Sparacio, fratello dell’ex boss pentito Luigi Sparacio e padre dell’indagato Salvatore, allorquando il corteo funebre si fermava proprio davanti alla sala biliardi, in violazione e disprezzo delle normative e disposizioni vigenti nella fase del primo lockdown del paese, dovuto dalla pandemia generata dalla diffusione del Covid–19″, dicono gli inquirenti.

“In questo ambito emergeva come, proprio all’interno del locale si tenessero veri e propri summit mafiosi e si praticasse il gioco d’azzardo, attraverso personal computer collegati tramite la rete internet con piattaforme di scommesse on-line aventi sede all’estero, che permettevano di accedere a giochi illeciti, offerti al di fuori del circuito autorizzato dai Monopoli dello Stato, nonché come, attraverso la forza di intimidazione promanante dall’associazione mafiosa, venisse imposto l’utilizzo delle medesime piattaforme software e delle stesse video slot ai vari gestori locali”.

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